venerdì 23 aprile 2010

Un emendamento

L'eccellente signora o signorina Silvana Andreina Comaroli, nata a Soncino (CR) il 27 marzo 1967, è deputata. Certo, la sua fama non è ancora molto grande, visto che il sito web del suo comune natale, alla pagina Personaggi Soncinesi di Rilievo (con tre maiuscole), non le consacra nemmeno una riga, preferendole un tale Vincenzo Cazzaniga che fu prima Presidente e Amministratore Delegato (con tre maiuscole anche qui) di Esso Italia e poi, "già ottantenne e infaticabile", presidente (qui minuscolo) del Consorzio grandi reti, che un altro sito mi spiega essere "una società consortile a responsabilità limitata a cui aderiscono circa 30 società, che operano nel settore della distribuzione di carburanti, tramite punti di vendita stradali, di prodotti petroliferi e che sono concessionarie di oltre 5 impianti", il che è molto interessante.
La nostra amica Comaroli non sembra quindi molto popolare, benché possa vantarsi, alla Camera, di un tasso di presenza del 98,12% (http://parlamento.openpolis.it/parlamentare/237135). Ah, dimenticavo: Silvana Andreina Comaroli fa parte dell'eccellente gruppo parlamentare Lega Nord Padania.
Ora, mi direte voi, come fa una sconosciuta deputata del gruppo Lega Nord Padania alla quale i colleghi non fanno nemmeno firmare una leggina a farsi conoscere? Fa un bell'emendamento.
La Comaroli l'ha fatto.
Nel testo del suo emendamento troviamo: "le regioni, nell'esercizio della potestà normativa in materia di disciplina delle attività economiche, possono stabilire che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente, qualora sia un cittadino extracomunitario, di un certificato attestante il superamento dell'esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati".
Ora, signori miei, la cosa è grave. Se capisco bene il Comaroli-pensiero, qui l'Italia corre gravi rischi. Ma come? Secondo questo testo un qualsiasi ungherese, portoghese o magari irlandese potrebbe tranquillamente, col pretesto di essere cittadino comunitario, aprire un ristorante specializzato in gulash, una rivendità di baccalà, o una mescita di Guinness senza bisogno di parlare italiano! Peggio ancora, ve l'immaginate la scena? Entrate in una panetteria per comprare una schiacciatina al bambino e lo straniero dietro il banco vi saluta dicendovi god morgon se è svedese, dobry den se è ceco, o magari egun on se è basco! Ma siamo matti?
E no, così non va, cara la mia Silvana Andreina. Non si può essere così superficiali. Un emendamento è una cosa seria.
Oltre tutto, quel "superamento dell'esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati" non mi convince per niente. Quali sarebbero questi enti accerditati? Non le scuole, spero. Almeno non quelle padane, notoriamente invase da insegnanti terroni e semianalfabeti che non sanno nemmeno cos'è un prestinaio, che, come sanno tutti i milanesi, è la parola giusta per definire un panettiere.
Io proporrei la laurea. Rilasciata, naturalmente, da un'università italiana, meglio se del nord. Vuoi aprire una merceria a Soncino e sei lituano? Ti fai cinque anni di università a Pavia e poi sei tranquillo.
Ecco, sì, guarda, te lo faccio io l'emendamento: "le regioni, nell'esercizio della potestà normativa in materia di disciplina delle attività economiche, possono stabilire che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente, qualora sia uno straniero, purché con la fedina penale pulita, di religione cristiana, di obbedienza cattolica romana, di pelle chiara e meglio se non affetto da alitosi, di una bella laurea in lettere rilasciata da un'università padana. In tutti gli altri casi lo straniero sarà rispedito a casa sua, come si deve".
Non è meglio così?