Qualche
tempo fa un'amica ha messo su Facebook questa bellissima foto di
Frida Kahlo in compagnia di un giovane che non ho riconosciuto. Non
poteva essere Diego Rivera, che aveva vent'anni più di lei e che già
da giovane aveva quel suo grosso collo taurino e quegli occhi
globulosi. Chi era?
Era
Vladimir Majakovskij, un poeta che ho molto amato.
Mi
rivedo a Parigi per la prima volta, a diciannove anni. Ci ero
arrivato in autostop, con un sacco a pelo comperato alla Fiera di Sinigallia, il mercatino delle pulci di Milano. La notte me ne andavo a
dormire sotto il Pont Neuf
sentendomi terribilmente avventuroso. Eravamo in parecchi a dormire
lì sotto e una sera mi sono anche fatto arrestare perché, nel
momento in cui alcuni flic
erano venuti a controllare le identità di tutti avevo avuto la brillante idea di imbracciare
una chitarra e di mettermi a cantare La ballata di
Ho-Chi-Minh. Per la cronaca, la canzone l'avevo sentita per la prima volta dal suo autore, Ewan McColl, cantautore folk inglese, nonché marito di Peggy Seeger, sorella di Pete, in un concerto del London Critics Group, al Teatro Lirico di Milano.
Tornando a Majakovskij, mi
rivedo un pomeriggio, lungo la Senna, mentre passeggio
sulla rive droite (per
meglio vedere i palazzi della rive gauche)
con in mano una raccolta di sue poesie. A un certo punto
mi siedo sul parapetto, davanti ai negozi di fiori, e riprendo la lettura, conscio del fatto che il poeta aveva passeggiato sullo stesso lungosenna una cinquantina d'anni prima.
Quelle poesie mi affascinavano per la loro forza dirompente, ma mi turbavano anche perché parlavano di rivoluzione comunista, due termini che già allora incominciavo a trovare incompatibili dopo aver letto un po' Kropotkin, Proudhon, Bakunin, più l'Omaggio alla Catalonia di Orwell e la Storia dell'anarchia di Woodcock.
Quelle poesie mi affascinavano per la loro forza dirompente, ma mi turbavano anche perché parlavano di rivoluzione comunista, due termini che già allora incominciavo a trovare incompatibili dopo aver letto un po' Kropotkin, Proudhon, Bakunin, più l'Omaggio alla Catalonia di Orwell e la Storia dell'anarchia di Woodcock.
Questa
poesia mi fa un po' lo stesso effetto 45 anni dopo.
(Ovviamente per i russofoni il testo originale è a fondo pagina, o almeno spero che ciò che ho copiato da internet sia il testo originale, visto che non leggo il russo)
(Ovviamente per i russofoni il testo originale è a fondo pagina, o almeno spero che ciò che ho copiato da internet sia il testo originale, visto che non leggo il russo)
A
tutta voce
Egregi
compagni posteri!
Scavando
nello sterco impietrito
del presente,
studiando le tenebre odierne,
voi,
forse,
chiederete anche di me.
E, forse, dirà
il vostro erudito,
con la mente
piena di questioni,
che viveva da qualche parte un tale
cantore dell’acqua bollita
e nemico acerrimo dell’acqua corrente.
Professore,
togliti gli occhiali-bicicletta!
Io stesso racconterò
del tempo
e di me dirò.
Io, fognaiolo
e portacqua,
dalla rivoluzione
richiamato,
io per il fronte ho lasciato
i signorili giardini
della poesia –
capricciosa megera.
Che giardino guarda e ammira,
figlia,
la casa,
pulisci
e stira –
io da sola l’ho piantato,
solo io l’annaffierò.
Chi versa strofe dai catini,
chi spruzza
dalla bocca –
leziosi Mitrejki,
saccenti Kudrejki –
come raccapezzarsi!
Per la melma non c’è quarantena –
mandolinano tutto il giorno:
«Tara-tena, tara-tena,
ten-n-n…»
Non è un grande onore,
se tra le rose
alzano i miei busti
nei giardinetti,
dove scatarra la tubercolosi,
dove un teppista abbraccia una puttana
e la sifilide impera.
Anch’io
della propaganda
ho le tasche piene,
anch’io
potrei scrivere
romanze su di voi, -
è più redditizio
e più allettante.
Ma io
me stesso
ho domato,
e con il piede pesante
ho schiacciato la gola
della mia canzone.
Ascoltate,
compagni posteri,
l’agitatore,
lo strillone-caporione.
Soffocando
i torrenti della poesia,
io avanzerò
tra volumi di liriche,
da vivo
ai vivi parlando.
Verrò da voi
in un futuro comunista,
non come
il melodioso bardo eseniano.
La mia poesia giungerà
attraverso i crinali dei secoli
e attraverso le teste
dei governi e dei poeti.
La mia poesia giungerà alla meta,
ma essa vi giungerà,
non come una freccia
lanciata da Cupido a sorte,
non come arriva
a un numismatico una consunta moneta
e non come arriva la luce delle stelle morte.
La mia poesia
con la fatica
sfonderà la mole degli anni
e apparirà
ponderosa,
rude,
visibile,
come ancora oggi
è visibile l’acquedotto,
eretto
dagli schiavi di Roma.
Nei tumuli di libri,
di versi seppelliti,
ritrovando per caso la ferraglia delle strofe,
voi
con rispetto
prendetela in mano,
come vecchia
arma fatale.
Io
l’oreccchio
con la parola
non sono avvezzo a carezzare;
il delicato orecchio di ragazza
nei riccioli
dal doppio senso sfiorato
non arrossirà.
Dopo aver disteso in parata
le mie pagine-plotoni,
io passerò
il fronte delle strofe.
I versi stanno
pesanti come piombo,
pronti anche alla morte
e alla gloria immortale.
I poemi sono morti,
canna contro canna
dei titoli puntati
e squarciati.
L’arma
del genere
preferito,
è pronta
a lanciarsi con un grido,
s’è irrigidita
la cavalleria delle facezie,
avendo alzate delle rime
le lance acuminate.
E tutte
le truppe fino ai denti armate,
che venti anni nelle vittorie
hanno passato,
fino all’ultima
pagina
io affido a te,
proletario del pianeta.
Il nemico
della classe operaia –
è anche il mio nemico,
giurato e di vecchia data.
Ci hanno chiesto
di andare
con la bandiera rossa
anni di lavoro
e giorni di fame.
Noi aprivamo
di Marx
ogni volume,
come in casa
propria
apriamo le persiane,
ma anche senza lettura
noi sapevamo
da che parte andare,
contro chi lottare.
A noi
la dialettica
non l’ha insegnata Hegel.
Essa al suono delle lotte
nei versi è penetrata,
quando
sotto le pallottole
i borghesi fuggivano da noi,
come noi
un tempo
fuggivamo da loro.
Che
dietro ai geni
come vedova sconsolata
si trascini la gloria
in una funebre marcia –
muori, o mio verso,
muori, come semplice soldato,
come ignoti
all’attacco sono morti i nostri!
Io sputo sopra
il bronzo dei monumenti
io sputo sopra
il viscido marmo.
Grondiamo di gloria –
noi tutti noi, -
che il nostro
monumento comune
sia il socialismo
eretto
nelle lotte.
O posteri,
controllate i galleggianti dei dizionari:
dal Lete
emergeranno
i resti di parole
come «prostituzione»,
«tubercolosi»,
«blocco».
Per voi
che
siete sani e destri,
il poeta
leccava
gli sputi dei tisici
con la ruvida lingua del manifesto.
Con la coda degli anni
io divento la somiglianza
di mostri
fossili con la coda.
Compagna vita,
su,
presto bruciamo,
bruciamo
in cinque anni
il resto dei giorni.
A me
neanche un rublo
hanno portato i versi,
di ebano
non è arrivato un mobile in casa.
E tranne
una camicia fresca di bucato,
dirò sinceramente,
a me non serve niente.
Entrato
Nella Commissione di Controllo
dei luminosi
anni che verranno,
io sulla banda
di poeti
scrocconi e furfanti
solleverò
come tessera bolscevica,
i miei
libri di partito –
tutti quanti.
compagni posteri!
Scavando
nello sterco impietrito
del presente,
studiando le tenebre odierne,
voi,
forse,
chiederete anche di me.
E, forse, dirà
il vostro erudito,
con la mente
piena di questioni,
che viveva da qualche parte un tale
cantore dell’acqua bollita
e nemico acerrimo dell’acqua corrente.
Professore,
togliti gli occhiali-bicicletta!
Io stesso racconterò
del tempo
e di me dirò.
Io, fognaiolo
e portacqua,
dalla rivoluzione
richiamato,
io per il fronte ho lasciato
i signorili giardini
della poesia –
capricciosa megera.
Che giardino guarda e ammira,
figlia,
la casa,
pulisci
e stira –
io da sola l’ho piantato,
solo io l’annaffierò.
Chi versa strofe dai catini,
chi spruzza
dalla bocca –
leziosi Mitrejki,
saccenti Kudrejki –
come raccapezzarsi!
Per la melma non c’è quarantena –
mandolinano tutto il giorno:
«Tara-tena, tara-tena,
ten-n-n…»
Non è un grande onore,
se tra le rose
alzano i miei busti
nei giardinetti,
dove scatarra la tubercolosi,
dove un teppista abbraccia una puttana
e la sifilide impera.
Anch’io
della propaganda
ho le tasche piene,
anch’io
potrei scrivere
romanze su di voi, -
è più redditizio
e più allettante.
Ma io
me stesso
ho domato,
e con il piede pesante
ho schiacciato la gola
della mia canzone.
Ascoltate,
compagni posteri,
l’agitatore,
lo strillone-caporione.
Soffocando
i torrenti della poesia,
io avanzerò
tra volumi di liriche,
da vivo
ai vivi parlando.
Verrò da voi
in un futuro comunista,
non come
il melodioso bardo eseniano.
La mia poesia giungerà
attraverso i crinali dei secoli
e attraverso le teste
dei governi e dei poeti.
La mia poesia giungerà alla meta,
ma essa vi giungerà,
non come una freccia
lanciata da Cupido a sorte,
non come arriva
a un numismatico una consunta moneta
e non come arriva la luce delle stelle morte.
La mia poesia
con la fatica
sfonderà la mole degli anni
e apparirà
ponderosa,
rude,
visibile,
come ancora oggi
è visibile l’acquedotto,
eretto
dagli schiavi di Roma.
Nei tumuli di libri,
di versi seppelliti,
ritrovando per caso la ferraglia delle strofe,
voi
con rispetto
prendetela in mano,
come vecchia
arma fatale.
Io
l’oreccchio
con la parola
non sono avvezzo a carezzare;
il delicato orecchio di ragazza
nei riccioli
dal doppio senso sfiorato
non arrossirà.
Dopo aver disteso in parata
le mie pagine-plotoni,
io passerò
il fronte delle strofe.
I versi stanno
pesanti come piombo,
pronti anche alla morte
e alla gloria immortale.
I poemi sono morti,
canna contro canna
dei titoli puntati
e squarciati.
L’arma
del genere
preferito,
è pronta
a lanciarsi con un grido,
s’è irrigidita
la cavalleria delle facezie,
avendo alzate delle rime
le lance acuminate.
E tutte
le truppe fino ai denti armate,
che venti anni nelle vittorie
hanno passato,
fino all’ultima
pagina
io affido a te,
proletario del pianeta.
Il nemico
della classe operaia –
è anche il mio nemico,
giurato e di vecchia data.
Ci hanno chiesto
di andare
con la bandiera rossa
anni di lavoro
e giorni di fame.
Noi aprivamo
di Marx
ogni volume,
come in casa
propria
apriamo le persiane,
ma anche senza lettura
noi sapevamo
da che parte andare,
contro chi lottare.
A noi
la dialettica
non l’ha insegnata Hegel.
Essa al suono delle lotte
nei versi è penetrata,
quando
sotto le pallottole
i borghesi fuggivano da noi,
come noi
un tempo
fuggivamo da loro.
Che
dietro ai geni
come vedova sconsolata
si trascini la gloria
in una funebre marcia –
muori, o mio verso,
muori, come semplice soldato,
come ignoti
all’attacco sono morti i nostri!
Io sputo sopra
il bronzo dei monumenti
io sputo sopra
il viscido marmo.
Grondiamo di gloria –
noi tutti noi, -
che il nostro
monumento comune
sia il socialismo
eretto
nelle lotte.
O posteri,
controllate i galleggianti dei dizionari:
dal Lete
emergeranno
i resti di parole
come «prostituzione»,
«tubercolosi»,
«blocco».
Per voi
che
siete sani e destri,
il poeta
leccava
gli sputi dei tisici
con la ruvida lingua del manifesto.
Con la coda degli anni
io divento la somiglianza
di mostri
fossili con la coda.
Compagna vita,
su,
presto bruciamo,
bruciamo
in cinque anni
il resto dei giorni.
A me
neanche un rublo
hanno portato i versi,
di ebano
non è arrivato un mobile in casa.
E tranne
una camicia fresca di bucato,
dirò sinceramente,
a me non serve niente.
Entrato
Nella Commissione di Controllo
dei luminosi
anni che verranno,
io sulla banda
di poeti
scrocconi e furfanti
solleverò
come tessera bolscevica,
i miei
libri di partito –
tutti quanti.
Во весь голос
Первое вступление в поэму
Уважаемые
товарищи потомки!
Роясь
в сегодняшнем
окаменевшем говне,
наших дней изучая потемки,
вы,
возможно,
спросите и обо мне.
И, возможно, скажет
ваш ученый,
кроя эрудицией
вопросов рой,
что жил-де такой
певец кипяченой
и ярый враг воды сырой.
Профессор,
снимите очки-велосипед!
Я сам расскажу
о времени
и о себе.
Я, ассенизатор
и водовоз,
революцией
мобилизованный и призванный,
ушел на фронт
из барских садоводств
поэзии —
бабы капризной.
Засадила садик мило,
дочка,
дачка,
водь
и гладь —
сама садик я садила,
сама буду поливать.
Кто стихами льет из лейки,
кто кропит,
набравши в рот —
кудреватые Митрейки,
мудреватые Кудрейки —
кто их к черту разберет!
Нет на прорву карантина —
мандолинят из-под стен:
«Тара-тина, тара-тина,
т-эн-н...»
Неважная честь,
чтоб из этаких роз
мои изваяния высились
по скверам,
где харкает туберкулез,
где блядь с хулиганом
да сифилис.
И мне
агитпроп
в зубах навяз,
и мне бы
строчить
романсы на вас,—
доходней оно
и прелестней.
Но я
себя
смирял,
становясь
на горло
собственной песне.
Слушайте,
товарищи потомки,
агитатора,
горлана-главаря.
Заглуша
поэзии потоки,
я шагну
через лирические томики,
как живой
с живыми говоря.
Я к вам приду
в коммунистическое далеко
не так,
как песенно-есененный провитязь.
Мой стих дойдет
через хребты веков
и через головы
поэтов и правительств.
Мой стих дойдет,
но он дойдет не так,—
не как стрела
в амурно-лировой охоте,
не как доходит
к нумизмату стершийся пятак
и не как свет умерших звезд доходит.
Мой стих
трудом
громаду лет прорвет
и явится
весомо,
грубо,
зримо,
как в наши дни
вошел водопровод,
сработанный
еще рабами Рима.
В курганах книг,
похоронивших стих,
железки строк случайно обнаруживая,
вы
с уважением
ощупывайте их,
как старое,
но грозное оружие.
Я
ухо
словом
не привык ласкать;
ушку девическому
в завиточках волоска
с полупохабщины
не разалеться тронуту.
Парадом развернув
моих страниц войска,
я прохожу
по строчечному фронту.
Стихи стоят
свинцово-тяжело,
готовые и к смерти
и к бессмертной славе.
Поэмы замерли,
к жерлу прижав жерло
нацеленных
зияющих заглавий.
Оружия
любимейшего
род,
готовая
рвануться в гике,
застыла
кавалерия острот,
поднявши рифм
отточенные пики.
И все
поверх зубов вооруженные войска,
что двадцать лет в победах
пролетали,
до самого
последнего листка
я отдаю тебе,
планеты пролетарий.
Рабочего
громады класса враг —
он враг и мой,
отъявленный и давний.
Велели нам
идти
под красный флаг
года труда
и дни недоеданий.
Мы открывали
Маркса
каждый том,
как в доме
собственном
мы открываем ставни,
но и без чтения
мы разбирались в том,
в каком идти,
в каком сражаться стане.
Мы
диалектику
учили не по Гегелю.
Бряцанием боев
она врывалась в стих,
когда
под пулями
от нас буржуи бегали,
как мы
когда-то
бегали от них.
Пускай
за гениями
безутешною вдовой
плетется слава
в похоронном марше —
умри, мой стих,
умри, как рядовой,
как безымянные
на штурмах мерли наши!
Мне наплевать
на бронзы многопудье,
мне наплевать
на мраморную слизь.
Сочтемся славою —
ведь мы свои же люди,—
пускай нам
общим памятником будет
построенный
в боях
социализм.
Потомки,
словарей проверьте поплавки:
из Леты
выплывут
остатки слов таких,
как «проституция»,
«туберкулез»,
«блокада».
Для вас,
которые
здоровы и ловки,
поэт
вылизывал
чахоткины плевки
шершавым языком плаката.
С хвостом годов
я становлюсь подобием
чудовищ
ископаемо-хвостатых.
Товарищ жизнь,
давай
быстрей протопаем,
протопаем
по пятилетке
дней остаток.
Мне
и рубля
не накопили строчки,
краснодеревщики
не слали мебель на дом.
И кроме
свежевымытой сорочки,
скажу по совести,
мне ничего не надо.
Явившись
в Це Ка Ка
идущих
светлых лет,
над бандой
поэтических
рвачей и выжиг
я подыму,
как большевистский партбилет,
все сто томов
моих
партийных книжек.