lunedì 22 settembre 2014

Il poeta della settimana: Bashō

Matsuo Bashō

Dopo Ferlinghetti la scorsa settimana, ecco il mio secondo poeta della settimana: Matsuo Bashō. Nato nel 1664 e morto nel '94, è considerato il maestro dell'haiku. Il che mi permette di dar sfoggio di un po' di (falsa) erudizione.

Un haiku è un tipo di poesia che incominciò a diffondersi in Giappone nel '600. È composto da tre versi, rispettivamente di 5, 7 e 5 more. Cosa fosse una mora non lo sapevo neppure io prima di scoprirlo su internet qualche minuto fa, ma mò te lo spiego.
La mora non è una sillaba. È, fondamentalmente nella prosodia greca e latina, la minima unità di misura del ritmo, corrispondente a una sillaba breve. In linguistica invece è la durata di una vocale breve o di una consonante implosiva.
Ho trovato qualche spiegazione supplementare su un altro sito:
"Fin dai primi tempi c'è stata una certa confusione tra i termini Haiku, Hokku, e Haikai. Il termine hokku significa letteralmente 'verso iniziale' ed era il primo anello di una più lunga catena di versi conosciuta come haikai. Poiché l' hokku dava il tono al resto della catena poetica, svolgeva un ruolo privilegiato nella poesia haikai e non era raro che un poeta componesse un hokku indipendente senza poi andare più in là.
In gran parte grazie al lavoro di Masaoka Shiki, questa indipendenza fu formalmente stabilita nell'ultimo decennio dell'800 attraverso la creazione del termine haiku. Questa nuova forma di poesia doveva essere scritta, letta e intesa come una poesia indipendente, completa in sé stessa, invece che che come parte di una più lunga catena.
Quindi in un certo senso la storia dell'haiku inizia solo negli ultimi anni dell'800. I famosi versi dei maestri del periodo di Edo (1600-1868), come Basho, Yosa Buson e Kobayashi Issa, sono quindi degli hokku e vanno visti nella prospettiva della storia dell'haikai anche se oggi vengono generalmente letti come haiku indipendenti."
Detto questo, torniamo a Bashō.
È nel '72, credo a New York, che trovai un libretto della Penguin Books intitolato The narrow road to the deep North and other travel sketches (La stretta strada verso il profondo nord e altri schizzi di viaggio). Perché comprai quel libro, non ricordo. Il Giappone non mi è mai particolarmente interessato, ma può darsi che qualcuno mi avesse consigliato quel libro particolare. È una specie di diario di viaggio, molto meditativo e zen. Bashō racconta le sue giornate in prosa, a schizzi, intercalando la narrazione con i suoi haiku (o hokku, o come ti fa più piacere).

La poesia che ti propongo oggi è una delle più famose ed è conosciuta come L'haiku della rana. In giapponese fa così:

Furu ike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto

Il che, tradotto letteralmente, significa:

Vecchio stagno
rana si è tuffata dentro
rumore d'acqua.

Dal che dovrebbe apparirti ovvio che tradurre un haiku è praticamente impossibile. D'altronde su un altro sito anglofono ho trovato ben 30 traduzioni dello stesso poema, che vanno da Into the ancient pond / A frog jumps / Water’s sound! (Nell'antico stagno / salta una rana / Rumore d'acqua!) a A lonely pond in age-old stillness sleeps ... Apart, unstirred by sound or motion.... till / Suddenly into it a lithe frog leaps (Uno stagno solitario dorme in un'immobilità antica... / Più in là, indisturbato da suoni e movimenti... / Improvvisamente un'agile rana vi si butta dentro).
Vabbè, sono conscio del fatto che qui ho già perso la metà dei miei lettori. Quindi la smetto. Forse ciò che mi affascina negli haiku è che siano così lontani da me, dal mio modo di pensare e di sentire. Qualche volta fa bene andare a dare un'occhiata altrove.

Nel vecchio stagno
una rana si tuffa.
Rumore d'acqua.