sabato 18 settembre 2010

Di cose ignobili

Bambina rom schedata dai nazisti

Nell'ormai lontano novembre 1992, guardando il telegiornale della sera e restando allibito davanti alle ennesime e terribili notizie provenienti dalla Bosnia, decisi che sarei andato a Sarajevo. La città era assediata e regolarmente bombardata e i cecchini giocavano al tiro al piccione con gli abitanti. Quelle notizie non erano in fondo più terribili di tante altre, provenienti da tanti altri posti del mondo. Ma ciò che mi sembrò inaccettabile e mi spinse a voler uscire dall'immobilità per “far qualcosa” fu il fatto che in piena Europa per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale si parlava apertamente di epurazione etnica.
Quell'orrenda idea, che con il nazismo aveva significato il massacro sistematico di ebrei e rom (e omosessuali, e portatori di handicap, e oppositori politici), la credevamo sradicata per sempre, almeno dal nostro continente. Ma per sempre non è un'espressione compatibile con il concetto di Storia.
A Sarajevo finii con l'andarci sei o sette volte, non certo per combattere, ché sarei stato ridicolo, ma per fare il mio mestiere di teatrante. Così ci feci le prove e la prima di un mio spettacolo, la regia di un altro, con la stessa conmpagnia con la quale aveva lavorato Susan Sontag, ci portai il mio vecchio maestro Peter Schumann.
Oggi, neanche vent'anni dopo, nessuno oserebbe (ancora) parlare di epurazione etnica. Si osa però già senza pudore parlare di espulsione dei rom.
Forse è bene cominciare col ricordare che 600.000 Rom e Sinti (stime del cardinal Marchetto in un'intervista a Famiglia Cristiana, 27 agosto 2010) sono stati uccisi nei campi di sterminio nazisti. Non perché fossero ladri, non perché fossero comunisti, ma perché erano Rom e Sinti. Esattamente allo stesso modo in cui sei milioni di ebrei subirono la stessa sorte, semplicemente perché erano ebrei. Un certo numero di rom italiani e stranieri fu arrestato in Italia e imprigionato nei campi di Agnone, Bolzano, o delle Tremiti. Numerosi di quelli che riuscirono a fuggire si unirono a gruppi partigiani.
Ma con questo i nostri governanti sembrano pulircisi il sedere.
Espellere i rom oggi, o almeno espellere quelli di loro, circa la metà, che non hanno la cittadinanza italiana, significa correre il rischio di risvegliare la bestia immonda di cui Brecht diceva che è sempre incinta; significa seminare vento e avere la certezza di raccogliere grosse tempeste; significa essere totalmente irresponsabili, oltre a dimostrarsi ignoranti, privi di di umanità, razzisti e stupidi.
Quel che sta succedendo è davvero grave. Tutto è cominciato con quattro pagliacci in camicia verde che farneticavano su una pseudo cultura padana, pseudo espressione di uno pseudo popolo padano, ed eccoci arrivati a ministri che parlano di deportare minoranze etniche (in Francia hanno già incominciato).
Giudicare la gente in funzione della sua appartenenza a un gruppo tecnico è ignobile. Una delle basi del diritto è che la gente va giudicata per quel che fa, non per quel che è. Uno va punito se ruba, non se è figlio di ladri, veri o presunti. E va punito se propaga idee razziste, xenofobe e portatrici di odio; se osa ancora spudoratamente, dopo centinaia di migliaia, dopo milioni di morti, pensare che perché si fa parte di un gruppo etnico bisogna essere puniti o premiati, che per quell'appartenenza si devono avere certi diritti o certi doveri specifici, che là da dove uno viene è più importante del modo in cui uno vive e si comporta.
Come ieri di fronte al massacro dei civili bosniaci, così oggi di fronte alla ventilata deportazione dei rom ho la forte impressione che se lasciamo fare senza reagire questo sarà solo l'inizio di qualcosa di molto più ignobile. E come ieri anche oggi ho la forte impressione che la battaglia non debba essere tanto politica, e ancor meno militare, quanto culturale.