lunedì 27 settembre 2010

Di un'opera d'arte

L.OV.E., Maurizio Cattelan

Maurizio Cattelan, noto “artista” milanese, sta installando la sua ultima “opera” davanti al palazzo della Borsa meneghina. Nel caso di Cattelan le virgolette mi sembrano indispensabili, vista la pirlitudine delle sue “creazioni”. È lui che aveva già esposto in passato tre bambini di plastica impiccati a un albero, papa Wojtila colpito da un meteorite, o un cavallo imbalsamato appeso al soffitto.
Pare che la “scultura” del dito medio alzato abbia provocato qualche dissenso in consiglio comunale, dove il sindaco Moratti l'avrebbe trovata “ironica”, mentre l'assessore leghista Massimiliano Orsatti avrebbe dichiarato che “se vogliamo accreditarci come città capitale dell’arte contemporanea dobbiamo saper sì mediare ma anche accettare quello che non ci piace”.
A parte la patetica idea di voler acrreditare Milano come “capitale dell'arte contemporanea” quando tutti sanno che è a New York, Berlino, Londra e Parigi — per non citare che alcune delle indiscusse capitali culturali mondiali — che l'arte contemporanea esiste veramente, è l'idea dell'”accettare anche quello che non ci piace” che fa sorridere. Non “ci” piace a chi? Ai milanesi? Al consiglio comunale? Ai leghisti? A tutti?
E perché dovremmo accettarlo? Perché qualche critico definisce arte della cacca in scatola?
Naturalmente questa mia ultima e retorica domanda fa pensare alla famosa “Merda d'artista” di Piero Manzoni. Ma quello era il 1961, cioè un mondo totalmente diverso, andato, finito, passato. In un certo senso era un mondo più vicino a quello in cui Duchamp mise in mostra la sua Ruota di bicicletta o il suo orinatoio intitolato Fontana.
L'”arte” di Cattelan è solo mercato. La prima cosa da fare di fronte a scemenze del genere è rifiutar loro la dignità della discussione. Che si tratti di pittura, di scultura, di musica o di teatro, campo a me meglio conosciuto, gli esempi di “creazioni artistiche” assolutamente ridicole e il cui unico merito è quello di aver spillato denaro a qualche ente pubblico sono ormai numerosissimi. Decine e decine di venditori di cacca in scatola riescono con grande abilità a farsi chiamare artisti e ci inondano poi delle loro inezie.
Ieri La Repubblica ha pubblicato due articoli a questo proposito. Nel primo, Natalia Aspesi ricorda la mostra intitolata Sensations alla Royal Academy di Londra nel 97. “L'inventore di Sensations, scrive la Aspesi, era Charles Saatchi, collezionista e boss della pubblicità. Che aveva capito come il compito provocatorio, anche scandaloso, anche horror dell'arte non era più ideologico, dirompente, ma mercantile, da sfruttare come nuovo veicolo di comunicazione, di pubblicità: perfetto per vendersi e per vendere.”
La stessa Aspesi ricorda più sopra una serie di altre “sublimi” installazioni viste negli anni passati: “capanna fatta di assorbenti, signora che spolpa ossa puzzolenti, donna nuda appesa al soffitto, lepri morte, formicai inghiottiti da serpente, l'artista che scopa la sua signora, balena tagliata a fette in formaldeide, ritratto in plexiglass dell'artista riempito di sangue refrigerato, letto disfatto con macchie di sperma, di mestruazioni, briciole di biscotti e pulci, e la capostipite “merda d'artista”, ecc.” Aggiungo l'altrettanto “sublime” mostra di Tampax usati che vidi a Parigi una trentina d'anni fa.
Credo che alla scultura di Cattelan si debba solamente la stessa attenzione che si deve alla vendita di un paio di mutandine, di una Punto o di una pizza margherita, niente di più.
Concludo con una citazione dello storico dell'arte Jean Clair, autore dell'altro articolo di Repubblica: “Questi fenomeni dell'arte attuale, da Koons a Damien Hirst, sono una perfetta illustrazione di quello che il filosofo Marcel Gauchet chiama “l'individuo totale”, vale a dire colui che ritiene di non avere nessun dovere nei confronti della società, ma tutti i diritti di un “artsita”, “totalitario” com'era un tempo lo Stato, in cui traspariva lo spettro del bambino che crede di essere onnipotente e di imporre agli altri, attraverso le istituzioni pubbliche, gli escrementi di cui si compiace.”
È quindi a Maurizio Cattelan, ai suoi compari, ai suoi ammiratori e ai suoi finanziatori che dedico questa mia sublime opera fotografica: 

M.A. V.A.F.F.', Massimo Schuster