giovedì 6 dicembre 2018

Il mio amico Nicola



Secondo la formula classica, siamo ormai sotto Natale e infatti il Natale ci domina con le sue pubblicità di profumi e gioielli, i suoi addobbi cittadini, la frenetica ricerca di regali sempre più tecnologici e una generica celebrazione dell'inutile e del superfluo, con la rassicurante scusa che tutto questo «fa bene all'economia». È quindi normale che sulle pagine Facebook di molti miei amici nord ed est europei ricominci ad apparire Babbo Natale, ovvero San Nicola, Sankt Nikolaus, Saint Nicholas, Sveti Nikolaj, Sint Nicolaas, Άγιος Νικόλαος, o magari Šventasis Mikalojus, da noi meglio noto come omonimo di quel Nicola di Bari la cui interpretazione di Piangerò al Cantagiro del 1965 costituì uno dei momenti più alti della creatività nostrana (se sei troppo giovane per ricordartene o anche solo per sapere cos'era il Cantagiro fidati di me).

San Nicola di Bari, dunque. Che con Bari non c'entrava assolutamente niente fino a quel giorno del 1087 in cui 62 marinai pugliesi non ne rubarono le ossa da una chiesa ortodossa di Myra, città che durante la vita del Nostro faceva parte della lega licia, nel sud-ovest della Turchia. Più tardi, seguendo la grande tradizione cattolica di furti feticisti, metà del suo scheletro fu peraltro rubato ai baresi dai veneziani, ma non importa. Ciò che importa è che con tutti i fanatici guerrafondai che si misero a passare da Bari all'epoca delle crociate, San Nicola diventò sempre più popolare, fino a diventare patrono della Lorena e di Amsterdam e a soppiantare nientepopodimeno che Dio stesso presso le popolazioni nenezie della Jamalia e della Nenezia, che lo chiamano Mikkulai. Per i miei due o tre lettori che ignorassero cosa siano la Jamalia e la Nenezia, ricordo che i due territori si trovano al nord degli Urali, appena a ovest del Krasnojarsk o, se preferisci, a nord del Chantia-Mansia.

Ma dopo questo sfoggio di cultura geografico-wikipediana, torniamo all'amico Nicola e in particolare alle sue abitudini natalizie.

Non faccio per vantarmi, ma io San Nicola l'ho incontrato personalmente di persona. Mo' ti racconto. Per uno di quegli strani impulsi che spingono talvolta noi umani a compiere atti sconsiderati, una quindicina di anni fai qualcuno mi invitò a partecipare a un festival teatrale nella ridente, ma mica tanto, cittadina di Rovaniemi. Il mio primo impulso alla ricezione della mail di invito fu naturalmente di guardare su Wikipedia dove cacchio si trovasse quel posto dal nome forse indonesiano, ma chissà – vai a sapere – forse basco o amazzone. È così che scoprii che Rovaniemi altro non è che la capitale della Lapponia finlandese, anche se quelli che noi chiamamo lapponi e che in realtà si chiamano sami la chiamano Sápmi. Ora, sapendo noi tutti che il circolo polare artico si trova a 66°33'39'' di latitudine nord, grande fu la mia sorpresa vedendo che Rovaniemi si trova a 66°30'08''!

Perbacco – mi dissi ma quella differenza di 3' e 31'' indica chiaramente che quel posto è a meno di 10 chilometri a sud del circolo polare!

E infatti così è. Ciò che ignoravo era che proprio a cavallo (si fa per dire) del circolo polare i rovaniemesi avessero messo su il Joulupukin Pajakilä, ovvero il villaggio di quel Santa Claus che altri non è che il nostro amico San Nicola di Bari, Venezia e Myra. E gli organizzatori del festival mi ci hanno portato.

Non ti sorprenderà sapere che il luogo assomiglia molto più a un centro commerciale che a un villaggio lappone. Forse ciò che ti sorprenderà è invece che circolo polare in finlandese si dica napapiiri e soprattutto che la marca Napapijri, sui prodotti della quale appare sempre una bandiera chissà perché norvegese, sia stata fondata alla fine degli anni '80 dall'italianissima ancorché valdostana Signora Giuliana Rosset, che nel 2005 la vendette poi all'americana Vf Corporation. Ma smettiamo di divagare a torniamo a Santa Claus.

Dopo avere vagato per un po' per la vasta zona commerciale dove era possibile acquistare (pochi) oggetti dell'artigianato lappone e (tantissimi) maglioni, pigiama, ciabatte, bicchieri, bottiglie, pile (nel senso di pail), piatti, magliette e quant'altro con l'effigie di Babbo Natale, giunse il momento di fare la sua conoscenza. Con un gruppetto di una dozzina di colleghi entrammo nella sua casa. Prima di tutto attraversammo un lungo corridoio lungo il quale si trovavano tutta una serie di enormi ingranaggi e ruote dentate in legno che giravano provocando rumori inquietanti. Chiesi la ragione di quello strano armamentario e mi fu spiegato che siccome secondo la tradizione locale durante la notte di Natale Santa Claus ha l'obbligo di fare visita a tutte le case del mondo, rallenta il movimento della Terra agendo su quegli ingranaggi, in modo che la notte duri più a lungo. Attendemmo alcuni minuti davanti a una porta chiusa a lato della quale c'era una luce rossa, poi quando la luce diventò verde potemmo entrare in un enorme stanzone nel quale, attorniato da centinaia di pacchi e pacchetti infiocchettati, stava seduto il Santo. A rischio di deluderti, devo dirti che non portava il costume rosso inventato dal disegnatore statunitense Thomas Nast nel 1862 per il settimanale Harper's Weekly e ripreso nel 1931 da Haddon Sundblom per una pubblicità della Coca-Cola, bensì quello più dimesso di un cacciatore finlandese. Per nostra fortuna parlava inglese, il che ci permise di scambiare qualche banalità sulla pace nel mondo e sul mestiere del marionettista che, come tutti sappiamo, offre abbondanti dosi di felicità ai pargoli dei cinque continenti. È solo all'uscita che, vedendo sui muri di un altro corridoio le foto nelle quali apparivamo in compagnia del vecchio barbuto, foto in vendita a 25€ l'una, ci rendemmo conto di quale fosse stata la vera finalità di quella conversazione che si era protratta al di là del ragionevole.

In questa stagione il vicino aeroporto funziona al limite delle sue capacità a causa dei numerosi charter provenienti da vari Paesi d'Europa, ma anche da Israele e dal Giappone (!), che arrivano carichi di turisti desiderosi di vivere un'esperienza come la mia, dormendo magari all'hotel Santa Claus Holiday Village e gustando una bistecca di renna in uno dei ristoranti di Rovaniemi. Tanto per darti un'idea, l'anno scorso l'aeroporto ha accolto quasi 600.000 viaggiatori. Il che la dice lunga sullo stato delle connessioni neuronali della razza umana, ma non importa.

Certo di avere fatto cosa gradita mettendo a tua disposizioine tutte queste preziose informazioni, mo' vado alla Coop a comprarmi un panettone.



P.S. Come sempre, è solo dopo avere scritto questo post che ho cercato un'immagine per illustrarlo. Mi sono così accorto con sconcerto che ormai anche al mio amico di Rovaniemi è stato affibiato un ridicolo copricapo rosso con un informe gilet dello stesso colore. O tempora! O mores!

mercoledì 5 dicembre 2018

La lettera su Dio di Einstein



I giornali di questa mattina parlano della vendita all'asta di una lettera manoscritta di Albert Einstein per 2 milioni e 892.500 dollari. Lasciamo perdere il fatto che lo stesso documento fosse stato venduto nove anni fa per 400.000 dollari e che gli esperti gli avessero recentemente attribuito un valore tra il milione e il milione e mezzo. Sono solo le solite fesserie da miliardari.
Ciò che mi interessa è che la lettera è nota come lettera su Dio. Einstein la scrisse il 3 gennaio del '54 a Eric Gutkind, filosofo ebreo che aveva lasciato la Germania nel '33. Due anni prima, Gutkind aveva pubblicato Choose Life: The Biblical Call to Revolt. Il libro era stato consigliato a Einstein dal matematico e filosofo olandese L.E.J. Brouwer.
L'articolo che ho letto questa mattina mi ha dato voglia di rileggere quel breve scritto che già conoscevo, ma cercando su internet non ho trovato nessuna traduzione integrale in italiano. Non conoscendo il tedesco, sono partito da una traduzione inglese (macchinosa) e da una francese (assai libera) per farne una italiana. Ho mantenuto la punteggiatura di Einstein – visibile su una foto del manoscritto – e il suo stile un po' complesso, soprattutto nel primo capoverso.
Inutile precisare che se te ne propongo la lettura è perché mi trovo essenzialmente d'accordo sul contenuto.

Princeton, 3 Gennaio 1954 
 
Caro Signor Gutkind!

Ispirato dai continui consigli di Brouwer ho letto gran parte del suo libro in questi ultimi giorni e la ringrazio di avermelo mandato. Ecco le cose che mi hanno particolarmente colpito. Riguardo al nostro modo di vedere la vita e la società umana siamo molto simili: un ideale che va al di là del personale che si batte per la libertà dai desideri individuali, si batte per fare dell'esistenza qualcosa di più bello e più ricco, con un'enfasi sul puramente umano, dove le cose inanimate sono viste solo come mezzi ai quali non si dovrebbe dare un ruolo dominante. (È in particolare questo modo che ci trova d'accordo su una vera “attitudine non-americana”)
Detto questo, se non fosse stato per l'incoraggiamento di Brouwer, non avrei mai pensato di immergermi nel suo libro, che è scritto in un linguaggio a me inaccessibile. Per me, la parola Dio non è altro che l'espressione e il prodotto delle debolezze umane, la Bibbia una raccolta di leggende onorevoli ma estremamente primitive. Non c'è interpretazione, per quanto acuta, che possa cambiare le cose (per me). Queste interpretazioni rarefatte sono per natura estremamente variegate e non sono quasi mai in relazione con il testo originale. Per me, l'autentica religione ebraica, come tutte le religioni, è l'incarnazione di una superstizione primitiva. E il popolo ebreo, del quale sono felice di fare parte e alla cui mentalità mi sento ancorato, non ha nessuna dignità diversa da quelle di altri popoli. Nella mia esperienza, non è nemmeno migliore di altri gruppi umani, anche se è protetto dai peggiori eccessi da una mancanza di potere. In altri termini non vedo niente di “eletto” in lui.
In generale mi addolora che lei reclami una posizione privilegiata e cerchi di difenderla attraverso due muri d'orgoglio, uno esterno come essere umano e uno interno come ebreo. Come umano lei reclama almeno in parte una dispensa dalla casualità generalmente accettata, come ebreo un privilegio monoteista. Ma una causalità limitata non è più una causalità, come il nostro meraviglioso Spinoza fu il primo a riconoscere in maniera incisiva. E l'idea animista di religioni naturali non è, per principio, resa nulla dal monopolio. Questi muri ci porteranno solo a un certo auto-imbroglio; ma i nostri sforzi morali non ne sono rafforzati. Piuttosto il contrario.
Ora che ho esposto apertamente le nostre differenze intellettuali, per me resta chiaro che siamo vicini l'uno all'altro nell'essenziale, cioè nella valutazione del comportamento umano. Ciò che ci separa è solo patina intellettuale o “razionalizzazione” in linguaggio freudiano.

Con i miei ringraziamenti e i miei saluti,
Suo,
Albert Einstein