Nel deposito dei pupazzi
Come ho scritto
l'altro ieri, sono nel Vermont, dal Bread and Puppet,
la compagnia con la quale feci i miei primi passi da marionettista 44
anni fa, appena uscito dalla scuola del Piccolo di Milano. Ci sono
venuto varie volte in questi ultimi anni, dopo una lunga pausa di 27
anni. Ma non ero mai venuto presto come quest'anno, ai primi di
giugno.
Il paesino di 950
abitanti accanto al quale si trova la fattoria del Bread è
alla latitudine di Marina di Ravenna, ma ovviamente non c'è il mare
e la gente è molto poco romagnola.
Non sono quanto sia
grande il terreno della fattoria, forse una trentina di ettari. C'è
il la fattoria vera e propria, con il vecchio granaio dell'800 che
serve da museo; attaccato alla fattoria c'è il laboratorio dove
vengono tenuti martelli, cacciaviti, seghe e attrezzi vari; sopra il
laboratorio, la painting room,
la stanza della pittura, detta anche music room perché
certe volte ospite prove musicali, o ancora ballroom,
perché è molto chic poter dire che si ha una sala da ballo.
All'esterno,
di fianco all'ingresso del museo, c'è uno dei forni
artigianali che Peter Schumann si è costruito anni fa per cuocere il
suo famoso pane, protetto da una tettoie di alluminio. Il forno è
stato fatto intrecciando rami umidi su una base di mattoni da camino,
usando poi la struttura così ottenuta per fare una volta di creta.
Una volta ottenuta la forma voluta, è bastato accendere un grande
fuoco per far seccare l'argilla in modo definitivo.
Lavori sul tetto della fattoria
Il museo, aperto al
pubblico da metà giugno a fine settembre è un posto incredibile nel
quale sono in mostra migliaia di pupazzi di ogni genere e tipo, dai
più piccoli a quelli di 5 o 6 matri d'altezza, che Peter ha usato in
cinquant'anni di spettacoli. Sotto il museo c'è un grande spazio
diviso in varie sezioni. La più grande non serve a granché, è uno
spazio di riserva. In un'altra ci sono i barattoli di pittura e i
pennelli di cui Peter si serve quando dipinge all'aperto. C'è poi
una piccola scena con qualche panca dove occasionalmente viene fatto
uno spettacolo e c'è il music shed,
dove si trovano gli strumenti musicali appartenenti alla compagnia
(quelli personali vengono tenuti nella music room).
Sopra il museo c'è
la costume room, con ogni
genere di indumento e accessori come cappelli, borse cinture, ecc.,
nonché la banner room,
con centinaia di bandiere fatte a partire dai tessuti stampati nel
printing building. In
cima al tetto del museo c'è una campana che viene suonata quando è
ora di pranzo e cena, o quando c'è necessità di una riunione
dell'insieme della troupe.
Dietro il museo c'è
il Paper mache cathedral
and dirt floor theater, o
cattedrale di cartapesta e teatro in terra battuta. Comprende una
grande mezzanina e un vasto primo piano con altre centinaia di
pupazzi a disposizione. Al di là di una grossa siepe c'è l'orto,
poi il Printing building,
o casa della tipografia, dove vengono stampati a mano manifesti,
piccoli libri e serigrafie su tessuto; di fianco al Printing
building in questo momento c'è
una spianata rotonda di una dozzina di metri di diametro destinata ad
accogliere nei prossimi giorni una grande yurta nella quale vivra
Eddie, che sarà incaricato della manutenzione generale nei prossimi
anni.
Un
po' più in su c'è una casa in legno appartenente a una delle figlie
Schumann, una vecchia grossa roulotte appartenente a un'altra, e, in
cima alla collina, la casa di Peter e della moglie, Elka.
Di
fronte alla fattoria, dall'altro lato della strada sulla quale le
macchine che passano sono numerose come su una provinciale della
Basilicata una domenica mattina prima delle sei, c'è lo storage
shed, il deposito dove vengono
tenuti a disposizione per nuovi spettacoli centinaia e centinaia di
pupazzi e maschere che hanno già servito in spettacoli precedenti.
Accanto allo storage shed
c'è una tettoia sotto la quale si trovano il ladder shed
per le scale, il pole shed
per i pali, lo ski shed
per gli sci e il garbage shed
per le bottiglie di vetro vuote, i barattoli d'alluminio, i pezzi di
cartone e altre cose riciclabili.
Dietro
lo shed c'è lo stagno
delle anatre. Prendendo il sentiero sulla destra si arriva a una
batteria di outhouses,
ovvero gabinetti da campagna, in legno. Fondamentalmente sono delle
assi da gabinetto fissate su una struttura in legno che danno su un
grosso buco nel quale, dopo aver fatto quel che si deve, si butta un
po' di segatura. La natura fa il resto.
Outhouses
Sulla
sinistra delle outhouses c'è
il secondo orto, più grande dell'altro, con accanto il recinto dei
maiali, che in questo momento sono tre.
Riprendendo
il sentiero e lasciandosi sulla sinistra un altro forno artigianale,
più grosso del primo, in grado di accogliere una sessantina di
grossi pani da più di un chilo, si arriva all'arena naturale dove
siede il pubblico estivo per assistere agli spettacoli domenicali. In
questo momento ci pascolano una buona ventina di pecore che però
saranno spostate più in là tra una quindicina di giorni. Sopra
l'anfiteatro c'è il bosco di conifere, con alberi altissimi il cui
fogliame inizia a una buona ventina di metri da terra, che ospita una
serie di piccoli memoriali dedicati ognuno a un membro della
compagnia deceduto negli anni passati. E poi ci sono Germantown,
Las Palmas e The
gravel pit, tre posti abbastanza
protetti dalla vegetazione, comprendenti ognuno uno o più vecchi
autobus trasformati in residenze estive, qualche vecchia roulotte e
qualche minuscola casetta di legno di una stanza sola.
I tre maiali
In
questo momento siamo solo 25 alla fattoria, ma alla fine di giugno
arriverà il primo gruppo di una quarantina di stagisti, al quale ne
seguirà un secondo in agosto. Il che non vuol dire che ci saranno
solo 65 persone a tavola, visto che, almeno nei week-end, un'altra
buona trentina di “vicini” saranno regolarmente presenti per
partecipare agli spettacoli. Ho messo vicini tra virgolette perché,
vista la densità di popolazione del Vermont, alcuni di loro vengono
da qualche decina di chilometri più in là.
Per
ora fervono i preparativi. L'inverno qui è finito da poco —
l'ultima nevicata c'è stata dieci giorni fa — e l'inverno è una
cosa seria quando il termometro scende fino a -30°. Oggi degli
operai venuti da fuori stanno riparando una parte del tetto. Ieri io
e Geneviève abbiamo passato tutta la giornata a mettere ordine nella
stanza del cucito mentre altri si occupavano chi dell'orto, chi del
deposito delle bandiere, chi delle pecore, chi dei preparativi per le
prossime prove nella cattedrale.
Credo
sia impossibile spiegare come funziona la vita qui. Forse se ne può
avere un'idea andando a guardare qualche documentario sulle comuni
hippy degli anni '60. È un miscuglio di organizzazione collettiva e
di caos totale, di osservanza di regole relativamente precise e di
(spesso incongrue) iniziative personali. Come in ogni comunità è
molto raro che qualcuno ti venga a dire che non puoi fare questa o
quella cosa, ma se la fai ti accorgi subito di avere sbagliato.
Vivere in comunità è estremamente rassicurante e un po' inquietante
al tempo stesso. Giorno dopo giorno devi trovare il tuo ritmo e il
tuo ruolo e devi crearti dei piccoli spazi fuori dalle righe se non
vuoi correre il rischio di diventare un buon soldatino.
Nel bosco
Ovviamente
se tante decine di persone vengono qui ogni estate e se tante
tornano, anno dopo anno, da decenni, è per avere il privilegio di
lavorare con Peter Schumann. Io quel privilegio ho avuto la fortuna
di averlo per la prima volta a diciannove anni ed è una cosa che mi
ha formato e mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Vedere il
mio vecchio maestro ormai quasi ottantenne, ma sempre attivo e
vulcanico come più di quarant'anni fa, e partecipare ancora un po'
al suo lavoro è come tornare a una sorgente alla quale mi sono
avidamente abbeverato in gioventù e che ancora oggi mi disseta.
È
bello essere qui, è forte, è intenso.
E
adesso vado a fumarmi una sigaretta asdraiato sull'erba, sperando di
veder passare un airone.