mercoledì 10 novembre 2010

Vieni via con me (It's Wonderful)

 
 I due Roberti

Scrive un amico su Facebook:
"Ce li meritiamo i Benigni, i Fazio e le suore tolleranti, perché crediamo ancora che essere di sinistra sia costume. Ce li meritiamo il vittimismo gay di Vendola, perché crediamo che essere di sinistra sia piangersi addosso. Invece è un fatto di giurisprudenza. In Italia siamo ancora alle questioni identitarie, all'immagine di sé, alle parrocchie, mentre il mondo sprofonda per cose concrete di soldi e giurisprudenza."
E mi viene da scrivere:
ma ce li meritiamo davvero gli intellettuali "di sinistra" (mah...) che quando piove a dirotto e uno gli propone un riparo non sanno far altro che discutere per ore sul colore dell'ombrello e intanto si infradiciano di pioggia e diventano ridicoli anche solo da guardare? Ce li meritiamo quelli che rifiutano di salire sull'ultimo treno perché ha il predellino a righe invece che a quadretti? Quelli che giudicano un discorso dal numero di citazioni di Bourdieu? Quelli che preferiscono parlare del “vittimismo gay” di Vendola, infangando così l'incredibile storia di un uomo che, dichiaratamente omosessuale, è riuscito a farsi eleggere governatore delle Puglie (delle Puglie!)? Quelli che credono ancora che essere di sinistra possa essere cosa solo “di giurisprudenza”, e non importa se gli omosessuali continuano a essere “checche, culattoni, froci, ecc.”; non importa se all'idraulico non si chiede la fattura, tanto gli evasori sono gli altri; non importa se si parla d'amicizia, d'amore e di felicità, perché con quelle cose lì non si fanno le leggi (che è poi lo stesso, anche se di segno opposto, che dire che con la Divina commedia non ti ci puoi fare un panino, come dice Tremonti); non importa l'immagine di sé, non importano le questioni identitarie dentro alle quali quelli del Palazzo (come diceva Pasolini) ti umiliano e ti distruggono da sempre, importano solo le “cose concrete di soldi e giurisprudenza”; non importa se ti comporti come un pirla con la famiglia, gli amici e i colleghi di lavoro (sono solo fatti privati), l'importante è essere di sinistra quando vai a votare; non importano le questioni identitarie, perché se sei una donna, un omosessuale, un terrone, un immigrato o quant'altro, l'importante è che voti giusto, ché poi così aiuti a far sorgere il sol dell'avvenire che mette tutto a posto?
Ce li meritiamo davvero?
Io ho sessant'anni. Faccio parte di quella generazione benedetta e maledetta che ha voluto cambiare il mondo e poi ne ha fatto uno peggiore di quello che c'era prima. A vent'anni credevo che se uno aveva i capelli lunghi come me era perché era “di sinistra” e insieme avremmo fatto grandi cose. Oggi i capelli lunghi ce li ha anche Briatore e prima di lui ce li ha avuti De Michelis. La mia generazione ha fallito miseramente. Ma il suo fallimento non è stato causato dalle preoccupazioni libertarie, dagli slogan sessantotteschi come “aimons-nous sans contraintes(amiamoci senza costrizioni) o “le bonheur est une idée neuve(la felicità è un'idea nuova), ma dallo stalinismo più becero e rigido che succedette al '68, dal “rigore intellettuale” degli intellettuali di mestiere che si estasiavano davanti a Sartre ma erano incapaci di leggere Baudelaire.
Nell'estate del 1970 andai all'isola di Wight per il festival rock rimasto famoso perché fu l'ultima apparizione pubblica di Jimi Hendrix. Per caso incontrai alcuni conoscenti che appartenevano al Movimento Studentesco milanese. Io di quel movimento ero un simpatizzante, ma nulla più. Passammo un paio di giorni insieme ad ascoltare Donovan, I Ten Years After, Miles Davis, Joan Baez e tutti gli altri. Poi, al momento di ripartire per l'Italia, quelli mi chiesero di non dire a nessuno che li avevo visti all'isola di Wight perché “non era una cosa da compagni”. Si vergognavano di essersi andati a divertire e temevano che, se la cosa si fosse saputa, avrebbero potuto essere espulsi dal Movimento! Quel fatto privato, quel fatto di costume, doveva rimanere segreto, come una macchia inconfessabile.
Ho l'impressione che oggi quell'assurda e patetica coglioneria sia viva e vegeta più che mai nelle parole e nei pensieri di chi, davanti a Benigni, Fazio, Saviano, Vendola e Abbado che dicono in televisione parole che ormai dalla televisione siamo abituati a non aspettarci più, non trova altro da fare che andarsi a cercare il pelo nell'uovo, o, come dicono i francesi, andarsi a “enculer les mouches”, a inculare le mosche. C'è un carro armato che ci sta schiacciando tutti e quelli se ne stanno lì a chiedersi se per scappare devono mettersi le scarpe nere o quelle marron, e se è meglio scappare con quelli che hanno una camicia blu o una camicia gialla.
Vieni via con me l'ho guardata anch'io. Non è stata un granché come trasmissione, sono d'accordo. Ma l'emozione che traspariva da quelle facce e da quelle parole, l'incertezza di quei gesti, l'approssimazione di quelle frasi, assomigliavano molto di più alla vita di tutti i discorsi politicamente corretti che si possono fare dopo. Già: l'emozione. Ma è proprio quello il concetto che sembra tanto difficile da accettare a tanta parte della “sinistra”, che non riesce a vederci che un fatto privato, di costume, politicamente insignificante.
Aimons-nous sans contraintes.