martedì 27 aprile 2010

Uno totalmente matto

 Ranulph Fiennes

Sto leggendo un bellissimo libro. O perlomeno un libro molto gradevole. Purtroppo Mad, bad and dangerous to know, autobiografia di Ranulph Fiennes, non è tradotto in italiano.
L'autore, il cui nome completo è Sir Ranulph Twisleton-Wykeham Fiennes, è un baronetto inglese lontano cugino della famiglia reale nonché cugino di terzo grado di Joseph Fiennes (Shakespeare in love) e di suo fratello Ralph (The constant gardener). È anche un tipico inglese matto come un cavallo.
Figlio e nipote di ufficiali dell'esercito morti ciascuno in una delle due guerre mondiali, diventò anche lui militare ed entrò a far parte dei famosi corpi speciali inglesi, gli SAS. Naturalmente imparò a usare la dinamite. Accortosi però che l'esplosivo che gli veniva dato ogni volta che doveva far saltare qualcosa per aria era sempre un po' troppo, usava il necessario e metteva il resto in un cassetto perché "non si sa mai". Ora, quando la 20th Century Fox decise di girare un film nel villaggio inglese di Castle Combe — conosciuto come il più grazioso di tutto il paese — e di tirar su una diga per far cambiare corso a un piccolo fiume che dava fastidio alle riprese, il giovane Ranulph (Ran per gli amici) tirò fuori dal cassetto la dinamite "non si sa mai" e fece saltare per aria la diga con l'aiuto di un commilitone. Scoperti, i due furono cacciati dagli SAS, ma non dall'esercito.
Ran fu mandato nel sultanato di Oman per addestrare i soldati del sultano nella lotta anti-guerriglia.
Due anni dopo, tornato a casa e tornato civile, organizzò una spedizione in hovercraft sul Nilo bianco, e poi un'altra su un ghiacciaio norvegese. Poi, nel 71, a 27 anni, guidò una discesa in gommone di varie centinaia di chilometri dallo Yukon fino a Vancouver. Inutile dire che non aveva mai messo piede su un gommone prima di allora.
La sua impresa forse più famosa è il viaggio attorno al mondo di quasi tre anni che fece con altri due compari. La regola del gioco era semplice: fare il giro del mondo verticalmente, passando dai due poli e viaggiando sempre e solo via terra o via mare. Già solo pensare a una cosa simile indica ovviamente un chiaro squilibrio mentale. Riuscire a realizzare il progetto è probabilmente più inquietante. Lui c'è riuscito.
Dopo aver tentato invano di diventare il primo uomo ad arrivare al Polo Nord da solo e senza aiuto (fu costretto a farsi venire a prendere a meno di 200 chilometri dalla meta), decise di diventare il primo ad attraversare l'Antardide a piedi, ciò che fece con un altro pazzo come lui. Forse è bene ricordare che attraversare l'Antartide è come attraversare la Cina e l'India, ma con temperature che scendono al di sotto dei -50°.
Qualche anno dopo, stanco dei Poli, organizzò una spedizione archeologica che scoprì la mitica città di Ubar, nel deserto dell'Oman.
La storia che preferisco però è quella che gli successe dopo non so più quale spedizione polare, durante la quale gli si gelarono le falangi esterne delle tre dita centrali e del pollice della mano destra. Il chirurgo gli consigliò di non amputarle per alcuni mesi onde permettere la ricrescita naturale dei tessuti che poi sarebbero serviti a rivestire i moncherini. Soffrendo però dolori tremendi, un giorno Ran cercò di amputarsi da solo con un seghetto a mano. Non riuscendo nel suo intento andò dal ferramenta, si comprò un bel Black & Decker nuovo e zac!, via le punte delle dita.
Nel 2003, infarto e doppio bypass. Due mesi dopo l'operazione Ran disse al chirurgo che voleva correre una maratona. "Va bene — gli rispose il chirurgo, che probabilmente portava in testa un cappello da Napoleone e si vestiva da Cleopatra la domenica mattina —, va bene. Basta che tu stia attento a che i battiti del tuo cuore non siano più di 130 al minuto". Il fatto è che Ran non aveva raccontato tutta la verità al buon dottore, visto che due mesi più tardi, cioè quattro mesi dopo il doppio bypass, corse sette maratone in sette giorni in sette posti diversi: Patagonia, Isole Falkland, Sidney, Singapore, Londra, Il Cairo, New York. Io mi sento stanco solo all'idea di sette viaggi così in sette giorni... Ah, sì: intervistato qualche tempo dopo confessò di aver "dimenticato" a casa il contabattiti al momento di fare le valige.
Il 20 maggio dell'anno scorso, il nostro Ran è arrivato in cima all'Everest, a 65 anni.
Insomma, se leggete l'inglese e non vi procurate questo libro, peggio per voi. Io ve l'ho detto.