giovedì 9 settembre 2010

New York

Sono tornato un paio di giorni fa dagli Stati Uniti. Due settimane nel Vermont, dai miei vecchi amici del Bread and Puppet, poi due a New York, dove Elena mi ha raggiunto. Lei non era mai stata negli Stati Uniti ed è stato bello andare in giro insieme e fare i turisti in quella strana città dove arrivai quasi quarant'anni fa come in un sogno e che nel frattempo è tanto cambiata. In meglio, perché non c'è più quel senso di pericolo che c'era allora, quando bisognava stare attenti a non sbagliare strada se non si voleva correre seri rischi di farsi derubare anche in pieno giono; in peggio, perché i newyorkesi mi sono sembrati sempre più dei marziani.

Basta salire in metropolitana per rendersene conto. Un terzo dei passeggeri ha l'aria assonnata o annoiata, come in qualsiasi metropolitana di grande città del mondo; un terzo si serve di schermi elettronici (IPhone, IPad, Blackberry, telefonini di ogni tipo, Kindle, Nook, Nintendo, ecc.); ma l'ultimo terzo è quello davvero strano: legge la Bibbia. C'è un numero pazzesco di gente che legge la Bibbia. Giovani, vecchi, bianchi, neri, gialli, ebrei con i ricciolini lungo le orecchie, distinte signore, ragazzi con la maglietta dei New York Yankees e ragazze tatuate. Ah, sì, i tatuaggi: anche quelli sono legioni. Visto che anche i newyorkesi mantengono la buona abitudine di evitare di salire in metropolitana nudi come li ha fatti mamma e visto che forse 50% dei tatuati lo sono in punti del corpo invisibili sotto i vestiti, direi, a occhio e croce, che un newyorkese su due è ormai tatuato.

Cose viste a New York:
  • un  ragazzo che camminava sulla 6th avenue con una canottiera bianca traforata, tipo anni 60, prova che quelle orribili cose esistono ancora;
  •  a Ellis Island, una famiglia intera di indiani d'India che si faceva fotografare davanti a un grande pannello intitolato American Indians, sul quale erano indicati i nomi di tutte le tribù d'indiani d'America;
  •  il West Indies Carnaval, a Brooklyn;
  •  la mostra intitolata King Tut, che è il nomignolo sotto il quale tutti gli americani conoscono il faraone Tutankhamon (e sono sorpresi quando gli dici il nome intero almeno quanto lo sarebbero se gli spiegassi che il T-Rex è in realtà il tirannosauro...);
  •  un topo di plastica alto più di due metri davanti all'ingresso dell'Empire State Building;
  •  una donna di colore con in testa un cappello da vescovo;
  • Spike Lee che stava girando un film;
  • l'attore che fa l'amico del proganista della serie White Collar che passeggiava col bambino;
  • un amico italiano incontrato ben due volte per puro caso in posti diversi;
  •  un ristorante afghano, che di questi tempi non so bene come se la cavi...;
  •  il più bel negozio di macchine fotografiche, video e accessori di ogni tipo che ci sia al mondo (B&H, 420 9th Ave.);
  •  le vetrate di St. John the Divine, cattedrale gotica in piena Manhattan, nonché tuttora in costruzione; da segnalare in particolare quelle nella cappella dedicata al mondo dello sport, sulla quale appaiono, tra gli altri, un calciatore, un corridore automobilista, un giocatore di baseball, ecc.;
  •  la High Line, che poi è una bellissima passeggiatina su una ex linea soprelevata della metropolitana tra la 13a e la 21a lungo l'Hudson;
  •  Broadway boogie-woogie di Mondrian, vari PicassoMatisseCézanneVanGoghGauguin, il chiostro medievale di Saint-Guilhem-le Désert (che è nel sud della Francia, vicino a Montpellier), smontato pezzo per pezzo e rimontato integralmente nel nord di Manhattan;
  • il museo di storia naturale, che è un capolavoro del primo novecento voluto da Theodore Roosvelt, quello al quale si deve il Teddy Bear.

E qui mi fermo per riprodurre l'articolo di Wikipedia sul Teddy Bear, perché molti non conoscono l'origine dell'orsacchiotto di peluche che avevano da bambini:

"È risaputo che il nome Teddy Bear venga da un episodio accaduto al Presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, soprannominato "Teddy", che come passatempo andava a caccia grossa. Nel 1902, durante una battuta di caccia all'orso lungo il fiume Mississipi, Roosevelt si rifiutò di sparare a un cucciolo di orso bruno della Louisiana. Il cucciolo era stato braccato dai cani e legato a un albero dagli assistenti del presidente, pronto per essere ucciso. Roosevelt si indignò, dicendo che sparare a un orso in quelle condizioni non sarebbe stato sportivo, e ordinò che l'animale fosse liberato. La scelta di Roosevelt fu particolarmente apprezzata perché in quella battuta di caccia (come pare accadesse spesso al presidente) lui non riuscì poi ad abbattere nessun orso, tornandosene a casa senza alcun trofeo.
La notizia giunse ai quotidiani, che soprannominarono l'orso "Teddy Bear". Il giorno successivo, il disegnatore satirico Clifford K. Berryman pubblicò sulla prima pagina del Washington Post una vignetta che mostrava Roosevelt nell'atto di volgere le spalle all'orsetto legato con un gesto di rifiuto. La didascalia drawing the line in Mississippi (stabilire un confine sul Mississippi) metteva in relazione l'accaduto con una disputa territoriale in corso all'epoca fra la Louisiana e lo stato del Mississippi.
I lettori si innamorarono dell'orsetto della vignetta, e in seguito Berryman inserì immagini di orsetti in molti dei suoi disegni. Gradualmente, gli orsetti di Berryman divennero sempre più "piccoli, rotondi e carini", contribuendo a creare lo stereotipo dell'orsacchiotto. Il 29 dicembre, lo stesso Roosevelt scrisse a Berryman dicendo "abbiamo trovato tutti molto gradevoli i suoi disegni di orsetti".
Sull'onda della popolarità di Teddy Bear e degli orsetti di Berryman, il 15 febbraio del 1903 Moris Mitchom e sua moglie Rose misero in vetrina due orsetti di pezza nel loro negozio di Brooklyn, con il cartello Teddy's bears, dicendo che avevano avuto il permesso scritto del presidente di usare quel nome. Il successo fu tale che in seguito i coniugi fondarono una società specializzata nella produzione di orsacchiotti, la Ideal Toy Company.
Nello stesso periodo,Margaret Steiff, proprietaria di una fabbrica di giocattoli in Germania, fu convinta dal nipote Richard a commercializzare orsacchiotti; nel 1903, alla Fiera del Giocattolo di Lipsia, la Steiff vendette 3000 esemplari a un importatore americano. Ancora oggi, la Steiff produce Teddy Bear per l'esportazione in tutto il mondo.
Gli orsacchiotti di inizio secolo avevano gli occhi fatti con bottoni, ed erano snodati alle braccia e alle gambe. Quel tipo di giocattolo rimane un classico ed è ancora commercializzato in numerose varianti, oltre a essere stato preso come modello per molti personaggi di grande popolarità (vedi per esempio Winnie the Pooh e Paddington).
Nel 1904, il Teddy Bear divenne la mascotte della più fortunata campagna presidenziale di Roosevelt.
"Teddy" rimane un nome molto comune per gli orsetti di pezza, non solo nei paesi di lingua inglese. Fra gli orsi celebri che si chiamano "Teddy" si può ricordare, per esempio, quello di proprietà del personaggio Mr. Bean interpretato dall'attore Rowan Atkinson in una celebre serie di comiche televisive. Si chiamava Teddy anche l'orsacchiotto di Christopher Robin Milneprima di essere ribattezzato Winnie."

E adesso che la storia dell'orsacchiotto è chiara a tutti, qualche foto della Grande Mela.

Una vetrina del museo di storia naturale

Al Pacino a Broadway

Monumento ai marinai spariti in mare durante la II guerra mondiale 
e grattacielo di 17 State st.

Elena al Guggenheim

Emiliano Zapata, di Diego Rivera (dettaglio)

In cima all'Empire State Building

In metropolitana

Le quattro sorelle Pinky prendono il ferry per Ellis Island

South street Seaport

Il giocatore di baseball, il nuotatore e il giocatore di pallacanestro 
a St. John the Divine

West Indies Carnaval, Brooklyn, 1

West Indies Carnaval, Brooklyn,2