domenica 2 novembre 2014

Il poeta della settimana: Catullo


Una delle gioie di chi, come me, a scuola ci è andato poco è scoprire per tutto il corso della vita autori che altri hanno subito in classe come sgradevoli obblighi. Il solo libro che posseggo di poesie di Catullo l'ho comprato a 48 anni. Ma quando mi sono sbarazzato dei nove decimi dei libri che avevo in casa, tenendomi solo quelli che non ce la facevo proprio a dar via, non ho esitato un secondo, l'ho tenuto. E ho fatto bene.

Duemila anni dopo, leggere di tanto in tanto un po' di Catullo è cosa che favorisce l'equilibrio mentale. Non sarà il più grande poeta della storia del mondo, ma è così profondamente sano, specialmente nelle sue incazzature, che leggerlo è come togliersi un pensiero, una spina dal piede, una preoccupazione.

Sì, va bene, "Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai. / Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento", ma vuoi mettere con "(...) il tuo culo è più lindo d’una salierina di vetro, / e non caca dieci volte in un anno; e quel che fai  è più duro d’una fava secca e dei ciottoli di fiume; / tanto che se lo sfregassi e stropicciassi tra le mani, / non potresti sporcarti neanche un sol dito"?

Oggi ho scelto La taverna dei puttanieri, che i più eruditi tra i miei lettori non mancheranno di godersi in lingua originale a fondo pagina.



La taverna dei puttanieri

Voi, bestie che frequentate quell’immonda taverna,
nove colonne dopo il tempio di Càstore e Pollùce,
pensate di averlo solo voi il cazzo, che solo a voi,
qualunque fichetta si presenti, sia concesso
scoparverla mentre gli altri son tutti cornuti?
O forse, dal momento che sedete in cento o duecento
tutti in fila come deficienti, credete che non sarei capace
di ficcarvelo in bocca a tutti e duecento quanti siete?
E allora sappiatelo: sul muro fuori della taverna
scriverò che siete tutti dei gran cazzoni.
La mia donna, fuggita dalle mie braccia,
lei, amata quanto nessuna mai sarà amata,
in nome della quale ho combattuto così grandi battaglie,
siede lì, tra voi. Ve la sbattete a turno, quasi che foste onesti
e rispettabili, ma in realtà, ed è questa la cosa atroce,
siete un branco di mezze seghe fallite e puttanieri da strada;
e tu sei il primo, Ignazio, fra tutti quei capelloni,
nato tra gl'innumerevoli conigli della Celtiberia,
che credi d’esser bello nascosto dalla barba incolta
e ti sfreghi i denti sciacquandoli con l'urina.



Salax taberna vosque contubernales,
a pilleatis nona fratribus pila,
solis putatis esse mentulas vobis,
solis licere, quidquid est puellarum,
confutuere et putare ceteros hircos?
an, continenter quod sedetis insulsi
centum an ducenti, non putatis ausurum
me una ducentos irrumare sessores?
atqui putate: namque totius vobis
frontem tabernae sopionibus scribam.
puella nam mi, quae meo sinu fugit,
amata tantum quantum amabitur nulla,
pro qua mihi sunt magna bella pugnata,
consedit istic. Hanc boni beatique
omnes amatis, et quidem, quod indignum est,
omnes pusilli et semitarii moechi;
tu praeter omnes une de capillatis,
cuniculosae Celtiberiae fili,
Egnati, opaca quem bonum facit barba
et dens Hibera defricatus urina.