Qualche sera fa, verso le 11, Sky ha mandato in onda la finale del Rischiatutto 1972. Pare fosse l'anniversario della morte di Mike Bongiorno.
Io nel 1972 facevo l'hippy pendolare tra Europa e Stati Uniti e Mike Bongiorno non lo guardavo. La trasmissione non ha quindi suscitato in me alcun Amarcord e l'ho guardata con una specie di interesse etnologico. E sono rimasto basito confrontandola con quelle di oggi.
Dico subito che, se telefago lo sono, lo sono in maniera selettiva: divoro film, serie americane e quintali di documentari, ma non mi verrebbe mai in mente di guardare telenovelas, varietà o semplicemente trasmissioni delle televisioni del nostro Amato Leader. Non amo farmi del male. Mi è capitato però, come a tutti, per curiosità forse un po' morbosa, o semplicemente per capire di cosa molti parlino in continuazione, di dare un'occhiata di una decina di minuti a cose come Chi vuole diventare milionario e altre simili scemenze.
La visione del Rischiatutto del 1972 mi ha stupito, al di là delle differenze formali e dell'inenarrabile particolarità del personaggio Mike, per la quantità e il tipo di domande fatte ai concorrenti. Domande difficilissime, specialistiche ed estremamente varie. Ognuno dei tre concorrenti aveva una sua materia di predilezione: le fiabe per una signora torinese, la musica classica del '700 e dell'800 per un medico bolognese e non so più cosa per un farmacista fiorentino. Oltre alle materie di predilezione dei tre però, le domande ne coprivano altre sei: dai vincitori di premi nobel alle « belle donne », dalla storia romana allo sport. Per carità, né la conoscenza del nome di battesimo di Rita Hayworth (Margarita carmen Cansino), né quella dell'anno del nobel a James Chadwick (1935), né la lista dei sette paesi della costa pacifica situati tra USA e Venezuela (Messico, Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama) fanno « cultura ». L'hanno detto in tanti, mille volte: una cosa è il nozionismo, un'altra è la cultura. Resta però il fatto che alla fine di quel vecchio Rischiatutto ho avuto l'impressione, giusta o sbagliata che fosse, di avere imparato qualcosa, mentre invece dopo dieci minuti di Chi vuole diventare milionario mi ero sentito più stupido di prima.
Quella vecchia televisione (e anche questo probabilmente l'hanno detto in tanti, ma non è male ripeterlo), la si guardava per curiosità, perché era effettivamente una finestra sul mondo, mentre quella di oggi la si guarda per rassicurasrsi, per accertarsi di essere un po' meno imbecille di chi appare sullo schermo. Lo sguardo curioso di una volta è stato sostituito da uno sguardo morboso. I concorrenti del Rischiatutto erano, o almeno ci apparivano come gente che « sapeva », mentre quelli dei quiz di oggi sembrano dover essere o dei fenomeni da baraccone o dei semplici stupidi. L'ammirazione un po' sempliciotta che si provava davanti a un concorrente capace di citare nel giro di un'ora il tempo esatto dei duecento metri di Mennea a Città del Messico (19'72"), la tonalità della terza sinfonia di Brahms (fa maggiore) e la data della festa nazionale finlandese (6 dicembre), era intrisa di generosità. Lo sguardo dello spettatore odierno invece, soprattutto di quello che si vuole smaliziato, è pieno di sufficienza e di disprezzo. Non è solo il livello intellettuale generale che sembra sceso in maniera abissale, è anche quello, come dire?..., di compassione. Ho l'impressione che quarant'anni fa guardassimo il mondo come un orizzonte da conquistare, come qualcosa di bello e ricco, mentre oggi lo guardiamo come un luogo ostile nel quale solo i « furbi » e i disonesti possono trionfare. Il mondo è diventato un triste giardino sfiorito nel quale i nostri figli e nipoti saranno condannati a vivere peggio di noi. Mi sembra questo il vero cambiamento epocale. Un cambiamento di grande squallore e tristezza, che la visione di un vecchio Rischiatutto mi ha reso un po' più chiaro.
Io nel 1972 facevo l'hippy pendolare tra Europa e Stati Uniti e Mike Bongiorno non lo guardavo. La trasmissione non ha quindi suscitato in me alcun Amarcord e l'ho guardata con una specie di interesse etnologico. E sono rimasto basito confrontandola con quelle di oggi.
Dico subito che, se telefago lo sono, lo sono in maniera selettiva: divoro film, serie americane e quintali di documentari, ma non mi verrebbe mai in mente di guardare telenovelas, varietà o semplicemente trasmissioni delle televisioni del nostro Amato Leader. Non amo farmi del male. Mi è capitato però, come a tutti, per curiosità forse un po' morbosa, o semplicemente per capire di cosa molti parlino in continuazione, di dare un'occhiata di una decina di minuti a cose come Chi vuole diventare milionario e altre simili scemenze.
La visione del Rischiatutto del 1972 mi ha stupito, al di là delle differenze formali e dell'inenarrabile particolarità del personaggio Mike, per la quantità e il tipo di domande fatte ai concorrenti. Domande difficilissime, specialistiche ed estremamente varie. Ognuno dei tre concorrenti aveva una sua materia di predilezione: le fiabe per una signora torinese, la musica classica del '700 e dell'800 per un medico bolognese e non so più cosa per un farmacista fiorentino. Oltre alle materie di predilezione dei tre però, le domande ne coprivano altre sei: dai vincitori di premi nobel alle « belle donne », dalla storia romana allo sport. Per carità, né la conoscenza del nome di battesimo di Rita Hayworth (Margarita carmen Cansino), né quella dell'anno del nobel a James Chadwick (1935), né la lista dei sette paesi della costa pacifica situati tra USA e Venezuela (Messico, Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama) fanno « cultura ». L'hanno detto in tanti, mille volte: una cosa è il nozionismo, un'altra è la cultura. Resta però il fatto che alla fine di quel vecchio Rischiatutto ho avuto l'impressione, giusta o sbagliata che fosse, di avere imparato qualcosa, mentre invece dopo dieci minuti di Chi vuole diventare milionario mi ero sentito più stupido di prima.
Quella vecchia televisione (e anche questo probabilmente l'hanno detto in tanti, ma non è male ripeterlo), la si guardava per curiosità, perché era effettivamente una finestra sul mondo, mentre quella di oggi la si guarda per rassicurasrsi, per accertarsi di essere un po' meno imbecille di chi appare sullo schermo. Lo sguardo curioso di una volta è stato sostituito da uno sguardo morboso. I concorrenti del Rischiatutto erano, o almeno ci apparivano come gente che « sapeva », mentre quelli dei quiz di oggi sembrano dover essere o dei fenomeni da baraccone o dei semplici stupidi. L'ammirazione un po' sempliciotta che si provava davanti a un concorrente capace di citare nel giro di un'ora il tempo esatto dei duecento metri di Mennea a Città del Messico (19'72"), la tonalità della terza sinfonia di Brahms (fa maggiore) e la data della festa nazionale finlandese (6 dicembre), era intrisa di generosità. Lo sguardo dello spettatore odierno invece, soprattutto di quello che si vuole smaliziato, è pieno di sufficienza e di disprezzo. Non è solo il livello intellettuale generale che sembra sceso in maniera abissale, è anche quello, come dire?..., di compassione. Ho l'impressione che quarant'anni fa guardassimo il mondo come un orizzonte da conquistare, come qualcosa di bello e ricco, mentre oggi lo guardiamo come un luogo ostile nel quale solo i « furbi » e i disonesti possono trionfare. Il mondo è diventato un triste giardino sfiorito nel quale i nostri figli e nipoti saranno condannati a vivere peggio di noi. Mi sembra questo il vero cambiamento epocale. Un cambiamento di grande squallore e tristezza, che la visione di un vecchio Rischiatutto mi ha reso un po' più chiaro.