La morte di Jayadratha
Sono
quasi le sei e mezzo del mattino. Ho davanti la mia solita tazzona di
té (questa mattina un Gielle del Darjeeling) e due fette di
pane nero con su una bella spalmatina di burro e una di marmellata
Chiaverini (mamma mia, quanto son buone le marmellate Chiaverini!).
Al
di là della tazza ho il computer. So guardando la mia
pagina Facebook quando capito sul post di qualcuno che condivide un
post di qualcun altro — come è spesso il caso su FB.
Questo post di qualcun altro cita Andrea Pirlo come netto oppositore ad ogni forma di razzismo e incomincia così: “Pirlo: non sono sinto ma non
ho nulla contro i sinti.” E lì parto per una di quelle passeggiatine virtuali che possono essere
molto goduriose.
Ma
chi sono esattamente i sinti?, mi chiedo.
Vado
sulla Treccani: “Sinti
-
Popolazione
nomade di origine indiana, il cui nome deriva da Sind, regione del
Pakistan occidentale, attraversata dal fiume Indo, dalla quale
probabilmente i S. ebbero origine. La provenienza e la storia recente
dei S. sono in gran parte analoghe a quelle della popolazione Rom.”
Vado
a vedere “Indo” e trovo: “Indo (sanscr. Sindhu)”.
E mi fermo subito.
Poffarbacco,
mi dico affondando i denti nella fetta di pane con su la marmellata
d'albicocche (l'altra ha su quella di more di rovo selvatico), ma
allora i sindhu del
Mahabharata altro non
sono che i sinti! Re Jayadratha era un sinto!
Ma
si dice sinto? La Treccani me lo dà solo come aggettivo (il
patrimonio culturale rom e sinto è ricco e affascinante);
Wikipedia in italiano non me lo dà proprio, ma me lo dà in inglese:
“masc. sing. Sinto
fem. sing. Sintisa.”
Wikipedia
in italiano mi informa però del fatto che sia
gli Orfei che i Togni, le due grandi famiglie circensi italiane, sono
di origine sinta (nel caso si dica così), il che è una di quelle
cose che poi potrai sempre piazzare in una cena a casa di amici
facendo un figurone.
Lascio
aperte Treccani e Wikipedia e vado sulla versione pdf della Puranic
Encyclopaedia - a
Comprehensive Dictionary with Special Reference to the Epic and
Puranic Literature (Enciclopedia
puranica - un dizionario completo dei racconti epici e della
letteratura puranica), un librone che in versione cartacea ha più di 900 pagine 29x21,5 cm. e che è un oceano di informazioni, in
particolare sul Mahabharata.
Nel caso non avessi dimestichezza con l'India, ti ricordo che i Purana sono delle raccolte di leggende e miti codificati a partire
dal -X secolo e sono quindi più tardivi rispetto ai Veda. Il
Mahabharata è spesso
chiamato il quinto Veda.
Tornando
ai sindhu, mi viene voglia di vedere dove scorra veramente il fiume
Sindhu, che noi conosciamo come Indo semplicemente perché così lo
chiamò Alessandro il macedone 23 secoli fa, forse perché pronunciava male le s. Vado su Google
maps e vedo che l'Indo nasce dal
Tibet, attraversa il Pakistan e si getta nel Mare d'Arabia, tra la
penisola del Gujarat e il Golfo di Oman.
Addento la fetta di pane con la marmellata di more di rovo selvatico e visto che sono passate meno di due settimane dall'ultima rappresentazione dello spettacolo nel quale racconto il
Mahabharata, ricordo
che Jayadratha, re dei sindhu, muore per mano di Arjuna nel settimo
dei 18 libri che compongono l'opera.
Ma siccome ho già aperto
l'Enciclopedia Puranica, vado a dare un'occhiatina supplementare a
Jayadratha, sicuro di trovare cose che ho dimenticato. E infatti
trovo tutta la sua genealogia, dal nome di suo padre, Bhratkaya, fino
a nientepopodimeno che Visnu himself, uno dei tre dei principali;
ma non trovo il nome della madre. Normale: Jayadrata una mamma non ce
l'ha avuta: è nato da una serie di digiuni e di voti fatti dal
padre. Cose da Mahabharata.
Scopro però anche che alla sua nascita qualcuno affermò: 1) che
sarebbe diventato un grande re, ma soprattutto 2) che chiunque gli
avesse appoggiato a terra la testa sarebbe immediatamente esploso in
cento pezzi. Il che è esattamente ciò che succederà e che vado a
spiegarti.
Durante
la grande battaglia di Kurukshetra, Jayadratha intrappola Abhymanyu,
figlio di Arjuna, permettendo così che Dussasana, secondogenito dei
Kaurava, lo uccida (per fortuna Abhymanyu aveva già sposato Uttaraa,
la figlia di Virata, re della terra dei Matsya, e l'aveva pure messa
incinta, sennò come avrebbe potuto poi nascere Pariksit, al quale
Yudhishthira avrebbe lasciato il suo regno 36 anni dopo? Eh? Come avrebbe
potuto?).
La
sera, quando Arjuna, tornando all'accampamento, viene a sapere della
morte di suo figlio, giura di vendicarsi uccidendo Jayadratha. E
perché non uccidere direttamente Dussasana, cioè quello che il
figlio glielo aveva ammazzato? Naturalmente perché Bhima (fratello
di Arjuna) aveva già giurato di ucciderlo lui, cosa che farà
puntualmente nell'ottantatreesimo capitolo dell'ottavo libro. Ma
Arjuna non si limita a questo giuramento: giura anche che se non
riuscisse a uccidere Jayadratha l'indomani (tredicesimo giorno della
battaglia che durerà diciotto giorni) ucciderebbe se stesso
gettandosi nel fuoco.
Cosa
succede l'indomani? Che i nemici di Arjuna fanno di tutto per
proteggere Jayadratha in modo da obbligare poi Arjuna a suicidarsi. E
infatti il sole sta ormai per tramontare, quando ecco che interviene
il furbo Krishna:
—
Il sole sta per tramontare, dice
ad Arjuna, ma io ora reciterò un mantra che creerà l'illusione
della notte; i tuoi nemici smetteranno di combattere e tu potrai
uccidere Jayadratha.
Cosa
che Arjuna fa scoccando una freccia che fa saltare la testa dal collo
del suo nemico, come puoi vedere dall'immagine che apre questo post. Ma non è tutto. Visto che la profezia aveva detto
che chi avesse fatto cadere a terra la testa di Jayadratha sarebbe
poi esploso in cento pezzi, il Mahabharata ha pensato anche a
questo.
Figurati
che mentre infuria la battaglia il padre di Jayadratha, il già
nominato Bhratkaya, se ne sta seduto in meditazione nell'acqua di un
laghetto chiamato Samantapanchaka, che è formato dalla
confluenza di cinque fiumi di sangue. La freccia di Arjuna è così
potente che fa volare la testa di Jayadratha sul grembo di Bhratkaya.
Lui, inorridito, salta in piedi, fa cadere a terra la testa del
figlio e immediatamente esplode in cento pezzi.
Nulla
da dire: sono cose belle da scoprire sorseggiando una tazza di Gielle
alle (quasi) sette del mattino. Così belle che mi è venuta voglia
di raccontartele.
Buona
giornata.