domenica 2 giugno 2013

Vermont

La mia suite nel Vermont

Grandi progressi. Il terzo giorno dopo l'arrivo negli Stati Uniti mi sono alzato alle cinque e mezzo del mattino. Sempre meglio delle quattro e mezzo dei due giorni precedenti.
Ho passato due notti a Brooklyn, a casa di Peter, un amico carpentiere. Il rituale all'arrivo è sempre lo stesso: passare almeno un giorno a New York a fare spese. Prima di tutto, un salto da B&H, all'incrocio della 34esima strada con la nona avenue. Per gli amanti di fotografia, il negozio più bello del mondo. C'è sempre qualcosa da comprare. Il problema è tirar fuori tutta la forza di volontà possibile e immaginabile per non liquidare in un'ora il budget di un mese, cibo compreso. Non solo i prezzi sono molto bassi, rispetto all'Europa, ma la quantità e la varietà di piccoli accessori che appena li vedi ti sembrano indispensabili è decisamente sesquipedale. Un'idea del negozio puoi averla qui.
Da B&H una breve camminata mi porta poi sulla 36esima, dopo la settima avenue, da Old Navy, grosso negozio di vestiti a buon mercato. Primo acquisto, due o tre paia di pantaloni a meno di 30 dollari, di quelli simili ai Docker's della Levi's, ma di migliore qualità e a circa un terzo del prezzo. Poi magliette a gogò (tra 15 e 20 dollari), due o tre camicie (meno di 30) e infine, oh goduria del nobile disprezzatore di slip strizzacabasisi che, come tutti i gentiluomini, si rifiuta di offrire alle sue parti intime altro che la giusta e soffice protezione di variegati boxer, mutande multicolori a 7 o 8 dollari!
Uscito da Old Navy erano ormai le undici passate e, mentre in Toscana un pomeriggio piovoso imponeva non solo l'impermeabile, ma anche un buon golf sotto l'impermeabile, l'afa newyorkese, decisamente africaneggiante, mi ha immediatamente convinto che camminare fino a Union square per andarmi a comperare un paio di indistruttibili sandali Teva, anche loro a metà prezzo rispetto all'Italia, sarebbe stato un gesto suicida. Quindi mi sono infilato nella puzzolente metropolitana.
Gli anni passano e la metro di New York invecchia senza che nessuno sembri preoccuparsene. Fa davvero schifo e ha un odore tutto suo, diverso da quelle di Londra, Parigi, o Milano, un odore che andrebbe omologato nella Lista Internazionali degli Odori sotto il nome di New York subway. È un misto di topo morto, sudore ascellare multiplo, polvere pluridecennale, acqua stagnante, muri marci, metallo coperto di grasso e deodoranti di ogni genere e tipo. Sulla scala della gradevolezza olfattiva che va da 1 a 10 il New York subway merita un bel -27. Tanto per intenderci, la cacca di uno sconosciuto che aveva appena mangiato asparagi all'aglio è a -5.
Ah, New York! Sarà anche la città per antonomasia, la big apple, la città dove tutto è possibile, quella del melting-pot e degli splendidi musei, della Tiffany's di hepburniana memoria e di Cary Grant che si fa prendere per Mr. George Kaplan nella hall del Plaza, sarà tutto quello che vuoi, ma non ci vivrei nemmeno per un cacazillione di dollari.
È quindi con l'animo leggero che ieri mattina sono salito a bordo della (molto) vecchia Toyota Corolla di Peter per la partenza verso il Vermont. Un piccolo stop a Brooklyn Heights (con vista da cartolina su Manhattan) per recuperare una macchina da cucire a casa di sua madre, un altro breve stop sull'89esima per accogliere a bordo Geneviève, e via verso nord per un viaggetto di sette ore abbondanti attraverso Connecticut et Massachusetts verso il North East Kingdom, la parte più a nord e più isolata di uno dei più piccoli Stati dell'Unione.
Il Vermont è un altro mondo. Un triangolo di territorio con la punta verso il basso: 250 chilometri da nord a sud, mediamente 130 da est a ovest, una superficie appena superiore a quella della Toscana, con colline altrettanto dolci a perdita d'occhio, ma colline coperte da boschi e foreste, con una densità di popolazione di pochissimo superiore a quella della Svezia. Forse buona parte della Toscana assomigliava al Vermont 1200 anni fa, quando vagavano orsi e lupi là dove oggi ci sono outlet e svincoli autostradali. Qui ci sono cervi, alci, orsi, coyote, procioni, puzzole, oche delle nevi, aironi, perfino colibrì che poi se ne vanno a passare l'inverno in Messico, visto che qui gli inverni sono quasi siberiani. I vecchi vermontesi dicono che qui ci sono solo due stagioni: l'inverno e luglio. E infatti, nonostante ieri fossimo intorno ai trenta gradi, una settimana fa ha nevicato. Mica era luglio...
Adesso eccomi immerso nel verde per un mese, nel mondo del Bread and Puppet. È mattino presto, tutti dormono ancora, gli uccelli fanno cip cip (a dire il vero fanno un casino infernale), il sole è ancora basso, la temperatura ideale. Ho appena letto sul sito di Repubblica un paio di titoli che mi hanno riempito di gioia. Gioia di essere perso in un mare di boschi a migliaia di chilometri distanza.