sabato 7 marzo 2015

Un po' di Georgia

La tomba di Galaktion Tabidze 
nel Pantheon del Monte Mtatsminda
 
Stamattina ascoltavo ancora una volta l'ultimo e bellissimo CD di Bob Dylan. Canzoni classiche, vecchi standard di Frank Sinatra. Così ho voluto ascoltare le versioni “originali” (tra virgolette perché Sinatra non è necessariamente stato il primo a cantarle), tutte facili da trovare su YouTube.
Una per una, ho ascoltato le stesse canzoni, anche se non per intero, prima cantate da Sinatra e poi da Bob Dylan. Come dire? Un abisso. Da un lato c'è senz'altro una bellissima voce, melodica e avvolgente; ma dall'altro c'è un'intensità pazzesca, un'emozione incredibile.
È perché ho 65 anni e che ho passato gli ultimi cinquanta con le canzoni di Dylan?
Può darsi.
È perché ho 65 anni e incomincio a rincoglionire?
Anche questo può darsi.
Ma mi piacerebbe che qualcun altro, più giovane e meno dylaniano di me, facesse la stessa prova e mi facesse poi sapere.
Detto questo, la ragione principale di questo post è un'altra. Mentre ascoltavo Dylan mi è venuto in mente un pezzo straordinario su un CD di Jan Garbarek, ma che con Garbarek non ha nulla a che fare. Il pezzo s'intitola The moon over Mtatsminda. La puoi ascoltare qui  e a dire il vero non so nemmeno io se consigliarti di ascoltarla prima di leggere il resto, o dopo. Vedi tu.
Intanto, qualche informazione.
Mtatsminda è il nome di una montagna della Georgia, che i georgiani considerano sacra perché sui suoi pendii visse l'eremita San David Garedzhi, che vi costruì una chiesa. La Georgia è uno dei più antichi paesi cristiani, visto che fu il re Marian III, nell'anno 330 a dichiarare il cattolicesimo religione di stato.
Il Monte Mtatsminda ospita il Pantheon degli scrittori e dei personaggi pubblici nel quale Stalin, nato a Gori, nel centro del Paese, fece pure seppellire sua madre. Più seriamente, il pantheon ospita oggi le tombe dei principali letterati georgiani.
L'autore della musica, nonché cantante e direttore d'orchestra di The moon over Mtatsminda, è Jansug Kakhidze. L'autore delle parole è Galaktion Tabidze. Siccome immagino che i nomi dei due siano altrettanto illeggibili e sconosciuti a te quanto lo erano a me prima di fare qualche ricerca, ecco alcune notizie supplementari.
Incominciamo da Galaktion Tabidze, grande poeta georgiano nato nel 1892. Non si sa bene perché, Stalin si limitò a farlo arrestare e torturare durante le grandi purghe degli anni '30, mentre fece uccidere molti dei suoi amici letterati, vari suoi parenti e mandò in Siberia sua moglie. Tutto questo risultò nell'alcolismo e nella depressione cronica di Tabidze, che fu poi rinchiuso in un ospedale psichiatrico nel quale finì col suicidarsi, buttandosi da una finestra, nel 1959. Il suo corpo riposa nel già citato pantheon di Mtatsminda.
Jansug Kakhidze, nato nel 1935 e morto nel 2002 è stato il più grande direttore d'orchestra del suo paese. Ha diretto orchestre in vari paesi d'Europa e in Australia ed era soprannominato il Karajan georgiano.
Jan Garbarek lo incontrò quando andò a Tbilisi per un concerto di musiche del compositore Giya Kancheli. Qualche anno dopo, il produttore discografico Manfred Eicher, fondatore della ECM, andò anche lui a Tbilisi e incontrò anche lui Jansug Kakhidze. Di ritorno a casa, disse a Garbarek che Jansug Kakhidze era stato operato al cuore e che durante la sua convalescenza aveva messo in musica una poesia di Galaktion Tabidze, che aveva poi registrato con l'orchestra sinfonica di Tbilisi, della quale era direttore. Di quella registrazione, Eicher aveva una copia, che fece ascoltare a Garbarek.
Ascoltando il pezzo ­— scrive lo stesso Garbarek sul libretto che accompagna il doppio CD Ritesfui così immediatamente colpito ed emozionato che spontaneamente dissi: “Possiamo metterlo sul mio album?” Al di là dalla sua assoluta bellezza, sentii quella musica vicina a me su più livelli. C'era qualcosa nel timbro della voce e nel modo semplice e diretto di cantare che mi ricordò fortemente il modo in cui cantava mio padre quando io ero bambino. Persino il fatto che il testo fosse in una lingua che non capivo evocò in me memorie di mio padre, che cantava nel suo polacco natale, che io purtroppo non ho mai imparato. E comunque il profondo senso di gioia e di gratitudine verso la vita che emana da quella performance era per me chiarissimo.
In Georgia, paese che i georgiani chiamano საქართველო, ovvero Sakartvelo, dal nome del mitico re Kartlos, ho avuto la fortuna di andarci con uno dei miei spettacoli, I tre moschettieri. In quell'occasione mi accorsi che il pubblico di Tbilisi conosceva il testo dei Moschettieri meglio di quello di Parigi. Stupito, ne chiesi la ragione e scoprii che Dumas è una specie di eroe nazionale per i georgiani fin da quando, in seguito a un viaggio nel 1858 e '59, scrisse parle elogiose su Tbilisi e sui suoi abitanti nel suo Il Caucaso – Impressioni di viaggio, pubblicato nel 1866. Eccone un breve estratto:
Quando arrivai a Tbilisi pensavo, lo ammetto, di arrivare in un paese semi-selvaggio, in un posto come Nouka o come Baku [città del vicino Azerbaigian]. Mi sbagliavo. Grazie alla colonia francese, composta in gran parte da sarte e mercanti di abiti e indumenti intimi parigini, le signore georgiane possono, entro una quindicina di giorni, seguire le mode del Théâtre-Italien e del boulevard de Gand [oggi boulevard des Italiens].
Vabbé, lo ammetto. Tutto questo interesse per la Georgia magari non ce l'avrei avuto se non fosse stato per una fidanzata georgiana di più di 25 anni fa, della quale ricordo non solo l'improbabile nome, Nino, ma anche altri particolari che nessun gentiluomo si permetterebbe mai di rivelare in un post. Ognuno ha i riferimenti culturali che può.
Se non l'hai già fatto, ascolta comunque questa meravigliosa canzone. È il mio piccolo regalo del giorno.
E, sempre se non l'hai ancora fatto, ascoltati pure l'ultimo CD di Dylan, Shadows in the night, che è una meraviglia.