venerdì 7 giugno 2013

Vermont (2)


 Nel deposito dei pupazzi

Come ho scritto l'altro ieri, sono nel Vermont, dal Bread and Puppet, la compagnia con la quale feci i miei primi passi da marionettista 44 anni fa, appena uscito dalla scuola del Piccolo di Milano. Ci sono venuto varie volte in questi ultimi anni, dopo una lunga pausa di 27 anni. Ma non ero mai venuto presto come quest'anno, ai primi di giugno.
Il paesino di 950 abitanti accanto al quale si trova la fattoria del Bread è alla latitudine di Marina di Ravenna, ma ovviamente non c'è il mare e la gente è molto poco romagnola.
Non sono quanto sia grande il terreno della fattoria, forse una trentina di ettari. C'è il la fattoria vera e propria, con il vecchio granaio dell'800 che serve da museo; attaccato alla fattoria c'è il laboratorio dove vengono tenuti martelli, cacciaviti, seghe e attrezzi vari; sopra il laboratorio, la painting room, la stanza della pittura, detta anche music room perché certe volte ospite prove musicali, o ancora ballroom, perché è molto chic poter dire che si ha una sala da ballo.
All'esterno, di fianco all'ingresso del museo, c'è uno dei forni artigianali che Peter Schumann si è costruito anni fa per cuocere il suo famoso pane, protetto da una tettoie di alluminio. Il forno è stato fatto intrecciando rami umidi su una base di mattoni da camino, usando poi la struttura così ottenuta per fare una volta di creta. Una volta ottenuta la forma voluta, è bastato accendere un grande fuoco per far seccare l'argilla in modo definitivo. 

Lavori sul tetto della fattoria

Il museo, aperto al pubblico da metà giugno a fine settembre è un posto incredibile nel quale sono in mostra migliaia di pupazzi di ogni genere e tipo, dai più piccoli a quelli di 5 o 6 matri d'altezza, che Peter ha usato in cinquant'anni di spettacoli. Sotto il museo c'è un grande spazio diviso in varie sezioni. La più grande non serve a granché, è uno spazio di riserva. In un'altra ci sono i barattoli di pittura e i pennelli di cui Peter si serve quando dipinge all'aperto. C'è poi una piccola scena con qualche panca dove occasionalmente viene fatto uno spettacolo e c'è il music shed, dove si trovano gli strumenti musicali appartenenti alla compagnia (quelli personali vengono tenuti nella music room).
Sopra il museo c'è la costume room, con ogni genere di indumento e accessori come cappelli, borse cinture, ecc., nonché la banner room, con centinaia di bandiere fatte a partire dai tessuti stampati nel printing building. In cima al tetto del museo c'è una campana che viene suonata quando è ora di pranzo e cena, o quando c'è necessità di una riunione dell'insieme della troupe.
Dietro il museo c'è il Paper mache cathedral and dirt floor theater, o cattedrale di cartapesta e teatro in terra battuta. Comprende una grande mezzanina e un vasto primo piano con altre centinaia di pupazzi a disposizione. Al di là di una grossa siepe c'è l'orto, poi il Printing building, o casa della tipografia, dove vengono stampati a mano manifesti, piccoli libri e serigrafie su tessuto; di fianco al Printing building in questo momento c'è una spianata rotonda di una dozzina di metri di diametro destinata ad accogliere nei prossimi giorni una grande yurta nella quale vivra Eddie, che sarà incaricato della manutenzione generale nei prossimi anni.
Un po' più in su c'è una casa in legno appartenente a una delle figlie Schumann, una vecchia grossa roulotte appartenente a un'altra, e, in cima alla collina, la casa di Peter e della moglie, Elka.
Di fronte alla fattoria, dall'altro lato della strada sulla quale le macchine che passano sono numerose come su una provinciale della Basilicata una domenica mattina prima delle sei, c'è lo storage shed, il deposito dove vengono tenuti a disposizione per nuovi spettacoli centinaia e centinaia di pupazzi e maschere che hanno già servito in spettacoli precedenti. Accanto allo storage shed c'è una tettoia sotto la quale si trovano il ladder shed per le scale, il pole shed per i pali, lo ski shed per gli sci e il garbage shed per le bottiglie di vetro vuote, i barattoli d'alluminio, i pezzi di cartone e altre cose riciclabili.
Dietro lo shed c'è lo stagno delle anatre. Prendendo il sentiero sulla destra si arriva a una batteria di outhouses, ovvero gabinetti da campagna, in legno. Fondamentalmente sono delle assi da gabinetto fissate su una struttura in legno che danno su un grosso buco nel quale, dopo aver fatto quel che si deve, si butta un po' di segatura. La natura fa il resto. 

 Outhouses

 Sulla sinistra delle outhouses c'è il secondo orto, più grande dell'altro, con accanto il recinto dei maiali, che in questo momento sono tre.
Riprendendo il sentiero e lasciandosi sulla sinistra un altro forno artigianale, più grosso del primo, in grado di accogliere una sessantina di grossi pani da più di un chilo, si arriva all'arena naturale dove siede il pubblico estivo per assistere agli spettacoli domenicali. In questo momento ci pascolano una buona ventina di pecore che però saranno spostate più in là tra una quindicina di giorni. Sopra l'anfiteatro c'è il bosco di conifere, con alberi altissimi il cui fogliame inizia a una buona ventina di metri da terra, che ospita una serie di piccoli memoriali dedicati ognuno a un membro della compagnia deceduto negli anni passati. E poi ci sono Germantown, Las Palmas e The gravel pit, tre posti abbastanza protetti dalla vegetazione, comprendenti ognuno uno o più vecchi autobus trasformati in residenze estive, qualche vecchia roulotte e qualche minuscola casetta di legno di una stanza sola. 

I tre maiali
 
In questo momento siamo solo 25 alla fattoria, ma alla fine di giugno arriverà il primo gruppo di una quarantina di stagisti, al quale ne seguirà un secondo in agosto. Il che non vuol dire che ci saranno solo 65 persone a tavola, visto che, almeno nei week-end, un'altra buona trentina di “vicini” saranno regolarmente presenti per partecipare agli spettacoli. Ho messo vicini tra virgolette perché, vista la densità di popolazione del Vermont, alcuni di loro vengono da qualche decina di chilometri più in là.
Per ora fervono i preparativi. L'inverno qui è finito da poco — l'ultima nevicata c'è stata dieci giorni fa — e l'inverno è una cosa seria quando il termometro scende fino a -30°. Oggi degli operai venuti da fuori stanno riparando una parte del tetto. Ieri io e Geneviève abbiamo passato tutta la giornata a mettere ordine nella stanza del cucito mentre altri si occupavano chi dell'orto, chi del deposito delle bandiere, chi delle pecore, chi dei preparativi per le prossime prove nella cattedrale.
Credo sia impossibile spiegare come funziona la vita qui. Forse se ne può avere un'idea andando a guardare qualche documentario sulle comuni hippy degli anni '60. È un miscuglio di organizzazione collettiva e di caos totale, di osservanza di regole relativamente precise e di (spesso incongrue) iniziative personali. Come in ogni comunità è molto raro che qualcuno ti venga a dire che non puoi fare questa o quella cosa, ma se la fai ti accorgi subito di avere sbagliato. Vivere in comunità è estremamente rassicurante e un po' inquietante al tempo stesso. Giorno dopo giorno devi trovare il tuo ritmo e il tuo ruolo e devi crearti dei piccoli spazi fuori dalle righe se non vuoi correre il rischio di diventare un buon soldatino. 

 Nel bosco

Ovviamente se tante decine di persone vengono qui ogni estate e se tante tornano, anno dopo anno, da decenni, è per avere il privilegio di lavorare con Peter Schumann. Io quel privilegio ho avuto la fortuna di averlo per la prima volta a diciannove anni ed è una cosa che mi ha formato e mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Vedere il mio vecchio maestro ormai quasi ottantenne, ma sempre attivo e vulcanico come più di quarant'anni fa, e partecipare ancora un po' al suo lavoro è come tornare a una sorgente alla quale mi sono avidamente abbeverato in gioventù e che ancora oggi mi disseta.
È bello essere qui, è forte, è intenso.
E adesso vado a fumarmi una sigaretta asdraiato sull'erba, sperando di veder passare un airone.