Harry Belafonte
Non mi è capitato spesso di scrivere a un giornale, ma oggi l'ho fatto.
Guardavo i titoli sul sito della Repubblica quando uno ha attirato la mia attenzione: "Sporchi negri": aggressione razzista ad Alghero.Ci ho cliccato sopra e mi si è aperta una pagina della Nuova Sardegna, giornale di Sassari di proprietà del gruppo Repubblica-Espresso. Qui il titolo era leggermente diverso: ALGHERO: "Sporchi negri tornate a casa vostra." In sei picchiano due ragazzi congolesi.
Mi sono messo a leggere. La fine del primo paragrafo specificava che le due vittime erano "cittadini congolesi, di madre algherese, in possesso anche della cittadinanza italiana." E qui mi sono cadute le palle. Ma come "cittadini congolesi, di madre algherese, in possesso anche della cittadinanza italiana"? Ma uno che è "in possesso della cittadinanza italiana" non è italiano, anche se di padre congolese? E poi perché all'inizio del terzo paragrafo le vittime erano diventate "due senegalesi"? Giuro che non invento niente. Perché allora non andare fino in fondo e scrivere che sei italiani avevano picchiato due negri?
Qui non si tratta di fare a tutti i costi del politically correct. Si tratta di rendersi conto di come e quanto il razzismo dilagante si nutra quotidianamente di fesserie, anzi di ignominie come queste. Quando, una quarantina d'anni fa, una certa signora di cui non farò il nome per non dire del male di mia madre sosteneva che "Harry Belafonte è talmente bello che non sembra nemmeno un negro" le palle mi giravano già più di una giostra del luna park. Ma sono passati quarant'anni! E questa non è mia madre (oops...) che parla in cucina, è un giornalista del gruppo Repubblica-Espresso. Ma siamo impazziti?
Le parole contano, sempre e tutte. Qui si parla di un'aggressione razzista incominciata "con il lancio di pietre, mattoni raccolti dalla pavimentazione stradale, poi con calci e pugni", non della più o meno figaggine di un cantante di mambo (il che non toglie niente all'incoscienza, chiamiamola così, di quella signora che continuo a non voler nominare).
La cosa realmente grave non è nemmeno lo scivolone verbale in sé. La cosa grave è che ci siano giornalisti, che ci sia gente tuttora non indenne da tali scivoloni. E ce n'è sempre di più, ahimé. È proprio vero che se i coglioni avessero le ali la luce del sole sarebbe nascosta dagli stormi volanti.