giovedì 5 marzo 2015

Del virus della fede


Giovedì scorso mi riposavo in una camera d'albergo della provincia di Lucca in vista dello spettacolo della sera, quando ho visto le immagini dei farabutti del sedicente Stato Islamico che distruggevano a colpi di mazza e di martello pneumatico delle statue nel museo di Mossul.
L'indomani mattina, aprendo il giornale, ho letto dell'assassinio del blogger americano-bengalese Avijit Roy, massacrato in una via centrale di Dacca a colpi di machete. La sua colpa? Essere nato in una famiglia musulmana ed essere diventato ateo.
Mi ci sono voluti alcuni giorni per fare qualche ricerca e per essere sicuro di non scrivere “di pancia”, sotto l'emozione del momento.
Tengo a chiarire subito una cosa (qualora fosse necessario): non sono, né mi prendo per un politologo, un sociologo, uno specialista in strategia internazionale o in religione, e ancora meno un tuttologo. Sono solo un uomo indignato che cerca di evitare che la sua indignazione si trasformi in affermazioni approssimative e affrettate. Detto questo, andiamo avanti.
Credo ormai indiscutibile che ci troviamo oggi davanti a una vera esplosione del fanatismo religioso, in particolare nelle religioni monoteiste. Questo è vero nell'Islam, ma lo è anche nel Cristianesimo e nell'Ebraismo. Nelle sue Antimémoires del 1967, André Malraux scriveva che “le XXIème siècle sera spirituel ou ne sera pas”, traducibile con il XXI secolo sarà spirituale o non esisterà. Purtroppo Malraux si sbagliava: questo inizio di secolo non ci parla di spiritualità, ma di fanatismo e di integralismo monoteista. Il fanatismo islamista è in questo momento storico il più violento e spettacolare, quello che provoca più morti e distruzioni, ma non mi pare che il fanatismo cristiano o quello ebraico siano per questo da sottovalutare. Imposizione da parte di vari Stati nord-americani dell'insegnamento dell'evoluzionismo come una teoria, alla quale viene affiancata, con eguale dignità, la teoria creazionista; sviluppo dell'idea di un Occidente cristiano che sarebbe l'unico portatore di idee accettabili e che non si priva del diritto di cercare di esportarle attraverso l'uso sistematico di bombardamenti, guerre e invasioni; sostituzione sui dollari statunitensi della scritta E pluribus unum con In God we trust (1957); instaurazione in Israele di un sistema socio-politico che assomiglia sempre di più all'apartheid; presenza all'interno del governo israeliano di ministri appartenenti a formazioni religiose integraliste; islamofobia rivendicata apertamente da autorità politiche e religiose in varie parti del mondo; revisionismo storico tendente, secondo i casi, a sottovalutare gli aspetti negativi del colonialismo, o l'esistenza storica di genocidi; persistenza di analisi post-marxiste all'interno delle quali l'aspetto religioso è sistematicamente sottovalutato, aprendo così la breccia a nuovi fanatismi; aumento, in particolare grazie ai media, dell'invasione religiosa all'interno della sfera del privato; sviluppo esponenziale del missionariato nei paesi in via di sviluppo, in particolare da parte di sette cristiane; irrigidimenti ideologici basati su una scelta accurata di passaggi specifici delle “sacre” scritture a scapito di altri. Tutto questo non fa che esasperare dei conflitti che hanno, sì, anche delle basi economiche e politiche, ma che si nutrono di credenze religiose usandole come potenti leve in grado di smuovere e convincere milioni di individui, che senza quel supporto non si sognerebbero nemmeno di passare all'azione violenta.
I testi “sacri”: che si tratti dell'Antico, del Nuovo Testamento o del Corano, basta leggerli con un minimo di attenzione per accorgersi che ognuno di loro è una specie di gigantesco supermercato nel quale si può trovare di tutto e il contrario di tutto. Su un solo punto i vari testi sembrano in perfetto accordo: l'inferiorità della donna rispetto all'uomo. In Genesi 3:16, quando Dio maledice Eva dicendole: “verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”, stabilisce una volta per tutte in maniera definitiva e irrevocabile il dominio dell'uomo sulla donna, spalancando così la porta ad ogni possibilità di sopruso. Ma questo non sembra offuscare alcun credente. Come mai? Semplicemente perché i credenti di tutte le religioni, pur insistendo sulla sacralità dei loro testi di riferimento rispettivi, si prendono poi allegramente la libertà di selezionare i passaggi più consoni al loro pensiero, passando sotto silenzio l'esistenza di tutti quelli che li contraddicono. Al supermercato della fede nessuno si sente obbligato a comprare tutti i prodotti, ognuno sceglie ciò che gli fa comodo.
I cristiani sottolineano sempre le pretese differenze tra il dio ebraico e il loro, passando però sotto silenzio che anche per loro la Bibbia è un libro “sacro”. Nessun cristiano, che io sappia, immaginerebbe di refutare l'idea di peccato originale, o la storia del diluvio universale, presenti nella Genesi, oppure i Dieci Comandamenti presenti nell'Esodo e nel Deuteronomio. Eppure gli stessi cristiani non accordano nessuna importanza al divieto di mangiare carne di lepre presente nello stesso Deuteronomio (14:7) e probabilmente trovano imbarazzante un altro passaggio dello stesso libro (12:20), che recita: “Distruggerete completamente tutti i luoghi, dove le nazioni che state per scacciare servono i loro dèi: sugli alti monti, sui colli e sotto ogni albero verde. Demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete nel fuoco le statue dei loro dèi e cancellerete il loro nome da quei luoghi.” Sempre il Deuteronomio non esita d'altronde a ordinare allegramente al popolo eletto di sterminare ben sette altri popoli: Hittiti, Gergesei, Amorrei, Perizziti, Evei, Cananei e Gebusei (Deut. 7:1 e 2). Lo sterminio come mezzo di diffusione della propria fede, in barba al pur drastico non uccidere del quinto comandamento.
Allo stesso modo, gli stessi cristiani non sembrano prestare attenzione al fanatismo di Paolo di Tarso quando afferma che la parola del Signore cresceva e si rafforzava grazie alla distruzione di migliaia di libri (Atti degli Apostoli, 19:19 e 20) o quando auspica che la scienza svanisca (Lettera ai Corinzi 13:8). La negazione del sapere e della ragione come asse portante della fede.
Non è quindi certo da un punto di vista cristiano che ci si può arrogare il diritto di criticare un altro libro “sacro”. I cristiani peraltro non trovano nulla ridire nel fatto che i quattro Vangeli canonici siano stati dichiarati tali, a scapito di altri, solo nel corso del Concilio di Nicea del 325, sotto la spinta di Ireneo di Lione, che giustificò la sua scelta affermando che siccome c'erano quattro angoli della terra (i punti cardinali) e quattro venti, così non potevano esserci né più né meno di quattro Vangeli. Come argomento filologico si può fare di meglio...
E vogliamo ricordare le omelie di Giovanni Crisostomo, naturalmente “santo”, contro gli ebrei (mentre le bestie danno la vita per salvare i loro piccoli, i giudei li massacrano con le proprie mani per onorare i demoni, nostri nemici, e ogni loro gesto traduce la loro bestialità), nonché ciò che ne scrisse il Papa nel 2007, in occasione del sedicesimo centenario della nascita del “santo” (un grande Padre della Chiesa a cui guardano con venerazione i cristiani di tutti i tempi […], la cui vita e magistero dottrinale risuonano in tutti i secoli e ancora oggi suscitano l’ammirazione universale)?
In uno dei suoi ultimi articoli, intitolato Il virus della fede (titolo anche di un suo precedente libro pubblicato e poi ritirato dalla circolazione in Bangladesh), articolo apparso su internet poco prima della sua morte, Avijit Roy ricorda come nel Corano ci siano un certo numero di passaggi che servono oggi da autogiustificazione ai più violenti integralisti: uccideteli [gli infedeli] ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati (2:191); combattete i miscredenti che vi stanno attorno, che trovino durezza in voi (9:123); uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati (9:5).
Ovviamente anche dal Corano è possibile estrarre numerose citazioni instrise di spirito di pace, di misericordia e di fratellanza, proprio come lo si può fare sia dall'Antico che dal Nuovo Testamento. Basterà ricordare, per esempio, il verso 32 della V sura, detta La tavola imbandita, che recita: chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera. Ma anche qui i pacifici ammiratori del Corano molto spesso troncano la citazione nella parte che sembra autorizzare perfettamente la pena di morte per chi abbia ucciso, o anche solo sparso la corruzione sulla terra.
Ma l'analisi di Roy si fa interessante, nonché perfettamente inaccettabile per i fanatici di ogni bordo, quando l'autore si mette a parlare del concetto di meme. Vediamo intanto come il meme è definito dal vocabolario Treccani:

meme s. m. Singolo elemento di una cultura o di un sistema di comportamento, replicabile e trasmissibile per imitazione da un individuo a un altro o da uno strumento di comunicazione ed espressione a un altro (giornale, libro, pellicola cinematografica, sito internet, ecc.). ◆ I memi digitali sono contenuti virali in grado di monopolizzare l’attenzione degli utenti sul web. Un video, un disegno, una foto diventa meme (termine coniato nel 1976 dal biologo Richard Dawkins ne Il gene egoista per indicare un’entità di informazione replicabile) quando la sua «replicabilità», che dipende dalla capacità di suscitare un’emozione, è massima. 
 
Ed ecco un estratto del testo di Roy:

Chi ha familiarità con l'idea rivoluzionaria di meme introdotta da Richard Dawkins [etologo e biologo britannico, noto per il suo ateismo militante] nel suo opus magnus Il Gene egoista, del 1976, già conosce la metafora virale delle idee religiose. Seguendo questa idea, vari autori hanno suggerito che il meme religioso si comporti come lo fa un virus biologico in un organismo vivente. Lo specialista di informatica Craig James (autore di The Religion Virus, Il virus della religione) e lo psicologo Darrel W. Ray (autore di The God Virus, Il virus di Dio) hanno proposto indipendentemente uno dall'altro l'idea che il “meme religioso” possa essere visto come un virus. Il filosofo Daniel C. Dennett (autore di Breaking the Spell, Rompere l'incantesimo) ha espresso l'idea che la religione esercita sulle persone un controllo del comportamento molto simile a quello dei parassiti che invadono un organismo. Il virus della rabbia, per esempio, infetta, nel cervello dei mammiferi, dei neuroni molto specifici che col tempo spingono l'infettato a mordere o comunque ad attaccare altri individui. La dicrocoeliosi iperacuta provocata dal parassita Dicrocoelium dendriticum infetta il cervello delle formiche e le spinge ad arrampicarsi in cima a foglie d'erba, dove potranno essere mangiate dalle mucche. Un altro parassita, lo Spinochordodes tellinii, infetta le cavallette col risultato di spingerle ad annegarsi, favorendo così la riproduzione del parassita stesso.
Non vediamo forse fenomeni simili nella società umana?
[…]
L'ISIS [ovvero il sedicente Stato Islamico] è ciò che risulta dal propagarsi del virus della fede e dal suo diventare epidemia.

Per queste parole, e per altre dello stesso tipo, Avijit Roy è stato assassinato.
Non ho motivo di credere che senza religione l'uomo sarebbe migliore di ciò che è. Credo però che la religione, nata migliaia, se non decine di migliaia di anni fa in società prive di ogni possibilità di conoscenza e di analisi dei fenomeni fisici e naturali, abbia ormai così ampiamente dimostrato la sua naturale tendenza a creare divisioni, conflitti, esclusioni, rifiuti dell'altro e problemi di ogni genere, da rendere auspicabile la sua sparizione dalla faccia del mondo.
Chi crede in Dio, in uno qualsiasi delle migliaia di dei tuttora adorati nel mondo, sembra continuare a difendere l'assurda idea che chi non crede non può avere accesso a sentimenti elevati, al “vero” amore, al sentimento di meraviglia davanti alle bellezze dell'universo, all'estasi, il che è ovviamente perfettamente offensivo per chi in Dio non crede.
Un piccolo esempio personale. Da bambino avevo paura del buio. La sera chiedevo sempre ai miei genitori di lasciare la tapparella della mia camera da letto leggermente socchiusa, in modo che un po' della luce esterna, quella dei lampioni della città, potesse entrare e rassicurarmi. Nelle mattine d'inverno, quando i primi raggi del sole colpivano direttamente la tapparella di quella camera esposta a est, svegliandomi passavo lunghi minuti a osservare quelle tre o quattro lame di luce all'interno delle quali vedevo migliaia di piccoli granelli di polvere che si muovevano in maniera apparentemente disorganizzata. Mi rivedo all'età di dieci o undici anni, sdraiato sotto le coperte con il mio pigiama di flanella a righe. Guardavo quei granelli di polvere e mi dicevo che forse ognuno di loro era un mondo, un mondo infinitamente piccolo, popolato da esseri infinitamente piccoli il cui spazio e il cui tempo erano per loro esattamente ciò che il mio spazio e il mio tempo erano per me. Mi dicevo che in quel preciso istante forse, su uno di quei granelli di polvere c'era un piccolissimo bambino sdraiato sotto le coperte nel suo pigiama di flanella che osservava altri granelli di polvere, infinitamente piccoli anche per lui. E mi dicevo anche che altrove, in un altrove lontanissimo, c'era un altro bambino, infinitamente più grande di me, che osservava anche lui dei granelli di polvere e che forse immaginava, a ragione, che uno di quei granelli fosse il mio mondo, il mio universo.
Quelle mie fantasie infantili, che non ho mai dimenticato e che nulla avevano a che fare con Dio o con la fede, mi sembrano ancora oggi dei meravigliosi esempi di spiritualità e di trascendenza, tanto spontanee quanto perfettamente atee.
Già: senonché i credenti di ogni specie hanno da tanto tempo ormai confiscato parole come spiritualità e trascendenza, che è quasi impossibile usarle al di fuori di ogni riferimento religioso. Noi atei siamo vittime di un furto semantico che va avanti da millenni e anche se non vorremmo usare per noi stessi la parola ateo, non abbiamo scelta.
Eppure quella parola è sbagliata, col suo a privativo iniziale. Noi non ci priviamo di nulla e non riconosciamo a nessuno il diritto di considerarci mancanti di qualcosa. Soprattutto non lo riconosciamo a chi ci dà l'impressione di vivere nell'illusione di un mondo di favole, fatto di vergini che partoriscono, di “santi” che operano guarigioni miracolose, di guerrieri che fermano il corso del sole per meglio distruggere una città e massacrarne gli abitanti, di donne curiose trasformate in statue di sale, di mari che si aprono per far passare tutto un popolo (e poi sterminare un esercito), di navi sulle quali è possibile caricare tutti gli animali del mondo, di uomini che passano tre giorni e tre notti nel ventre di una balena, di moltiplicatori di pani e pesci, di camminatori sulle acque, di viaggiatori su carri di fuoco e di ogni altro genere di prestigiatori, nani e ballerine. Storie bellissime, per carità (almeno alcune di loro); storie sulle quali si può sognare. Ma non più di quanto si possa farlo su Ventimila leghe sotto i mari, su I pirati della Malesia, o su Il signore degli anelli.
Non che quelle storie mi diano fastidio. Né in fondo mi dà fastidio che qualcuno ci veda delle “verità”. Ma che a quelle "verità" si possa accordare pubblicamente la stessa importanza e la stessa credibilità della ragione, della conoscenza e del sapere, questo no, non mi sembra accettabile. E soprattutto, soprattutto!, che si possa accusare di blasfemia chi quelle "verità" le trova risibili è davvero insopportabile. 
Per me e per altri come me, la sola, vera bestemmia è Dio: una bestemmia contro la ragione e contro l'uomo. Senonché trovo che quella bestemmia sia solo il sintomo di un modo di ragionare (o di non ragionare) che mi è totalmente estraneo. Niente di più. Se chi accorda più importanza a ciò che chiama fede che alla ragione accettasse con altrettanta calma la ragione che nega la sua fede, il mondo sarebbe un posto migliore.