Giovedì
scorso mi riposavo in una camera d'albergo della provincia di Lucca
in vista dello spettacolo della sera, quando ho visto le immagini dei
farabutti del sedicente Stato Islamico che distruggevano a colpi di
mazza e di martello pneumatico delle statue nel museo di Mossul.
L'indomani
mattina, aprendo il giornale, ho letto dell'assassinio del blogger
americano-bengalese Avijit Roy, massacrato in una via centrale di
Dacca a colpi di machete. La sua colpa? Essere nato in una famiglia
musulmana ed essere diventato ateo.
Mi ci
sono voluti alcuni giorni per fare qualche ricerca e per essere
sicuro di non scrivere “di pancia”, sotto l'emozione del momento.
Tengo a
chiarire subito una cosa (qualora fosse necessario): non sono, né mi
prendo per un politologo, un sociologo, uno specialista in strategia
internazionale o in religione, e ancora meno un tuttologo. Sono solo
un uomo indignato che cerca di evitare che la sua indignazione si
trasformi in affermazioni approssimative e affrettate. Detto questo,
andiamo avanti.
Credo
ormai indiscutibile che ci troviamo oggi davanti a una vera
esplosione del fanatismo religioso, in particolare nelle religioni
monoteiste. Questo è vero nell'Islam, ma lo è anche nel
Cristianesimo e nell'Ebraismo. Nelle sue Antimémoires del 1967,
André Malraux scriveva che “le XXIème siècle sera spirituel
ou ne sera pas”, traducibile con il XXI secolo sarà
spirituale o non esisterà. Purtroppo Malraux si sbagliava:
questo inizio di secolo non ci parla di spiritualità, ma di
fanatismo e di integralismo monoteista. Il fanatismo islamista è in
questo momento storico il più violento e spettacolare, quello che
provoca più morti e distruzioni, ma non mi pare che il fanatismo
cristiano o quello ebraico siano per questo da sottovalutare.
Imposizione da parte di vari Stati nord-americani dell'insegnamento
dell'evoluzionismo come una teoria, alla quale viene affiancata, con
eguale dignità, la teoria creazionista; sviluppo dell'idea di un
Occidente cristiano che sarebbe l'unico portatore di idee accettabili
e che non si priva del diritto di cercare di esportarle attraverso
l'uso sistematico di bombardamenti, guerre e invasioni; sostituzione
sui dollari statunitensi della scritta E pluribus unum con In
God we trust (1957); instaurazione in Israele di un sistema
socio-politico che assomiglia sempre di più all'apartheid; presenza
all'interno del governo israeliano di ministri appartenenti a
formazioni religiose integraliste; islamofobia rivendicata
apertamente da autorità politiche e religiose in varie parti del
mondo; revisionismo storico tendente, secondo i casi, a sottovalutare
gli aspetti negativi del colonialismo, o l'esistenza storica di
genocidi; persistenza di analisi post-marxiste all'interno delle
quali l'aspetto religioso è sistematicamente sottovalutato, aprendo
così la breccia a nuovi fanatismi; aumento, in particolare grazie ai
media, dell'invasione religiosa all'interno della sfera del privato;
sviluppo esponenziale del missionariato nei paesi in via di sviluppo,
in particolare da parte di sette cristiane; irrigidimenti ideologici
basati su una scelta accurata di passaggi specifici delle “sacre”
scritture a scapito di altri. Tutto questo non fa che esasperare dei
conflitti che hanno, sì, anche delle basi economiche e politiche, ma
che si nutrono di credenze religiose usandole come potenti leve in
grado di smuovere e convincere milioni di individui, che senza quel
supporto non si sognerebbero nemmeno di passare all'azione violenta.
I testi
“sacri”: che si tratti dell'Antico, del Nuovo Testamento o del
Corano, basta leggerli con un minimo di attenzione per accorgersi che
ognuno di loro è una specie di gigantesco supermercato nel quale si
può trovare di tutto e il contrario di tutto. Su un solo punto i
vari testi sembrano in perfetto accordo: l'inferiorità della donna
rispetto all'uomo. In Genesi 3:16, quando Dio maledice Eva dicendole:
“verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”,
stabilisce una volta per tutte in maniera definitiva e irrevocabile
il dominio dell'uomo sulla donna, spalancando così la porta ad ogni
possibilità di sopruso. Ma questo non sembra offuscare alcun
credente. Come mai? Semplicemente perché i credenti di tutte le
religioni, pur insistendo sulla sacralità dei loro testi di
riferimento rispettivi, si prendono poi allegramente la libertà di
selezionare i passaggi più consoni al loro pensiero, passando sotto
silenzio l'esistenza di tutti quelli che li contraddicono. Al
supermercato della fede nessuno si sente obbligato a comprare tutti i
prodotti, ognuno sceglie ciò che gli fa comodo.
I
cristiani sottolineano sempre le pretese differenze tra il dio
ebraico e il loro, passando però sotto silenzio che anche per loro
la Bibbia è un libro “sacro”. Nessun cristiano, che io sappia,
immaginerebbe di refutare l'idea di peccato originale, o la storia
del diluvio universale, presenti nella Genesi, oppure i Dieci
Comandamenti presenti nell'Esodo e nel Deuteronomio. Eppure gli
stessi cristiani non accordano nessuna importanza al divieto di
mangiare carne di lepre presente nello stesso Deuteronomio (14:7) e
probabilmente trovano imbarazzante un altro passaggio dello stesso
libro (12:20), che recita: “Distruggerete completamente tutti i
luoghi, dove le nazioni che state per scacciare servono i loro dèi:
sugli alti monti, sui colli e sotto ogni albero verde. Demolirete i
loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri,
brucerete nel fuoco le statue dei loro dèi e cancellerete il loro
nome da quei luoghi.” Sempre il Deuteronomio non esita
d'altronde a ordinare allegramente al popolo eletto di sterminare
ben sette altri popoli: Hittiti, Gergesei, Amorrei, Perizziti, Evei,
Cananei e Gebusei (Deut. 7:1 e 2). Lo sterminio come mezzo di
diffusione della propria fede, in barba al pur drastico non uccidere
del quinto comandamento.
Allo
stesso modo, gli stessi cristiani non sembrano prestare attenzione al
fanatismo di Paolo di Tarso quando afferma che la parola del
Signore cresceva e si rafforzava grazie alla distruzione di
migliaia di libri (Atti degli Apostoli, 19:19 e 20) o quando auspica
che la scienza svanisca (Lettera ai Corinzi 13:8). La negazione del
sapere e della ragione come asse portante della fede.
Non è
quindi certo da un punto di vista cristiano che ci si può arrogare
il diritto di criticare un altro libro “sacro”. I cristiani
peraltro non trovano nulla ridire nel fatto che i quattro Vangeli
canonici siano stati dichiarati tali, a scapito di altri, solo nel
corso del Concilio di Nicea del 325, sotto la spinta di Ireneo di
Lione, che giustificò la sua scelta affermando che siccome c'erano
quattro angoli della terra (i punti cardinali) e quattro venti, così
non potevano esserci né più né meno di quattro Vangeli. Come
argomento filologico si può fare di meglio...
E
vogliamo ricordare le omelie di Giovanni Crisostomo, naturalmente
“santo”, contro gli ebrei (mentre le bestie danno la vita per
salvare i loro piccoli, i giudei li massacrano con le proprie mani
per onorare i demoni, nostri nemici, e ogni loro gesto traduce la
loro bestialità), nonché ciò che ne scrisse il Papa nel 2007,
in occasione del sedicesimo centenario della nascita del “santo”
(un grande Padre della Chiesa a cui guardano con venerazione i
cristiani di tutti i tempi […], la cui vita e magistero
dottrinale risuonano in tutti i secoli e ancora oggi suscitano
l’ammirazione universale)?
In uno
dei suoi ultimi articoli, intitolato Il virus della fede
(titolo anche di un suo precedente libro pubblicato e poi ritirato
dalla circolazione in Bangladesh), articolo apparso su internet poco
prima della sua morte, Avijit Roy ricorda come nel Corano ci siano un
certo numero di passaggi che servono oggi da autogiustificazione ai
più violenti integralisti: uccideteli [gli infedeli] ovunque
li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati (2:191);
combattete i miscredenti che vi stanno attorno, che trovino
durezza in voi (9:123); uccidete questi associatori ovunque li
incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati
(9:5).
Ovviamente
anche dal Corano è possibile estrarre numerose citazioni instrise di
spirito di pace, di misericordia e di fratellanza, proprio come lo si
può fare sia dall'Antico che dal Nuovo Testamento. Basterà
ricordare, per esempio, il verso 32 della V sura, detta La tavola
imbandita, che recita: chiunque uccida un uomo, che non abbia
ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra,
sarà come se avesse ucciso l'umanità intera. Ma anche qui i
pacifici ammiratori del Corano molto spesso troncano la citazione
nella parte che sembra autorizzare perfettamente la pena di morte per
chi abbia ucciso, o anche solo sparso la corruzione sulla terra.
Ma
l'analisi di Roy si fa interessante, nonché perfettamente
inaccettabile per i fanatici di ogni bordo, quando l'autore si mette
a parlare del concetto di meme. Vediamo intanto come il meme è
definito dal vocabolario Treccani:
meme
s. m. Singolo elemento di una cultura o di un sistema di
comportamento, replicabile e trasmissibile per imitazione da un
individuo a un altro o da uno strumento di comunicazione ed
espressione a un altro (giornale, libro, pellicola cinematografica,
sito internet, ecc.). ◆ I memi digitali sono contenuti virali in
grado di monopolizzare l’attenzione degli utenti sul web. Un video,
un disegno, una foto diventa meme (termine coniato nel 1976 dal
biologo Richard Dawkins ne Il
gene egoista per indicare un’entità di informazione
replicabile) quando la sua «replicabilità», che dipende dalla
capacità di suscitare un’emozione, è massima.
Ed ecco
un estratto del testo di Roy:
Chi
ha familiarità con l'idea rivoluzionaria di meme introdotta da
Richard Dawkins [etologo e
biologo britannico, noto per il suo ateismo militante] nel
suo opus magnus Il Gene egoista,
del 1976, già conosce la metafora virale delle idee religiose.
Seguendo questa idea, vari autori hanno suggerito che il meme
religioso si comporti come lo fa un virus biologico in un organismo
vivente. Lo specialista di informatica Craig James (autore di The
Religion Virus, Il virus della religione) e lo psicologo
Darrel W. Ray (autore di The God
Virus, Il virus di Dio) hanno proposto indipendentemente
uno dall'altro l'idea che il “meme religioso” possa essere visto
come un virus. Il filosofo Daniel C. Dennett (autore di Breaking
the Spell, Rompere l'incantesimo) ha espresso l'idea che la
religione esercita sulle persone un controllo del comportamento molto
simile a quello dei parassiti che invadono un organismo. Il virus
della rabbia, per esempio, infetta, nel cervello dei mammiferi, dei
neuroni molto specifici che col tempo spingono l'infettato a mordere
o comunque ad attaccare altri individui. La dicrocoeliosi iperacuta
provocata dal parassita Dicrocoelium
dendriticum infetta il cervello delle formiche e le spinge
ad arrampicarsi in cima a foglie d'erba, dove potranno essere
mangiate dalle mucche. Un altro parassita, lo Spinochordodes
tellinii, infetta le cavallette col risultato di spingerle
ad annegarsi, favorendo così la riproduzione del parassita stesso.
Non
vediamo forse fenomeni simili nella società umana?
[…]
L'ISIS
[ovvero il sedicente Stato
Islamico] è ciò che risulta dal propagarsi del virus
della fede e dal suo diventare epidemia.
Per
queste parole, e per altre dello stesso tipo, Avijit Roy è stato
assassinato.
Non ho
motivo di credere che senza religione l'uomo sarebbe migliore di ciò
che è. Credo però che la religione, nata migliaia, se non decine di
migliaia di anni fa in società prive di ogni possibilità di
conoscenza e di analisi dei fenomeni fisici e naturali, abbia ormai
così ampiamente dimostrato la sua naturale tendenza a creare
divisioni, conflitti, esclusioni, rifiuti dell'altro e problemi di
ogni genere, da rendere auspicabile la sua sparizione dalla faccia
del mondo.
Chi
crede in Dio, in uno qualsiasi delle migliaia di dei tuttora adorati
nel mondo, sembra continuare a difendere l'assurda idea che chi non
crede non può avere accesso a sentimenti elevati, al “vero”
amore, al sentimento di meraviglia davanti alle bellezze
dell'universo, all'estasi, il che è ovviamente perfettamente
offensivo per chi in Dio non crede.
Un
piccolo esempio personale. Da bambino avevo paura del buio. La sera
chiedevo sempre ai miei genitori di lasciare la tapparella della mia
camera da letto leggermente socchiusa, in modo che un po' della luce
esterna, quella dei lampioni della città, potesse entrare e
rassicurarmi. Nelle mattine d'inverno, quando i primi raggi del sole
colpivano direttamente la tapparella di quella camera esposta a est,
svegliandomi passavo lunghi minuti a osservare quelle tre o quattro
lame di luce all'interno delle quali vedevo migliaia di piccoli
granelli di polvere che si muovevano in maniera apparentemente
disorganizzata. Mi rivedo all'età di dieci o undici anni, sdraiato
sotto le coperte con il mio pigiama di flanella a righe. Guardavo
quei granelli di polvere e mi dicevo che forse ognuno di loro era un
mondo, un mondo infinitamente piccolo, popolato da esseri
infinitamente piccoli il cui spazio e il cui tempo erano per loro
esattamente ciò che il mio spazio e il mio tempo erano per me. Mi
dicevo che in quel preciso istante forse, su uno di quei granelli di
polvere c'era un piccolissimo bambino sdraiato sotto le coperte nel
suo pigiama di flanella che osservava altri granelli di polvere,
infinitamente piccoli anche per lui. E mi dicevo anche che altrove,
in un altrove lontanissimo, c'era un altro bambino, infinitamente più
grande di me, che osservava anche lui dei granelli di polvere e che
forse immaginava, a ragione, che uno di quei granelli fosse il mio
mondo, il mio universo.
Quelle
mie fantasie infantili, che non ho mai dimenticato e che nulla
avevano a che fare con Dio o con la fede, mi sembrano ancora oggi dei
meravigliosi esempi di spiritualità e di trascendenza, tanto
spontanee quanto perfettamente atee.
Già:
senonché i credenti di ogni specie hanno da tanto tempo ormai
confiscato parole come spiritualità e trascendenza, che è quasi
impossibile usarle al di fuori di ogni riferimento religioso. Noi
atei siamo vittime di un furto semantico che va avanti da millenni e
anche se non vorremmo usare per noi stessi la parola ateo, non
abbiamo scelta.
Eppure
quella parola è sbagliata, col suo a privativo iniziale. Noi non ci
priviamo di nulla e non riconosciamo a nessuno il diritto di
considerarci mancanti di qualcosa. Soprattutto non lo riconosciamo a
chi ci dà l'impressione di vivere nell'illusione di un mondo di
favole, fatto di vergini che partoriscono, di “santi” che operano
guarigioni miracolose, di guerrieri che fermano il corso del sole per
meglio distruggere una città e massacrarne gli abitanti, di donne
curiose trasformate in statue di sale, di mari che si aprono per far
passare tutto un popolo (e poi sterminare un esercito), di navi sulle
quali è possibile caricare tutti gli animali del mondo, di uomini
che passano tre giorni e tre notti nel ventre di una balena, di
moltiplicatori di pani e pesci, di camminatori sulle acque, di
viaggiatori su carri di fuoco e di ogni altro genere di
prestigiatori, nani e ballerine. Storie bellissime, per carità
(almeno alcune di loro); storie sulle quali si può sognare. Ma non
più di quanto si possa farlo su Ventimila leghe sotto i mari,
su I pirati della Malesia, o su Il signore degli anelli.
Non che
quelle storie mi diano fastidio. Né in fondo mi dà fastidio che
qualcuno ci veda delle “verità”. Ma che a quelle "verità"
si possa accordare pubblicamente la stessa importanza e la stessa
credibilità della ragione, della conoscenza e del sapere, questo no,
non mi sembra accettabile. E soprattutto, soprattutto!, che si possa
accusare di blasfemia chi quelle "verità" le trova
risibili è davvero insopportabile.
Per me
e per altri come me, la sola, vera bestemmia è Dio: una bestemmia
contro la ragione e contro l'uomo. Senonché trovo che quella
bestemmia sia solo il sintomo di un modo di ragionare (o di non
ragionare) che mi è totalmente estraneo. Niente di più. Se chi
accorda più importanza a ciò che chiama fede che alla ragione
accettasse con altrettanta calma la ragione che nega la sua fede, il
mondo sarebbe un posto migliore.