lunedì 26 aprile 2010

Una pubblicità

 Un capo di vestiario Naughty Dog

Sfogliavo D, il supplemento settimanale femminile della Repubblica, ieri mattina, quando mi sono trovato davanti una pubblicità per la marca Naughty Dog. Nela foto, piuttosto brutta e largamente photoshoppata, appare una di quelle ragazze fatte con lo stampino nelle agenzie di modelle. È in piedi, in una posizione completamente innaturale, ha i capelli castani che sventolano per via di un ventilatore (che nella foto non si vede) alla sua sinistra, le gambe larghe, le mani sulle anche. Porta un vestito insignificante quanto lei, rosa scuro e cortissimissimo. Ha lo sguardo che vorrebbe forse guardare lontano e la bocca naturalmente semiaperta, come si deve quando si vuole sembrare sexy (o almeno così pare). Ai suoi piedi c'è un cane, forse un husky, che sembra annusarle le parti intime. Molto probabilmente cane e modella sono stati fotografati separatamente e poi riuniti dall'addetto a Photoshop. Comunque sia, l'immagine è di una volgarità sconcertante.
Che una foto come quella appaia su una rivista destinata a un pubblico femminile è doppiamente sconcertante.
Mi è venuto spontaneo andare su internet a scoprire cosa fosse Naughty Dog.
Il marchio, mi dice il sito della marca, è nato dalle menti chiaramente bacate di di una certa Simona Guarracci e della sua amica Laura Pizzi, entrambe laureate in Fashion Design. Toh, una si può laureare in Fashion Design? Non lo sapevo.
Le due illuminate creatrici, prosegue il sito, hanno avuto l'idea di portare nei negozi di tendenza (?) un prodotto sporty chic (??). E come l'hanno avuta questa bella idea, mi chiederà l'avido lettore? Semplice: sedute al tavolino di un bar sulla Rodeo Drive di Los Angeles, posto che ogni lettore di sito conosce benissimo, le due "osservano divertite la nuova mania della costa californiana: un esercito di ragazze super chic e alla moda che portano a passeggio i loro cagnolini vestiti e accessoriati di tutto punto".
Vabbé, vi risparmio il resto. Mi dico solo che se mi fossi trovato seduto a un caffé di Rodeo drive (cosa improbabile) e avessi visto passare un altrettanto improbabile esercito di ragazze super chic e alla moda che portano a passeggio cagnolini vestiti e accessoriati avrei forse meditato sulla stupidità umana prima di tornare in albergo a farmi una bella siesta.

Mi chiedo: perché tanta stupidità? E perché tanto provincialismo? E perché tanto disprezzo verso le donne da parte di altre donne su una rivista dedicata alle donne?
Nei primi anni 70 ho abitato un po' negli Stati Uniti. Era il grande periodo del femminismo, dei libri di Kate Millet, Betty Friedan, Germaine Greer e Erica Jong, della riscoperta di Simone de Beauvoir, delle ristampe dei libri di Gertrude Stein, del processo di Angela Davis. Nel 1967 una giovane siciliana di Alcamo, Franca Viola, di cui pochi probabilmente oggi si ricordano il nome, era stata la prima donna stuprata a rifiutare il matrimonio riparatore e a denunciare il suo stupratore.  Su noi uomini, stupiti e incerti sul da farsi, soffiava un potente vento catabatico che scalzava le nostre vecchie certezze, obbligandoci a far funzionare il grigiume della nostra materia cerebrale in maniera meno arrogante.
Come molti, credevo che quel cambiamento fosse definitivo. Ma mi sbagliavo. Oggi, sommerse da sempre più pressanti imperativi di bella presenza, da tonnellate di creme, cremine e cremette e da litri di botox, le donne stanno forse peggio di prima. Oggi esistono sul mercato bikini col reggiseno imbottito per bambine di dieci anni e concorsi di miss sotto i dodici anni. Oggi chi non si depila è out, chi ha qualche chilo "di troppo" è una patetica cicciona e chi nasconde l'ombelico sembra destinata al convento. Oggi il seno rifatto è un regalo plausibile per il successo all'esame di maturità. Oggi Anna Magnani non avrebbe la minima chance di carriera di fronte a personaggi come Paris Hilton, Pamela Anderson o Valeria Marini.
Un'altra marca che va per la maggiore ha trovato lo slogan giusto, l'incitamento perfettamente coerente al vento che tira oggi: la marca è Diesel e lo slogan è Be stupid. Difficile riassumere meglio la tendenza attuale.