domenica 9 novembre 2014

Il poeta della settimana: Al-Khayyaām


Chi può citare i nome di tre letterati musulmani alzi la mano.
Vedo pochissime mani.
Eppure di questi tempi, quando la semplice parola musulmano tende a suscitare amalgami di ogni genere e tipo, non sarebbe male conoscere un po' di più quel mondo.
Omar Al-Khayyaām (o 'Umar Ḫayyam), al secolo Ghiyāth ad-Dīn Abu'l-Fatḥ ʿUmar ibn Ibrāhīm al-Khayyām Nīshāpūrī, nato il 18 maggio del 1048, è stato un poeta, matematico, filosofo astronomo e mistico sufi, originario del Khorasan persiano, regione orientale del Paese, il cui nome significa dove ha origine il sole
Le poesie di Khayyaām sono state tradotte in inglese verso la metà dell'800 e quella traduzione non solo fece scoprire all'Occidente un grande poeta, ma ne permise anche la riscoperta in Persia, dove era stato più o meno dimenticato per secoli.
Ha scritto un migliaio di rubāʿiyyāt, parola persiana tradotta solitamente con quartine, ma che in realtà ha a che vedere con la struttura metrica dei versi, riferiti alle quattro parti del metro arabo definito ʿarūḍ.
Il tema principale dei suoi scritti è il vino, ma attraverso il vino è di vita e di morte che Khayyām ci parla, di amore, di amicizia e di disprezzo verso l'intransigenza bigotta.
Le quartine le ho tenute a lungo accanto al letto, leggendomene qualcuna di tanto in tanto, come si va, appunto, a bersi un buon bicchiere di vino, per il puro piacere. Anche se molto diverso da Bashō, poeta giapponese al quale ho consacrato un post qualche settimana fa, Khayyām me lo ricorda per quel suo uso di testi brevi e quasi impressionisti. Ma mentre Bashō sembra sempre etereo e contemplativo, Khayyām è molto più decisamente terreno e concreto. Khayyām era in realtà un poeta dilettante, e riservava i suoi scritti agli amici. A lui si devono un'importante Spiegazione delle difficoltà nei postulati degli Elementi di Euclide, un metodo per la soluzione delle funzioni cubiche, il miglioramento del calendario persiano e vari testi di filosofia matematica. Secondo alcune fonti, pare anche che Khayyām fosse un convinto eliocentrista, cinque secoli prima di Copernico (e, detto per inciso, tredici secoli dopo Aristarco). 
Approfitto di questo post per segnalare qualche altro testo degno di nota.
Prima di tutto le Shahnameh, o Libro dei re, del persiano Ferdowsi, che precede Khayyām di pochi decenni. È la grande epopea persiana, che inizia con la creazione del mondo e arriva fino all'invasione araba del VII secolo. Una meraviglia, di cui ho comprato un esemplare in inglese in occasione di un viaggio a Teheran, ma di cui non trovo traccia in versione italiana.
Saltando completamente di palo in frasca e passando dal mondo persiano a quello arabo, un libro di cui consiglio vivamente la lettura è La casa della saggezza, di Jim Al-Khalili, fisico nato a Baghdad da padre iracheno e madre britannica, nonché ex-presidente della British Humanist Association. Il libro è una bellissima e interessantissima passeggiata attraverso la scienza medievale musulmana, sia araba che persiana, all'epoca in cui Baghdad era non solo la città più grande del mondo con il suo milione di abitanti, ma del mondo era anche il centro scientifico.
C'è poi sempre il classico Le crociate viste dagli arabi, del libanese Amin Maalouf, che mostra quanto agli occhi del Medio Oriente i crociati cristiani apparissero come barbari crudeli e fanatici, totalmente privi di scrupoli e di senso della dignità. L'ho riletto un paio d'anni fa (il libro è dell'83) e l'ho trovato assolutamente degno di nota.
Tutte queste sono solo gocce nell'oceano del sapere arabo-musulmano nel quale avremmo tutti grande interesse a farci una nuotatina di tanto in tanto. 
Non resisto alla tentazione di rievocare il giorno in cui, dopo avere visitato Persepoli, a una cinquantina di chilometri da Shiraz, andai al sito archeologico di Naqsh-e Rostam. Lì, scavate in una parete rocciosa, avevo sotto gli occhi le tombe di Dario, Serse e Artaserse. Vaghi ricordi scolastici, nomi di grandi re dei quali so poco o nulla, ma che hanno segnato la storia del mondo quanto e forse più di un Ottaviano Augusto o di un Carlomagno. Quel giorno mi è sembrato di toccare con mano l'assoluto eurocentrismo del poco che so e i limiti che quella mia cultura mi impone. Per qualche istante almeno mi sono sentito invadere da un'ondata di curiosità e appena tornato a Teheran, tre giorni dopo, ho cercato una traduzione inglese dello Shanameh, da cui ho poi tratto uno spettacolo.
Non si può sapere tutto ed è anche giusto nutrirsi della propria cultura prima che delle altre. Ma più il mondo diventa policentrico e interdipendente, più è importante andare a vedere altrove, non perché altrove sia meglio, ma perché è andando lì che si possono scoprire modi di pensare profondamente diversi e altrettanto affascinanti dei nostri.
E adesso alcune quartine. Una sola precisazione: la numerazione delle quartine sembra diversa da una traduzione all'altra. Per esempio la prima quartina che trascrivo porta il numero 41 ma non è la stessa di quella che porta lo stesso numero in un'altra traduzione e che incomincia con Poiché le cose non devono accadere secondo i nostri desideri.


Rubaiyyat 41
Il vino è rubino fuso, e la bottiglia è la miniera,
la coppa è il corpo, e il suo liquore l'anima.
Quella coppa di cristallo, che ride di vino,
è una lacrima in cui si cela il sangue del cuore.
 

Rubaiyyat 42
Io bevo il vino, e i miei critici a dritta e a manca
dicono: «Non lo bere, ché è nemico della fede...».
Or che ho appreso che è nemico della fede,
per Dio, bevo il sangue del nemico, che è ben lecito bere.
 

Rubaiyyat 46
In ogni piana ove è un giardino di tulipani,
quei tulipani sbocciano dal sangue di un re
Ogni gambo di violetta che spunta dal verziere
è una mano che recinse (un giorno) il collo di un amico.
 

Rubaiyyat 47
Abbi senno, ché il Tempo è fonte di torbidi.
Non sedertene sicuro, ché la spada del Destino è acuta.
Se il Tempo ti pone in bocca una pasta di mandorle,
attento, non inghiottire, ché è intrisa di veleno!
 

Rubaiyyat 52
Un sorso di vino è migliore del regno di Kavùs,
del trono di Qobàd, e del dominio di Tus.
Ogni gemito che caccia al mattino un bevitore libertino
è migliore del gemito degli ipocriti asceti.
 

Rubaiyyat 54
Il dolore del mondo è un veleno, e il vino è il tuo antidoto.
Tu bevi l'antidoto, e non hai da temere del veleno
Con i bei giovani di primo pelo bevi il vino in perpetuo sul verde,
prima che il verde spunti sotto terra da te.
 

Rubaiyyat 57
Ogni erba verde spuntata in riva a un ruscello
la diresti sbocciata dal labbro d'una angelica creatura.
Non poggiare senza riguardo il piede sull'erba,
ché quest'erba è nata dalla polvere d'un Volto di luna.
 

Rubaiyyat 58
Non avendo noi sottomano verità e certezza,
non si può stare la vita intera in una dubbia speranza.
Su, non deponiamo di mano il bicchiere;
nell'ignoranza in cui siamo, che differenza c'è tra il lucido e l'ebbro?
 

Rubaiyyat 64
O tu, la cui guancia è ricalcata sulla rosa,
il cui volto è fuso sul modello delle bellezze della Cina!
O tu, il cui languido sguardo dà scacco al re di Babele
senza cavallo e torre, alfiere e pedina e regina!
 

Rubaiyyat 65
Quando la vita se ne va, che differenza c'è tra Baghdad e Balkh?
Quando la coppa è ricolma, che fa se dolce o amaro è il suo contenuto?
Bevi il vino, ché dopo di me e di te, più volte questa luna
passerà dall'ultimo al primo quarto, e dal primo all'ultimo.
 

Rubaiyyat 67
Questo intelletto che incede per la via della felicità
cento volte al giorno ti dice così:
cogli questo tuo tempo d'un attimo, giacché non sei
quell'erba fresca che falciano e poi torna a spuntare.
 

Rubaiyyat 68
Coloro che son caduti prigionieri del senno e del discernimento,
si sono distrutti nell'affanno dell'essere e del non-essere.
Va', ignorante che sei, e preferisci il succo della vite,
ché quegli ignoranti han prima di sera finita la loro giornata.
 

Rubaiyyat 69
Il mio venire (alla vita) non ha dato alcun frutto alla Ruota celeste
né la sua bellezza e dignità si è accresciuta per la mia dipartita.
Da nessuno ancora, le mie due orecchie hanno udito
che scopo abbia questa mia venuta e questa mia dipartita.
 

Rubaiyyat 70
Nella via dell'Amore bisogna essere puri.
Nell'artiglio della Morte bisogna morire.
Coppiere dal bel volto non te ne stare inoperoso,
versa il tuo liquore, che dovremo (un giorno) diventare terra!
 

Rubaiyyat 71
Ora che della gioia non è rimasto che il nome,
che nessun vecchio amico é rimasto, fuor del vino nuovo
Non ritrarre la mano dell'allegria dalla coppa del vino
oggi che in mano non ti è rimasto che il bicchiere.
 

Rubaiyyat 77
Non sono io uomo da aver paura del non-essere,
quella metà mi piace ancora più di questa.
Ho un'anima, che è un oggetto prestato entro una gabbia.
La riconsegnerò quando venga il momento di renderla.
 

Rubaiyyat 78
Questa carovana della vita passa mirabilmente.
Tu, cogli un istante che trascorra in letizia.
Coppiere, che stai a crucciarti per il domani degli amici?
Da' qui la coppa del vino, ché la notte trascorre.
 

Rubaiyyat 80
Benché il vino abbia lacerato il mio velo,
finché ho vita non mi separerò da quel liquore.
Mi stupiscono i venditori di vino, giacché essi
cosa mai potranno comprare di meglio di quel che vendono?