La Feltrinelli di Santa Maria Novella
Era un
po' che non avevo occasione di passare dalla stazione di Santa Maria
Novella. Ci sono passato lunedì, per venire a Roma.
Mi ero
organizzato con gli orari in modo da farmi un piatto di pasta al
self-service della stazione prima di prendere un Frecciargento. Prima
sorpresa: il self non c'è più. C'è sempre, chiaramente visibile,
la scritta “self service” in perfetto stile
vetero-italico-ferroviario, ma prima che un burocrate delle effesse
(o comunque si chiamino adesso) si renda conto che quell'insegna non
serve più a nulla, decida di farla togliere, chiami il servizio
responsabile del toglimento delle insegne che non servono più,
riempia i moduli necessari, li firmi, li timbri e li faccia poi
pervenire, ovviamente non per via telematica, ma in originale, al
servizio competente, passeranno moltissimi secoli.
Al
posto del self-service c'è una Feltrinelli. Il che non è di per sé
una pessima notizia, a parte per chi, come me, vorrebbe farsi una
pasta prima di salire su un Frecciargento per raggiungere la
capitale.
Un
altro posto per mangiare a Santa Maria Novella c'è, ma è un
orrido-stomachevole-viscido-disgustoso Mèchdonald. E non dico altro.
Ora,
siccome la già nominata Feltrinelli, che si estende su ben due
piani, è anche munita di bar che serve qualche panino (pochi) e
qualche trancio di pizza (un po' di più), decido di soddisfare lì i
miei bisogni nutritivi, additando a un'inserviente, il cui sesso ti è
precisato dall'apostrofo che ne definisce le competenze, un trancio
di pizza generosamente ricoperto da un onorevole strato di formaggio
sul quale paiono affondare, tali rari nantes in gurgite vasto,
degli sperduti frammenti di verde zucchina. La grigiovestita
damigella mi porge l'oggetto delle mie brame, non senza averlo prima
deposto su un piattino di carta addobbato da un elegante tovagliolino
della stessa materia.
Pago,
mi sposto verso il tavolono ligneo che costituisce l'unica
possibilità di appoggio, afferro la pizzetta, la mordo e mi rendo
immediatamente conto che la sua temperatura interna è simile a
quella del sangue di un rettile in una notte d'ottobre. E vabbè, mi
papperò una pizzetta fredda.
Masticando
lo squallido cibo, mi guardo intorno e scopro che i muri della
libreria portano, in rilievo, delle scritte che altro non sono che
citazioni di autori vari. La prima che vedo è firmata Charlie
Chaplin, ma la seconda (ah, la seconda!), che è molto più grande
delle altre e che, oltre alla firma dell'autrice è accompagnata
anche dal ritratto della stessa in formato gigante — a
occhio e croce un metro e quaranta d'altezza per la sola faccia —
mi provoca un'immediata caduta della mascella, accompagnata dalla
rovinosa scivolata extra-boccale di un pezzo di pizza già
biascicato, che prima mi rimbalza sulla maglietta e poi va a
schiantarsi sulla punta della scarpa destra. La scritta dice: non
stare troppo tempo a chiederti chi sei, cosa fai o cosa ti piace, sii
solo felice!
A
parte l'indiscutibile fatto che non credo di essere il solo ad avere
smesso di stare troppo tempo a chiedermi chi sono, cosa faccio o cosa
mi piace dai tempi dell'ultimo foruncolo di acne giovanile, la
presenza di una massima così smaccatamente copiata da un cartiglio
di Baci Perugina sul muro di una libreria Feltrinelli non può non
provocare in qualsiasi individuo dotato di un minimo di ragione non
solo una caduta mandibolare, ma, almeno nel caso di un individuo di
sesso maschile, anche, in seconda battuta, una caduta testicolare che
infatti mi fa immediatamente scivolare le ghiandole seminali al
livello dell'orlo inferiore dei pantaloni.
Mi
accingo già a raccattare zebedei e pizza biascicata, quando mi rendo
conto che il faccione e la firma che accompagnano la citazione
appartengono nientepopodimeno che a Amy Winehouse. Sì, Amy
Winehouse, sulla produzione musicale della quale non ho granché da
dire, siamo d'accordo, ma che, a meno che mi sbagli di grosso, era
una nota alcolista nonché consumatrice di droghe di vario genere e
tipo.
Ora,
che il consiglio di pensare solo a essere felice mi venga da una
nota alcolista nonché consumatrice di droghe di vario tipo deceduta
a 27 anni con un tasso alcolemico di 416 mg. per 100 ml. di sangue
(vedi rapporto del medico legale londinese) già è cosa che mi lascia basito almeno quanto la vista della distruzione di Sodoma e Gomorra lasciò basita, prima ancora che salificata, la moglie di Lot; ma che in più quel
consiglio mi arrivi da una scritta sul muro di una libreria
Feltrinelli è davvero troppo.
O
tempora, o mores! mi verrebbe da
scrivere se non avessi timore di sembrare un vecchio trombone
rincoglionito.
Ma
siccome non ho nessun timore di sembrare un vecchio trombone
rincoglionito, scrivo volentieri: O tempora, o mores!
E
perché mai tanto livore?, mi chiederai, incredulo lettore. Mo' te
lo spiego.
Correva
l'anno 1967. Era il mese di ottobre. Per non so più quale motivo, me
ne andavo verso piazza della Scala, percorrendo via Brera, quando il
mio sguardo fu attirato da un manifesto in bianco e nero incollato al
muro, e poi da un secondo, e poi da un terzo, incollati un po' più in
là. Il manifesto riproduceva la fotografia di un uomo barbuto, con i
capelli lunghi e una barba rada, nonché un berretto basco in testa.
L'uomo, dall'aspetto serio, sembrava guardare lontano e la foto, che
era stata presa dal basso, dava subito l'idea che quello sguardo
fosse rivolto al futuro.
Sotto
la faccia dell'uomo una striscia bianca attraversava il manifesto in
diagonale e sulla striscia appariva la scitta il Che vive!
(non sono sicuro del punto esclamativo, ma mi pare che ci fosse).
L'uomo era ovviamente Ernesto Che Guevara, ucciso il giorno prima
nella foresta boliviana dai soldati del dittatore René Barrientos
Ortuño.
Diciamo la verità: io del Che non sapevo nulla. Però quella faccia
mi colpì, da quel manifesto così diverso da tutti gli altri e con
quella scritta per me esoterica. Nei giorni seguenti scoprii chi era
il Che e seppi anche che quei manifesti li aveva fatti mettere
Giangiacomo Feltrinelli, quello stesso editore che aveva fatto
conoscere all'Occidente Il dottor Zivago
e che sarebbe morto qualche anno dopo mentre metteva una bomba sotto
un traliccio dell'alta tensione in provincia di Milano.
Ecco,
sarò anche un vecchio trombone rincoglionito, ma per me il nome
Feltrinelli è per sempre legato a quei ricordi, oltre che a un certo
numero di libri letti con la sensazione di scoprire cose importanti,
autori importanti, idee importanti. Ed ecco perché l'idea che un
decoratore d'interni in cashmirino azzurro e scarpe finte Prada sia
riuscito a convicere la stessa Feltrinelli ad attaccare al muro una
citazione di Amy Winehouse in puro stile Baci Perugina mi riempie di
infinita tristezza. Talmente che ancora adesso, a due giorni di
distanza, non vedo altra possibilità che andare ad annegare quella
tristezza in un buon caffé. Che per fortuna è sotto casa.