sabato 5 giugno 2010

Henning Mankell verso Gaza

Henning Mankell

Da anni sono un avido lettore dei romanzi di Henning Mankell. Quando ho saputo che l'autore svedese, genero di Ingmar Bergman, era presente su una delle navi piratate dall'esercito israeliano in acque internazionali, ho cercato un po' sul web e ho trovato un'intervista esclusiva di Mankell al Guardian. L'ho letta, ma poi ho voluto anche ascoltare la registrazione audio. 
Ne traduco qui alcuni passaggi.

Esattamente alle 5:35 abbiamo visto quei gommoni neri che si avvicinavano con a bordo i membri delle truppe speciali, che portavano maschere nere. Siamo saliti tutti sul ponte e ci siamo detti "Non facciamo niente". Loro sono saliti a bordo. Erano molto aggressivi: "Andete giù, in fretta, non parlate"
C'era un membro dell'equipaggio più vecchio degli altri. È vero che si muoveva un po' lentamente. Allora l'hanno colpito con un taser, una pistola elettrica. È caduto, poi si è rialzato. Allora c'è stato un altro membro dell'equipaggio che forse si muoveva anche lui un po' lentamente e quelli gli hanno sparato con le pallottole di gomma. È stata proprio una brutta cosa, davvero. Ci hanno fatto andare di sotto, ci hanno fatto sedere e poi hanno detto: "Adesso perquisiamo la nave."
E hanno perquisito la nave. E poi (credetemi, è la verità, ci sono 24 testimoni) sono tornati e hanno detto: “Abbiamo trovato delle armi sulla nave.” Qualcuno ha detto: “Possiamo vederle, per favore?” “Sì”, e ci hanno fatto vedere un rasoio, di quelli usa e getta, e noi non credevamo ai nostri occhi: “Questo è quello che avete trovato?” “Sì, e abbiamo anche trovato un apriscatole, in cucina. Quindi abbiamo trovato delle armi a bordo. Stavate facendo cose completamente illegali, adesso vi portiamo in Israele.”
A quel punto ho realizzato che prima di tutto avevano commesso un atto di pirateria e ora stavano commettendo un rapimento. Mi sono chiesto cosa diavolo stesse facendo quella gente. Questa è una cosa che non capirò mai, dovessi vivere cent'anni. Davvero non riesco a capire una tale stupidità. E il risultato lo vedete: hanno il mondo intero contro di loro.
Poi ci hanno forzati a stare seduti per undici ore. Ci hanno dato un po' d'acqua, ma niente cibo. Dovevamo chiedere il permesso di andare in bagno, la situazione era brutta. Poi ci hanno portato da qualche parte in Israele, non so dove.
Lì mi hanno accusato. Ho chiesto: “Che problema avete? Cos'ho fatto?” “È entrato illegalmente in Israele”, mi hanno risposto. “Ma voi siete matti — gli ho detto. — Siete voi che mi avete portato qui!” Ma di questo non volevano discutere. Mi hanno detto che sarei stato deportato e una trentina d'ore dopo sono stato deportato. Nessuno è stato picchiato, per carità, ma loro sapevano esattamente chi ero io, tant'è che mi avevano messo di fianco un individuo speciale che stava attento a che non mi succedesse niente. La stupidità degli israeliani è stata enorme.
Ho chiesto a uno di quelli che mi stavano interrogando — non so se fosse un poliziotto o che altro, non portava nessuna uniforme — se si poteva identificare. Lui ha solo sorriso e ha detto “no, non posso.” Però mi ha detto che aveva letto i miei libri e che gli erano piaciuti. “Ok... Magari potremo parlarne un'altra volta. Magari adesso potremmo parlare di ciò di cui mi accusate...” Niente.
Ma poi ci siamo trovati in una situazione molto interessante perché lui continuava a voler parlare dei miei libri . Allora gli ho detto “d'accordo. Ti dò il mio numero di telefono in Svezia. Se un giorno vai in Svezia, chiamami. Ti prometto che parlerò con te. Ma adesso lasciami andare, perché tutto questo è ridicolo.” Io sono sempre pronto a parlare con tutti. Credo nella parola.
Cosa mi ha risposto? Ha preso il mio numero.