venerdì 29 marzo 2013

Di mio padre



Ieri sera un'inattesa constatazione mi ha attraversato il cervello: due settimane fa ricorreva il centesimo anniversario della nascita di mio padre. Come passa il tempo!..., mi dirà il filosofo lettore.
Naturalmente mio padre a cent'anni non c'è arrivato. Non è nemmeno arrivato ai settanta, come pure suo padre prima di lui. Se credessi a un'ineluttabile fatalità familiare forse incomincerei a scrivere bigliettini di ringraziamento e di saluto, ma siccome quest'ultima frase non avrà mancato di far girare a grande velocità a mia moglie quelle cose che girano a loro quando a noi girano gli zebedei, soprassederò.
A proposito di zebedei: ti sei mai chiesto perché si chiamino zebedei? Ovviamente noi tutti accaniti lettori dei Santi Vangeli ben sappiamo che Zebedeo era il padre di due apostoli, Giacomo il Maggiore e Giovanni. Sappiamo anche, da Marco 3,17, che Gesù a quei due “pose nome Boanerghes, che vuol dire figli del tuono”. Ma perché Zebedeo era un tuono? Per via di una sua smodata passione per i fagioli che aveva finito col procurargli un'aerofagia cronica? Per la smisurata energia sessuale che gli veniva dal possesso di due testicoli grossi come uova di struzzo? Non si sa. Misteri della fede.
Con mio padre non ci siamo mai capiti granché. Neppure con mia madre, se è per quello. Ma non importa. Quel che mi ha colpito è stato realizzare che, visto che mio padre era del '13, suo padre e suo suocero erano entrambi nati, tanto per dirne qualcuna, prima che Marconi inventasse la radio, Michelin gli pneumatici per auto e i fratelli Lumière il cinema; prima della scoperta della radioattività, prima della prima Olimpiade e persino prima del primo numero della Gazzetta dello Sport. Due generazioni e, hop!, un altro mondo.
Come passa il tempo!...
Di mio padre ho sempre saputo poco, era uno che non parlava tanto. So che era figlio di un viaggiatore di commercio tedesco che finì poi con l'emigrare negli Stati Uniti. Nel New Jersey mise su una fabbrichetta di non so bene cosa verso la fine del 1928. Poco dopo arrivò il crac del '29, nonno Rodolfo perse tutto, morì e fu sotterrato nella ridente cittadina di Hoboken, cioè dall'altra parte dell'Hudson rispetto a Manhattan. Quel che mi resta di lui è un certificato di morte sul quale risulta sposato a una sconosciuta. È bello avere un nonno bigamo.
Ma torniamo a mio padre, che nacque in Germania, nell'industriosa Ruhr. Un anno dopo la sua nascita, sua madre lo portò in Italia, probabilmente per farlo vedere alla famiglia. Nonna Maddalena, che di cognome faceva Cavanna, in Italia aveva previsto di restarci qualche settimana. Ma ecco che uno studente serbo, tale Gavrilo Princip, si impicciò della cosa, obbligando mia nonna a cambiare programma. Già che c'era, Gavrilo ne approfittò per trasformare l'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria-Ungheria in colabrodo, mediante l'impiego di una pistola Browning FN M1910 semiautomatica di fabbricazione belga (numero di serie 19074, caricatore .32 ACP). Il fattaccio, ancor prima di irritare nonna Maddalena (detta Lena), fece girare gli zebedei (ci risiamo...) all'imperatore Francesco Giuseppe, che pensò bene di dichiarare guerra alla Serbia, dando così inizio alla prima guerra mondiale.
Ma torniamo a nonna Lena. Era alla stazione di Torino, dove l'avevano accompagnata i genitori, e si apprestava a ritornare in Germania col figlioletto in braccio. Ma ecco che sua madre, cioè la mia bisnonna, temendo di vedere il nipotino in pericolo di morte nella Germania del Kaiser Guglielmo che tutti sapevano sarebbe presto entrata in guerra, convinse nonna Lena a tornarsene da sola dal marito lasciando il pargolo, nonché mio futuro genitore, in Italia. Tanto, come al solito, la guerra era destinata a durare pochi mesi...
Fatto sta che il piccolo Schusterino si ritrovò a vivere coi nonni in un paesino piemontese, Mosso Santa Maria, che darà più tardi i natali al pittore Ugo Nespolo, di cui mia moglie possiede una litografia e che io ho più volte incontrato a casa di Enrico Baj (com'è piccolo il mondo!...).
Insomma, per farla breve, visto che sua madre se l'era lasciato dietro a poco più di un anno, mio padre conobbe i suoi genitori quando di anni ne aveva già sei, il che dev'essere una cosa assai strana.
A parte questo, dell'infanzia di mio padre non so praticamente niente. So solo che è a quattordici anni che ha portato il suo primo paio di pantaloni lunghi. Lo so perché quando me lo disse la cosa mi colpì molto. Io i miei primi pantaloni lunghi li avevo avuti a nove anni, per la cresima. Oggi tutti i neo-genitori sembrano invece d'accordo sul fatto che senza pantaloni lunghi in tripla felpa foderata di pelo di yack un bambino rischierebbe di trasformarsi in ghiacciolo alla menta già dal primo di ottobre anche se abita a Salerno. (O tempora, o mores!...).
D'accordo: questo post è sgangherato e fa acqua da tutte le parti almeno quanto la logica politica di Beppe Grillo, se non di più (no, di più non è possibile).
Resta il fatto che pensare che mio padre è nato cent'anni fa mi fa strano. Tutto qui.

P.S. Quello sulla foto, naturalmente, non è mio padre, bensì il Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Siccome in questo momento sono in Alsazia non ho sottomano foto di mio padre. Allora mi sono detto che la foto di un omonimo illustre sarebbe stata meglio di niente.