mercoledì 15 giugno 2011

Maschile o femminile?

Logo dell'Accademia della crusca

Mi sono letto la Guida alla redazione degli atti amministrativi redatta dall'Istituto di teorie e tecniche dell'informazione del Cnr in collabortazione con l'Accademia della Crusca. 
“E perché mai ti sei letto la Guida alla redazione degli atti amministrativi redatta dall'Istituto di teorie e tecniche dell'informazione del Cnr in collabortazione con l'Accademia della Crusca?”, mi chiederà l'incredulo lettore. “Perché le parole sono importanti”, potrei rispondere citando l'illustre Nanni; oppure “perché sono un rompicoglioni”, potrebbe suggerirmi di rispondere mia moglie. Entrambe le risposte sarebbero esatte.
Lo ammetto: sono uno che ama le cose precise, ben fatte. Amo i vocabolari, le enciclopedie, le liste. Amo le regole e amo soprattutto le eccezioni, al punto da dare grande importanza all'assioma patafisico secondo il quale “la regola è l'eccezione dell'eccezione”.
Comunque sia, mi sono pappato la Guida ecc. anche perché, avendo vissuto per più di trent'anni in terra transalpina, con la necessità di parlare e scrivere la lingua di Montesquieu e di Gérard Depardieu tralasciando quella di Dante e di Christian De Sica, sono spesso assalito da dubbi amletici su come scrivere una parola, un'espressione, un nome, una data o una quantità. Basti pensare, tanto per fare un esempio, che se in italiano bisogna scrivere “gli italiani”, il francese mette la maiuscola a “les Français” (e ti pareva...).
Il sito dell'Accademia della crusca ce l'ho in memoria nel segnalibri del mio navigatore e mi capita con una certa regolarità di consultarlo e magari pure di leggermene un pezzettino per puro piacere. Articoli come quelli sulla Sintassi del periodo ipotetico, sull'Uso del gerundio con soggetto diverso da quello della frase reggente, o sull'Impiego del congiutivo presente o imperfetto nelle proposizioni subordinate mi fanno godere come un grillo.
Al contrario, mai mi verrebbe in mente di andarmi a sorbire il sito della pallosissima e arrogantissima Académie française che, tanto per dirne una, vorrebbe convincermi a scrivere “mél” per e.mail e “professeur” anche per una professoressa.
A questo proposito, la nobile Accademia italica mi dà dei consigli sotto il titolo Nomi professionali femminili (http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=3945&ctg_id=93). Dopo un primo paragrafo introduttivo, ecco cosa trovo:

È inevitabile che un processo linguistico in fieri, come il riassestamento maschile-femminile nei nomi professionali, sia presentato in modo diverso dalle varie "fonti di lingua", che riflettono l'obiettiva oscillazione dell'uso reale. Per il prof. Malesci, che richiama un noto opuscolo ufficiale del 1987 (le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, compilate da Alma Sabatini) il futuro è delle forme femminili: la ministra, l'avvocata, la soldata. Può darsi che egli abbia ragione. A me sembra però che, al di là dell'uso di alcuni giornali (non di tutti!), più sensibili al "politicamente corretto", nella lingua comune forme del genere non siano ancora acclimatate e, anzi, potrebbero essere oggetto d'ironia. Sul loro successo incide negativamente anche il fatto che molte donne avvertano come limitativa la femminilizzazione coatta del nome professionale, riconoscendosi piuttosto in una funzione o una condizione in quanto tale, a prescindere dal sesso di chi la esercita. I giornali hanno fatto gran parlare, a suo tempo, dell'uso di Irene Pivetti che si riferì a se stessa come «presidente della Camera», «cittadino» e «cattolico».

Non proprio soddisfatto dal riferimento a Irene Pivetti come ispiratrice del buon uso della lingua italiana, sono andato a leggermi la Guida di cui sopra, trovando (parte prima, paragrafo 17) un altro suono di campana:

Per i nomi di mestiere, i titoli professionali e i ruoli istituzionali si suggerisce di usare il genere maschile e il genere femminile in base al genere del referente. Le strategie di riferimento e di accordo variano in base al tipo di testo.
Come regola generale negli atti di indirizzo politico-amministrativo (direttive), negli atti di gestione (atti e provvedimenti amministrativi) e nei regolamenti (atti normativi), e in particolare negli atti di indirizzo per la nomina e la designazione, da parte del Sindaco, dei rappresentanti del Comune presso enti, nelle comunicazioni a persone singole e nei bandi di concorso, è opportuno usare il genere grammaticale maschile o femminile pertinente alla persona alla quale si fa riferimento. Si noti che tutti i nomi di mestiere, di professione e di ruolo possono avere la forma femminile: operaio/operaia, sindaco/sindaca; assessore/assessora; segretario generale/segretaria generale, il presidente/la presidente ecc. È invece da evitare, perché non è grammaticale, l’uso dell’articolo femminile seguito dalla forma maschile, es. la sindaco. Si raccomanda di distinguere sempre il genere quando si fa riferimento a una persona definita, in particolare nell’intestazione, nelle formule d’esordio, nell’oggetto e nella firma.
Esempi:
In lettere, comunicazioni, avvisi: intestazione: Al signor/dottor/architetto XY oppure Alla signora, dottoressa, architetta XY; formula d’esordio: Egregio avvocato XY oppure Egregia avvocata YX; firma: Il responsabile del procedimento oppure La responsabile del procedimento. In delibere: oggetto: Nomina del sig. XY alla carica di consigliere comunale in surroga del consigliere YX oppure Nomina della signora XY alla carica di consigliera comunale in surroga della consigliera YX; elenco dei presenti al Consiglio: Risultano presenti: XY, consigliere, YX, consigliera ecc. Nei moduli da compilare si raccomanda di offrire la possibilità di scegliere il genere pertinente (Il/la residente ecc.).

Pirsonalmente di pirsona, come scriverebbe Camilleri, io tenderei a favorire le indicazioni della Guida, che, ricordandomi quelle delle autorità elvetiche o di quelle quebecchesi, mi invitano a riferirmi a Madame de Sévigné e a Georges Sand come écrivaines (femminile), e non écrivains (maschile). 
Che poi anche in quelle amene benché nordiche contrade esistanto delle Irene Pivetti attaccate alle tradizioni linguistico-maschiliste è probabilmente cosa certa. Ma mi pare che se la natura mi avesse dotato di un numero inferiore di testosteroni e di uno superiore di follicoli ovarici non troverei normale il sentirmi chiamare architetto, sindaco, ministro, o fotografo.