mercoledì 10 giugno 2015

Da Pirlo al Mahabharata

La morte di Jayadratha

Sono quasi le sei e mezzo del mattino. Ho davanti la mia solita tazzona di té (questa mattina un Gielle del Darjeeling) e due fette di pane nero con su una bella spalmatina di burro e una di marmellata Chiaverini (mamma mia, quanto son buone le marmellate Chiaverini!).
Al di là della tazza ho il computer. So guardando la mia pagina Facebook quando capito sul post di qualcuno che condivide un post di qualcun altro — come è spesso il caso su FB. Questo post di qualcun altro cita Andrea Pirlo come netto oppositore ad ogni forma di razzismo e incomincia così: “Pirlo: non sono sinto ma non ho nulla contro i sinti.” E lì parto per una di quelle passeggiatine virtuali che possono essere molto goduriose.
Ma chi sono esattamente i sinti?, mi chiedo.
Vado sulla Treccani: “Sinti - Popolazione nomade di origine indiana, il cui nome deriva da Sind, regione del Pakistan occidentale, attraversata dal fiume Indo, dalla quale probabilmente i S. ebbero origine. La provenienza e la storia recente dei S. sono in gran parte analoghe a quelle della popolazione Rom.
Vado a vedere “Indo” e trovo: “Indo (sanscr. Sindhu)”. E mi fermo subito.
Poffarbacco, mi dico affondando i denti nella fetta di pane con su la marmellata d'albicocche (l'altra ha su quella di more di rovo selvatico), ma allora i sindhu del Mahabharata altro non sono che i sinti! Re Jayadratha era un sinto!
Ma si dice sinto? La Treccani me lo dà solo come aggettivo (il patrimonio culturale rom e sinto è ricco e affascinante); Wikipedia in italiano non me lo dà proprio, ma me lo dà in inglese: “masc. sing. Sinto fem. sing. Sintisa.
Wikipedia in italiano mi informa però del fatto che sia gli Orfei che i Togni, le due grandi famiglie circensi italiane, sono di origine sinta (nel caso si dica così), il che è una di quelle cose che poi potrai sempre piazzare in una cena a casa di amici facendo un figurone.
Lascio aperte Treccani e Wikipedia e vado sulla versione pdf della Puranic Encyclopaedia - a Comprehensive Dictionary with Special Reference to the Epic and Puranic Literature (Enciclopedia puranica ­- un dizionario completo dei racconti epici e della letteratura puranica), un librone che in versione cartacea ha più di 900 pagine 29x21,5 cm. e che è un oceano di informazioni, in particolare sul Mahabharata
Nel caso non avessi dimestichezza con l'India, ti ricordo che i Purana sono delle raccolte di leggende e miti codificati a partire dal -X secolo e sono quindi più tardivi rispetto ai Veda. Il Mahabharata è spesso chiamato il quinto Veda.
Tornando ai sindhu, mi viene voglia di vedere dove scorra veramente il fiume Sindhu, che noi conosciamo come Indo semplicemente perché così lo chiamò Alessandro il macedone 23 secoli fa, forse perché pronunciava male le s. Vado su Google maps e vedo che l'Indo nasce dal Tibet, attraversa il Pakistan e si getta nel Mare d'Arabia, tra la penisola del Gujarat e il Golfo di Oman.
Addento la fetta di pane con la marmellata di more di rovo selvatico e visto che sono passate meno di due settimane dall'ultima rappresentazione dello spettacolo nel quale racconto il Mahabharata, ricordo che Jayadratha, re dei sindhu, muore per mano di Arjuna nel settimo dei 18 libri che compongono l'opera. 
Ma siccome ho già aperto l'Enciclopedia Puranica, vado a dare un'occhiatina supplementare a Jayadratha, sicuro di trovare cose che ho dimenticato. E infatti trovo tutta la sua genealogia, dal nome di suo padre, Bhratkaya, fino a nientepopodimeno che Visnu himself, uno dei tre dei principali; ma non trovo il nome della madre. Normale: Jayadrata una mamma non ce l'ha avuta: è nato da una serie di digiuni e di voti fatti dal padre. Cose da Mahabharata
Scopro però anche che alla sua nascita qualcuno affermò: 1) che sarebbe diventato un grande re, ma soprattutto 2) che chiunque gli avesse appoggiato a terra la testa sarebbe immediatamente esploso in cento pezzi. Il che è esattamente ciò che succederà e che vado a spiegarti.
Durante la grande battaglia di Kurukshetra, Jayadratha intrappola Abhymanyu, figlio di Arjuna, permettendo così che Dussasana, secondogenito dei Kaurava, lo uccida (per fortuna Abhymanyu aveva già sposato Uttaraa, la figlia di Virata, re della terra dei Matsya, e l'aveva pure messa incinta, sennò come avrebbe potuto poi nascere Pariksit, al quale Yudhishthira avrebbe lasciato il suo regno 36 anni dopo? Eh? Come avrebbe potuto?).
La sera, quando Arjuna, tornando all'accampamento, viene a sapere della morte di suo figlio, giura di vendicarsi uccidendo Jayadratha. E perché non uccidere direttamente Dussasana, cioè quello che il figlio glielo aveva ammazzato? Naturalmente perché Bhima (fratello di Arjuna) aveva già giurato di ucciderlo lui, cosa che farà puntualmente nell'ottantatreesimo capitolo dell'ottavo libro. Ma Arjuna non si limita a questo giuramento: giura anche che se non riuscisse a uccidere Jayadratha l'indomani (tredicesimo giorno della battaglia che durerà diciotto giorni) ucciderebbe se stesso gettandosi nel fuoco.
Cosa succede l'indomani? Che i nemici di Arjuna fanno di tutto per proteggere Jayadratha in modo da obbligare poi Arjuna a suicidarsi. E infatti il sole sta ormai per tramontare, quando ecco che interviene il furbo Krishna:
Il sole sta per tramontare, dice ad Arjuna, ma io ora reciterò un mantra che creerà l'illusione della notte; i tuoi nemici smetteranno di combattere e tu potrai uccidere Jayadratha.
Cosa che Arjuna fa scoccando una freccia che fa saltare la testa dal collo del suo nemico, come puoi vedere dall'immagine che apre questo post. Ma non è tutto. Visto che la profezia aveva detto che chi avesse fatto cadere a terra la testa di Jayadratha sarebbe poi esploso in cento pezzi, il Mahabharata ha pensato anche a questo.
Figurati che mentre infuria la battaglia il padre di Jayadratha, il già nominato Bhratkaya, se ne sta seduto in meditazione nell'acqua di un laghetto chiamato Samantapanchaka, che è formato dalla confluenza di cinque fiumi di sangue. La freccia di Arjuna è così potente che fa volare la testa di Jayadratha sul grembo di Bhratkaya. Lui, inorridito, salta in piedi, fa cadere a terra la testa del figlio e immediatamente esplode in cento pezzi.
Nulla da dire: sono cose belle da scoprire sorseggiando una tazza di Gielle alle (quasi) sette del mattino. Così belle che mi è venuta voglia di raccontartele.
Buona giornata.