mercoledì 19 giugno 2013

Vermont (3)

Shadow lake

Stamattina quando sono sceso dalla mia stanzetta mansardata per andare a mingere piacevolmente contro un albero dall'altra parte del sentiero ho dato un'occhiata al termometro appeso al muro esterno della fattoria: 48° Farenheit. Mentre me ne stavo lì in piedi tenendo in mano il cosino intirizzito di cui il Creatore ha avuto la buona idea di dotarmi, cercando di tenerlo in una posizione favorevole alla fuoruscita di liquidi ormai inutili, ho fatto una conversione mentale in centigradi: 8°. Mmmh... Sono tornato in camera, ho verificato sul computer: 8,889° C, per essere precisi. Doppio mmmh...
Emergendo dal letto mi ero infilato sandali e bermuda, ma avevo preso la precauzione di aggiungere un pile invernale alla t-shirt gialla con su scritto Rebel Music Rockers Club.
Sì: ho una t-shirt gialla con su scritto Rebel Music Rockers Club, non chiedermi perché. A dir la verità ne ho anche una con su il logo della birra Coors, il che ha scatenato ilarità e sdegno generale quando l'ho sfoggiata la settimana scorsa, non solo perché la birra Coors fa schifo, ma anche perché pare che il padrone della Coors sia un Repubblicano di quelli che trovavano che Bush era uno di sinistra. Il fatto che l'avessi pagata meno di 10$ (8€) al negozio Old Navy della 36esima strada di Manhattan non è stato accettato come una giustificazione sufficiente da nessuno.
Sono andato in cucina, ho aperto l'imponente frigorifero probabilmente uscito dalla fabbrica quando John Wayne andava ancora a cavallo con tanto di camicia rossa e gilet di cuoio e mi sono servito una dose inconfessabile di quello yoghurt denso come le chiappette di Uma Thurman a vent'anni che Gabe prepara regolarmente in grandi vasi di vetro. Anche solo alla vista di quella bianca delizia qualsiasi patologo specializzato nella cura del colesterolo non esiterebbe a tagliarsi le vene, impiccarsi e spararsi in bocca per maggiore precauzione, ma non importa.
Versato lo yoghurt dentro una scodellina bianca col bordo verde, ho visto che la la Moka era appoggiata sui fornelli. Soffermiamoci un momento su questa Moka. Credo che la Bialetti l'abbia sfornata come prototipo unico, forse per esporla in qualche fiera di provincia: ha dimensioni pazzesche. Non so quante tazzine di espresso potrebbe riempire, ma se l'esercito coreano dovesse invadere gli Stati Uniti basterebbe preparare il caffé una sola volta per soddisfare tutti gli artiglieri di Kim Jong-un. Oltre tutto qualcuno deve avere spiegato a questi americani che una Moka non va mai lavata col detersivo, ma siccome probabilmente questo qualcuno non parlava abbastanza bene l'inglese, è stato frainteso: non solo la Moka non è mai stata lavata con alcun detersivo all'interno, ma è stata amorevolmente protetta da ogni pericolo pulitorio anche all'esterno, assumendo col tempo una patina non solo nera come una notte senza luna in un tunnel congolese, ma anche spessa come l'adipe di Giuliano Ferrara. Ha un aspetto così minaccioso che sembra una delle astronavi di Darth Fener.
Nella caffettiera c'era ancora una buona dose di caffé del giorno prima. “E che me ne importa a me?, mi sono detto, tanto, riscaldato o no, è comunque una schifezza...” E, riversata la brodaglia marrone in un pentolino, me la sono riscaldata. Ho preso una tazza col manico con su scritto I❤NY, ho versato il caffé, ho aggiunto una buona dose di latte presa dal contenitore di plastica da 1 gallone (3,7854118 litri), due cucchiaini di zucchero, e sono tornato in giardino. Niente da fare: né i miei sandali, né i miei bermuda verde scuro erano stati sufficienti per convincere la temperatura ad alzarsi a un livello accettabile per un 19 di giugno.
Dall'orto arrivavano i rumori della zappa di Chris, che probabilmente era già all'opera da più di un'ora. Geneviève è uscita di casa mentre la macchina di Elka scendeva dalla collina e le due se ne sono andate come ogni mattina a fare una nuotatina nelle acque gelide di Shadow Lake. È passato Eddie, quello che sta aspettando l'arrivo della yurta che ha ordinato e per la quale ha fabbricato una base di legno che assomiglia stranamente a un eliporto perfettamente incongruo nel verde del Vermont.
Ormai erano le 7 passate. È uscita Erin, con una borsa in spalla e degli occhiali da sole dietro i quali si indovinavano, dalla camminata strascicata, due occhi ancora avvolti dai fumi del sonno. “Hi, Erin”. “'Morning, Massimo”. Le ho chiesto dove stesse andando. Mi ha risposto che andava a correre fino a Shadow Lake per fare un bagno. Ho tenuto per me le considerazioni che mi hanno immediatamente attraversato il cervello circa la pazzia maniacale di molti americani sul fatto di tenersi in forma .
Dal sentiero è arrivata Suzie, la texana-sorridente-con-cappello-di-paglia. L'ho salutata canticchiandole le prime note di Wake up little Suzie degli Everly Brothers, 1958 (se non la conosci, vergognati e poi vai qui). Suzie mi ha abbracciato come se fossi la nonna che non vedeva da sei anni e otto mesi, cioé da quando  era stata arrestata per vendita illegale di pubblicazioni oscene a bambini di terza elementare della periferia chic di Houston. Ho fatto del mio meglio per rispondere all'abbraccio senza versare sul suo pur modesto posteriore la minima goccia di caffé bollente. Suzie si è allontanata sorridendo al mondo intero. Io sono tornato in casa.
In cucina adesso c'erano Sam (nomignolo che sta per Samantha), Alex, la bionda del Canada, e Gabe. Sam si stava preparando tre uova al tegamino. Siccome le uova vengono direttamente dal pollaio dietro l'orto e sono prodotte da galline che starnazzano felici e ignare del loro ineluttabile destino, hanno naturalmente un tuorlo di un giallo da fare invidia a Van Gogh e sono delle bombe alimentari con un contenuto di proteico tale da soddisfare i bisogni quotidiani di un giocatore di rugby in piena attività. Qui sono in molti a prepararsi tre uova al tegamino ogni mattina, roba anche questa da provocare suicidi per disperazione di orde di dietologi. Ho notato che Lily se ne fa quattro, strapazzate, che poi si divide col figlioletto di poco più di tre anni in parti appena leggermente disuguali. Da galera.
La mia tazza INY conteneva ancora una dose di caffé sufficiente per una famiglia di sette persone. Mi sono tagliato una fetta di quel bel pane scuro che Peter sforna due volte alla settimana, l'ho spalmata di uno spesso strato di burro di arachidi e di uno più sottile di marmellata di mirtilli e l'ho addentata con gusto. In cucina è entrata …... (il cui nome tacerò per compassione) che, pur passandomi davanti a meno di un metro si è ben guardata dal rispondere al mio saluto. Non è che ce l'abbia con me, è semplicemente una di quelle indisponenti persone che non capirà mai che rispondere a un saluto mattutino non implica alcun rischio maggiore per la salute.
Sono uscito sulla veranda e mi sono seduto sul divano continuando a masticare. A un certo punto è passata una macchina, il che è sempre un po' seccante quando stai guardando gli alberi e ascoltando il cinguettio degli uccellini sentendomi in vena bucolica. Ho sopportato in silenzio, sorseggiando caffé.
Finalmente era arrivato il momento della prima sigaretta del giorno, per gustare pienamante la quale ero stato attento a lasciare nella tazza una dose sufficiente di beverone al calzino usato.
Momenti di satori.
Finita la sigaretta, sono andato a sciacquare INY e sono tornato in camera per buttar giù questo post.
Ormai sono le nove meno dieci. Giusto il tempo di andare a darmi una lavatina corporea e di strigliarmi i denti prima della riunione mattutina e dell'inizio delle prove.
Ma tu non preoccuparti: quando avrò altre cose importanti da farti sapere non mancherò di scriverti.