Ieri sera un'inattesa constatazione mi
ha attraversato il cervello: due settimane fa ricorreva il centesimo
anniversario della nascita di mio padre. Come passa il tempo!..., mi
dirà il filosofo lettore.
Naturalmente mio padre a cent'anni non
c'è arrivato. Non è nemmeno arrivato ai settanta, come pure suo
padre prima di lui. Se credessi a un'ineluttabile fatalità familiare
forse incomincerei a scrivere bigliettini di ringraziamento e di
saluto, ma siccome quest'ultima frase non avrà mancato di far girare
a grande velocità a mia moglie quelle cose che girano a loro quando
a noi girano gli zebedei, soprassederò.
A proposito di zebedei: ti sei mai
chiesto perché si chiamino zebedei? Ovviamente noi tutti accaniti
lettori dei Santi Vangeli ben sappiamo che Zebedeo era il padre di
due apostoli, Giacomo il Maggiore e Giovanni. Sappiamo anche, da
Marco 3,17, che Gesù a quei due “pose nome Boanerghes,
che vuol dire figli del tuono”. Ma perché Zebedeo era un
tuono? Per via di una sua smodata passione per i fagioli che aveva
finito col procurargli un'aerofagia cronica? Per la smisurata energia
sessuale che gli veniva dal possesso di due testicoli grossi come
uova di struzzo? Non si sa. Misteri della fede.
Con mio padre non ci siamo mai capiti
granché. Neppure con mia madre, se è per quello. Ma non importa.
Quel che mi ha colpito è stato realizzare che, visto che mio padre
era del '13, suo padre e suo suocero erano entrambi nati, tanto per
dirne qualcuna, prima che Marconi inventasse la radio, Michelin gli
pneumatici per auto e i fratelli Lumière il cinema; prima della
scoperta della radioattività, prima della prima Olimpiade e persino
prima del primo numero della Gazzetta dello Sport. Due generazioni e,
hop!, un altro mondo.
Come passa il tempo!...
Di mio padre ho sempre saputo poco, era
uno che non parlava tanto. So che era figlio di un viaggiatore di
commercio tedesco che finì poi con l'emigrare negli Stati Uniti. Nel
New Jersey mise su una fabbrichetta di non so bene cosa verso la fine
del 1928. Poco dopo arrivò il crac del '29, nonno Rodolfo perse
tutto, morì e fu sotterrato nella ridente cittadina di Hoboken, cioè
dall'altra parte dell'Hudson rispetto a Manhattan. Quel che mi resta
di lui è un certificato di morte sul quale risulta sposato a una
sconosciuta. È bello avere un nonno bigamo.
Ma torniamo a mio padre, che nacque in
Germania, nell'industriosa Ruhr. Un anno dopo la sua nascita, sua
madre lo portò in Italia, probabilmente per farlo vedere alla
famiglia. Nonna Maddalena, che di cognome faceva Cavanna, in Italia
aveva previsto di restarci qualche settimana. Ma ecco che uno
studente serbo, tale Gavrilo Princip, si impicciò della cosa,
obbligando mia nonna a cambiare programma. Già che c'era, Gavrilo ne
approfittò per trasformare l'arciduca Francesco Ferdinando
d'Austria-Ungheria in colabrodo, mediante l'impiego di una pistola
Browning FN M1910 semiautomatica di fabbricazione belga (numero di
serie 19074, caricatore .32 ACP). Il fattaccio, ancor prima di
irritare nonna Maddalena (detta Lena), fece girare gli zebedei (ci
risiamo...) all'imperatore Francesco Giuseppe, che pensò bene di
dichiarare guerra alla Serbia, dando così inizio alla prima guerra
mondiale.
Ma torniamo a nonna Lena. Era alla
stazione di Torino, dove l'avevano accompagnata i genitori, e si
apprestava a ritornare in Germania col figlioletto in braccio. Ma
ecco che sua madre, cioè la mia bisnonna, temendo di vedere il
nipotino in pericolo di morte nella Germania del Kaiser Guglielmo che
tutti sapevano sarebbe presto entrata in guerra, convinse nonna Lena
a tornarsene da sola dal marito lasciando il pargolo, nonché mio
futuro genitore, in Italia. Tanto, come al solito, la guerra era
destinata a durare pochi mesi...
Fatto sta che il piccolo Schusterino si
ritrovò a vivere coi nonni in un paesino piemontese, Mosso Santa
Maria, che darà più tardi i natali al pittore Ugo Nespolo, di cui
mia moglie possiede una litografia e che io ho più volte incontrato
a casa di Enrico Baj (com'è piccolo il mondo!...).
Insomma, per farla breve, visto che sua
madre se l'era lasciato dietro a poco più di un anno, mio padre
conobbe i suoi genitori quando di anni ne aveva già sei, il che
dev'essere una cosa assai strana.
A parte questo, dell'infanzia di mio
padre non so praticamente niente. So solo che è a quattordici anni
che ha portato il suo primo paio di pantaloni lunghi. Lo so perché
quando me lo disse la cosa mi colpì molto. Io i miei primi pantaloni
lunghi li avevo avuti a nove anni, per la cresima. Oggi tutti i
neo-genitori sembrano invece d'accordo sul fatto che senza pantaloni
lunghi in tripla felpa foderata di pelo di yack un bambino
rischierebbe di trasformarsi in ghiacciolo alla menta già dal primo
di ottobre anche se abita a Salerno. (O tempora, o mores!...).
D'accordo:
questo post è sgangherato e fa acqua da tutte le parti almeno quanto
la logica politica di Beppe Grillo, se non di più (no, di più non è
possibile).
Resta
il fatto che pensare che mio padre è nato cent'anni fa mi fa strano.
Tutto qui.
P.S. Quello sulla foto, naturalmente, non è mio padre, bensì il Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Siccome in questo momento sono in Alsazia non ho sottomano foto di mio padre. Allora mi sono detto che la foto di un omonimo illustre sarebbe stata meglio di niente.