Foto di Steve Mc Curry per il calendario Lavazza
Alcuni
anni fa, vedendo una grossa mostra di Steve Mc Curry, a Milano, mi
ero almeno in parte ricreduto sul famoso fotografo. È vero che le
sue foto avevano, come sempre, quell'inconfondibile quanto irritante look National
Geographic, ma è anche vero che
molte delle immagini della mostra raccontavano storie intense
appoggiandosi su un'innegabile maestria tecnica.
Ora
la Lavazza fa uscire il suo calendario 2015, che quest'anno è stato
preparato da Mc Curry.
Pubblicitari e impaginatori di vario genere e tipo hanno scelto un'immagine particolare, quella corrispondente al mese di luglio, per
pubblicizzare il calendario e in quell'immagine mi sono imbattuto più
volte negli ultimi tempi (per ingrandirla cliccaci sopra).
La
trovo bruttissima, sia nella forma che nel contenuto.
La
forma innanzitutto. Quando l'intervento di post-produzione è spinto
così in là non mi sembra che si possa ancora parlare di fotografia.
È un'immagine-Photoshop, o un'immagine-Lightroom, ma certo non è
uno scatto, nella misura in cui ciò che il mio occhio percepisce è
molto più il lavoro di correzione grafica di una foto che la foto
stessa. Il risultato è peraltro pessimo, almeno a gusto mio, poiché
consiste in una di quelle immagini che sembrano uscite da un film di
animazione, ma che potrebbero benissimo essere state elaborate da un
qualsiasi anonimo smanettatore dotato di una certa competenza. Si
possono anche notare i limiti di quella competenza, nella misura in
cui le ombre sul personaggio principale non sono coerenti con quella
del personaggio che appare sulla destra, mentre il personaggio di
schiena tra l'alberello e il personaggio principale appare messo lì
con un copia e incolla andato un po' di fretta. L'aspetto materico
della pelle della ragazza principale, soprattutto della pelle della
faccia, è annullato da un pesante intervento di "pulizia",
che dà al soggetto un'aspetto da diva inceronata, o da bambola
comprata al supermercato. Sia il cielo che l'alberello sembrano
troppo "belli", cioè pulitini e geometrici, per essere
veri.
Per
quel che riguarda il contenuto, anche lì c'è poco da ridere. La
tunica che portano i vari personaggi, blu per la ragazza in primo
piano, per i suoi due cloni di spalle e per la donna che innaffia,
rispettivamente verde e azzurro per le altre due, la conosco bene. È
in realtà un ampio scialle di lana usato dai contadini delle
montagne etiopi. Lo so perché ne ho due, uno verde e uno azzurro,
che ho comprato sul posto anni fa. Sfido chiunque a trovare delle
contadine che lo portano in quel modo, sul corpo nudo. In quegli
scialli ci si avvolge, proprio perché sono usati in montagna, dove
fa freddo. La lana è relativamente grezza e comunque tessuta a mano,
e non ha mai l'aspetto liscio e privo di ogni difetto di quello della
"foto".
Tornando
per un istante alla pelle della ragazza etiope, tale Asnakech Thomas,
basta andare qui
e mettere il video in pausa sul decimo secondo dall'inizio per
rendersi conto di come la carnagione del volto sia stata oscenamente
schiarita. È il solito trucchetto a sfondo razzista che trasforma
una faccia africana in qualcosa di ibrido, di più "accettabile"
dal grande pubblico in quanto meno diverso da quello che l'acquirente
medio di Lavazza vede guardandosi allo specchio. Naomi Campbell e
altre modelle di origine africana si sono già ribellate in passato a
trattamenti simili. Michael Jackson no, ma quella è un'altra storia.
Un'altra
cosa mi dà fastidio nel volto della ragazza, e parlo di contenuto
più che di forma, la bocca con le labbra semichiuse, altro
trucchetto tendente a sessualizzare il soggetto, usato quasi
sistematicamente con le donne e praticamente mai con gli uomini.
Scrivendo
questo post ho cliccato qua e là su internet e ho trovato un altro
video.
Mettendo in pausa a 1 minuto e 18 secondi dall'inizio si vede
chiaramente che lo scialle della ragazza è viola, non blu, il che è
coerente con i miei ricordi. Quel viola l'ho visto spesso in Etiopia,
così come ho visto il verde e l'azzurro, ma quel blu, mai. Si vede
che allo Studio Testa, l'agenzia di pubblicità responsable della
campagna, non piace il viola.
Insomma,
con qualche ricerca supplementare potrei probabilmente trovare ancora
più cose da dire su quell'immagine, ma ho altro da fare nella vita,
quindi mi fermo qui. Noto solo, come ultima cosa, che un piccolo giro
su un internet mi ha permesso di vedere quanto la stampa
internazionale abbia osannato questo calendario che a me ha fatto
talmente girare i cabasisi che per sbollire la rabbia me ne vado a
farmi un buon caffé, assicurandomi che non sia un Lavazza.