Gianni Berengo Gardin e Erwin Elliot
Stamattina ho portato degli amici francesi a Sansepolcro a vedere la Madonna della misericordia e la Resurrezione di Piero della Francesca. Sulla piazza principale c'erano parcheggiate 29 Ferrari, ma questa è un'altra storia. Appena più in là c'era una mostra di foto di Gianni Berengo Gardin e Elliot Erwitt. 50 foto, 25 per uno, fatte in tre giorni a Sansepolcro, Anghiari e dintorni.
Guardandole, e dicendomi quanto per molte di loro mi fosse difficile capire di primo acchito quale dei due vecchiacci le avesse scattate (il cartellino di una portava il nome di Erwitt cancellato e quello di Brengo Gardin aggiunto a mano...), non ho potuto impedirmi di ammirare l'eleganza di tanta semplicità. Sarà l'età, intendo la mia, ma sono sempre più sensibile a gesti artistici dai quali traspare quel meraviglioso cocktail di esperienza, semplicità e indifferenza alla critica che appare solo col tempo.
A parte due o tre, nessuna di quelle foto era spettacolare. Nessuna sarebbe stata nemmeno presa in considerazione da un qualsiasi editor del National Geograhic. Ma davanti ad alcune mi sono detto addiritura che, le avessi scattate io, non le avrei mai selezionate per farle vedere e ancora meno per esporle. Non che fossero brutte, per carità!, ma erano così incredibilmente « normali » da apparire assolutamente qualunque al primo sguardo. È solo guardandole più a lungo che ci si accorgeva quanto la composizione non fosse affatto qualunque, quanto lo sguardo di un personaggio in secondo piano o due gesti, uno sulla destra e uno sulla sinistra, dessero loro al tempo stesso una densità umana e un'equilibrio compositivo davvero molto belli.
Uno dei miei film preferiti degli ultimi trent'anni è L'onore dei Prizzi, il penultimo girato da John Houston. Anche lì è la stessa cosa: in apparenza una semplice commedia senza pretese, ma in realtà un film elegante, intelligente, raffinato, pieno di chicche così leggere che, appunto, uno all'inizio non le nota nemmeno.
Da Sansepolcro siamo andati a fare un giro ad Anghiari e anche lì ho trovato la stessa semplicità e la stessa eleganza. L'intrecciarsi di quei volumi architettonnici, cresciuto attraverso i secoli in maniera solo apparentemente arbitraria, nessun architetto, nessun urbanista al mondo avrebbe mai potuto progettarlo. Il passare del tempo (tempo di generazioni, storia, battaglie, amori, nascite e morti) è stato un ingrediente indispensabile a quell'architettura urbana. Allo stesso modo il passare degli anni e l'accumularsi degli scatti, il guardare il mondo, giorno dopo giorno lo è stato alle foto di Berengo Gardin e Erwitt. E la stessa cosa è vera dei film di Woody Allen, dei quadri e delle stampe di Goya e Picasso, o, in questi ultimi anni, delle canzoni di Bob Dylan e Leonard Cohen.
È per questo, e solo per questo, che mi piacerebbe diventare vecchio.