La tomba di
Galaktion Tabidze
nel Pantheon del Monte Mtatsminda
Stamattina
ascoltavo ancora una volta l'ultimo e bellissimo CD di Bob Dylan.
Canzoni classiche, vecchi standard di Frank Sinatra. Così ho voluto
ascoltare le versioni “originali” (tra virgolette perché Sinatra
non è necessariamente stato il primo a cantarle), tutte facili da
trovare su YouTube.
Una per una, ho
ascoltato le stesse canzoni, anche se non per intero, prima cantate
da Sinatra e poi da Bob Dylan. Come dire? Un abisso. Da un lato c'è
senz'altro una bellissima voce, melodica e avvolgente; ma dall'altro
c'è un'intensità pazzesca, un'emozione incredibile.
È
perché ho 65 anni e che ho passato gli ultimi cinquanta con le
canzoni di Dylan?
Può
darsi.
È
perché ho 65 anni e incomincio a rincoglionire?
Anche
questo può darsi.
Ma mi
piacerebbe che qualcun altro, più giovane e meno dylaniano di me,
facesse la stessa prova e mi facesse poi sapere.
Detto
questo, la ragione principale di questo post è un'altra. Mentre
ascoltavo Dylan mi è venuto in mente un pezzo straordinario su un CD
di Jan Garbarek, ma che con Garbarek non ha nulla a che fare. Il
pezzo s'intitola The moon over Mtatsminda. La
puoi ascoltare qui e a
dire il vero non so nemmeno io se consigliarti di ascoltarla prima di
leggere il resto, o dopo. Vedi tu.
Intanto,
qualche informazione.
Mtatsminda
è il nome di una montagna della Georgia, che i georgiani considerano
sacra perché sui suoi pendii visse l'eremita San David Garedzhi, che
vi costruì una chiesa. La Georgia è uno dei più antichi paesi
cristiani, visto che fu il re Marian III, nell'anno 330 a dichiarare
il cattolicesimo religione di stato.
Il
Monte Mtatsminda ospita il Pantheon
degli scrittori e dei personaggi pubblici
nel quale Stalin, nato a Gori, nel centro del Paese, fece pure
seppellire sua madre. Più seriamente, il pantheon ospita oggi le tombe
dei principali letterati georgiani.
L'autore
della musica, nonché cantante e direttore d'orchestra di The
moon over Mtatsminda,
è Jansug Kakhidze. L'autore delle parole è Galaktion Tabidze.
Siccome immagino che i nomi dei due siano altrettanto illeggibili e
sconosciuti a te quanto lo erano a me prima di fare qualche ricerca,
ecco alcune notizie supplementari.
Incominciamo
da Galaktion Tabidze, grande poeta georgiano nato nel 1892. Non si sa
bene perché, Stalin si limitò a farlo arrestare e torturare durante
le grandi purghe degli anni '30, mentre fece uccidere molti dei suoi
amici letterati, vari suoi parenti e mandò in Siberia sua moglie.
Tutto questo risultò nell'alcolismo e nella depressione cronica di
Tabidze, che fu poi rinchiuso in un ospedale psichiatrico nel quale
finì col suicidarsi, buttandosi da una finestra, nel 1959. Il suo
corpo riposa nel già citato pantheon di Mtatsminda.
Jansug
Kakhidze, nato nel 1935 e morto nel 2002 è stato il più grande
direttore d'orchestra del suo paese. Ha diretto orchestre in vari
paesi d'Europa e in Australia ed era soprannominato il Karajan
georgiano.
Jan
Garbarek lo incontrò quando andò a Tbilisi per un concerto di
musiche del compositore Giya Kancheli. Qualche anno dopo, il
produttore discografico Manfred Eicher, fondatore della ECM, andò
anche lui a Tbilisi e incontrò anche lui Jansug Kakhidze. Di ritorno
a casa, disse a Garbarek che Jansug Kakhidze era stato operato
al cuore e che durante la sua convalescenza aveva messo in musica una
poesia di Galaktion Tabidze, che aveva poi registrato con l'orchestra
sinfonica di Tbilisi, della quale era direttore. Di quella
registrazione, Eicher aveva una copia, che fece ascoltare a Garbarek.
“Ascoltando
il pezzo —
scrive lo stesso Garbarek sul libretto che accompagna il doppio CD
Rites
— fui così immediatamente colpito ed
emozionato che spontaneamente dissi:
“Possiamo metterlo sul mio album?” Al di là dalla sua assoluta
bellezza, sentii quella musica vicina a me su più livelli. C'era
qualcosa nel timbro della voce e nel modo semplice e diretto di
cantare che mi ricordò fortemente il modo in cui cantava mio padre
quando io ero bambino. Persino il fatto che il testo fosse in una
lingua che non capivo evocò in me memorie di mio padre, che cantava
nel suo polacco natale, che io purtroppo non ho mai imparato. E
comunque il profondo senso di gioia e di gratitudine verso la vita
che emana da quella performance era per me chiarissimo.”
In
Georgia, paese che i georgiani chiamano საქართველო,
ovvero Sakartvelo,
dal nome del mitico re Kartlos, ho avuto la fortuna di andarci con
uno dei miei spettacoli, I
tre moschettieri.
In quell'occasione mi accorsi che il pubblico di Tbilisi conosceva il
testo dei Moschettieri
meglio di quello di Parigi. Stupito, ne chiesi la ragione e scoprii
che Dumas è una specie di eroe nazionale per i georgiani fin da
quando, in seguito a un viaggio nel 1858 e '59, scrisse parle
elogiose su Tbilisi e sui suoi abitanti nel suo Il
Caucaso – Impressioni di viaggio,
pubblicato nel 1866. Eccone un breve estratto:
“Quando
arrivai a Tbilisi pensavo, lo ammetto, di arrivare in un paese
semi-selvaggio, in un posto come Nouka o come Baku [città
del vicino Azerbaigian].
Mi sbagliavo. Grazie alla colonia francese, composta in gran parte da
sarte e mercanti di abiti e indumenti intimi parigini, le signore
georgiane possono, entro una quindicina di giorni, seguire le mode
del Théâtre-Italien
e del boulevard
de Gand
[oggi
boulevard
des Italiens].”
Vabbé,
lo ammetto. Tutto questo interesse per la Georgia magari non ce
l'avrei avuto se non fosse stato per una fidanzata georgiana di più
di 25 anni fa, della quale ricordo non solo l'improbabile nome, Nino,
ma anche altri particolari che nessun gentiluomo si permetterebbe mai
di rivelare in un post. Ognuno ha i riferimenti culturali che può.
Se
non l'hai già fatto, ascolta comunque questa meravigliosa canzone. È
il mio piccolo regalo del giorno.
E, sempre se non l'hai ancora fatto, ascoltati pure l'ultimo CD di Dylan, Shadows in the night, che è una meraviglia.