mercoledì 19 febbraio 2014

Un armadietto da infermiere

Damien Hirst - No love lost

Titolo sulla Repubblica di ieri, pag. 43: "L'opera di Daniel Hirst scambiata per un kit medico."
L'opera in questione è intitolata No love lost ed è... un kit medico. Insomma, non proprio un kit, ma un armadietto contenente oggetti usati comunemente dagli infermieri.
"Si sono viste persone passare davanti a quel lavoro — esposto per la prima volta in Italia, prestato da un anonimo privato — e poi chiedere notizie: "Ci hanno detto che c'è un'opera di Hirst, ma non la troviamo." Pensa: c'è gente che è passata davanti a un armadietto da infermiere e non ha capito che era un'opera d'arte! Viviamo davvero in un mondo di abissale ignoranza.
Come dici? Quella non è un'opera d'arte, ma un semplice armadietto da infermiere e sono i mercanti e i critici che ci prendono per i fondelli? Mi sembra che tu stia esagerando.
Come? Magritte almeno sotto una pipa ci aveva scritto Ceci n'est pas une pipe e questo nel 1929, mentre Duchamp aveva esposto un orinatoio nel 1917 intitolandolo Fountain? Vabbé, ma cosa vuol dire? Magari Hirst non lo sapeva e ha creduto di fare qualcosa di nuovo. Dai, su, un po' di comprensione.
No, eh?
No.
Effettivamente...
Sì, effettivamente mi sa che ci stanno prendendo per i fondelli. È il trionfo della Pirl'Art e di "Su, sgancia un caccazilione di euro per comperarti un armadietto da infermiere e diventerai immediatamente un raffinato collezionista."
Ma te lo vedi uno che appende al muro del salotto buono un armadietto da infermiere? Arriva un amico, lo vede e chiede: "Stai poco bene?" "Sto benissimo. Perché?" "Beh, vedo che ti tieni sottomano il necessario per l'infermiere..." "Amico mio, questo non è un necessario per infermiere, bensì un'opera d'arte, eziandio costatami un caccazilione e mezzo di euro." (Ti avevo segnalato in un precedente post che avrei spesso usato la parola eziandio, che mi piace molto). "Un caccazilione e mezzo di euro? Ma allora quest'opera d'arte è davvero bellissima!" "Certo che lo è. Sennò non mi sarebbe costata un caccazilione e mezzo di euro."
Logica impeccabile. Almeno se si parla di euro, dollari, yen, renminbi, grana, palanche, pecunia, dindi, quattrini, conquibus, sghei, danneé, moneda o dinaru.
Ma se parliamo di opere d'arte?
O forse no, forse è meglio non parlarne. Quando mi viene voglia di parlarne mi torna sempre in mente un testo di Gertrude Stein, autrice che ho amato tanto da dare a mia figlia, come secondo nome, proprio Gertrude (cosa che non mi ha mai perdonato, ma lasciamo perdere).
Nel 1936 la Stein scrisse un piccolo saggio dal titolo What are masterpieces and why there are so few of them? (Cosa sono i capolavori e perché ce ne sono così pochi?). Te ne traduco qualche riga mantenendo quel suo stile automatico e privo di punteggiatura.
"Volevo parlarti [dei capolavori] ma di fatto è impossibile parlare di capolavori e di che cosa sono perché parlare non ha essenzialmente nulla a che fare con il fatto di creare. Io parlo molto mi piace parlare e parlo perfino di più se posso dirla così parlo quasi sempre e ascolto anche un bel po' e come ho già detto l'essenza del fatto di essere un genio risiede nel saper parlare e ascoltare ascoltando mentre si parla e parlando mentre si ascolta ma e questo è molto importante davvero molto importante parlare non ha essenzialmente nulla a che fare con il fatto di creare. Cosa sono i capolavori e perché ce ne sono così pochi. Potresti dirti che dopo tutto ce ne sono un certo numero ma questo è assolutamente proporzionale a tutte le cose fatte da chiunque faccia delle cose e ce ne sono davvero pochi."
Le opere di Hirst, di Koons, di Botero o di Cattelan (messaggio subliminale per Alessandro), non sono né saranno mai capolavori, anche se costano caccazilioni di euro, proprio perché sono solo frutti del parlare e non sono fruibili se non attraverso il filtro di un mare di parole di più o meno buona fede. La truffa di tutta una parte dell'arte contemporanea consiste nel cercare di farci credere che oggetti bi o tridimensionali concepiti e realizzati esclusivamente in vista di un loro valore di mercato siano opere d'arte a partire dal momento che ci "obbligano" a riflettere. A parte il fatto che non vedo bene cosa ci sia da riflettere davanti a un armadietto da infermiere, l'unica eventuale riflessione che mi viene proposta è di tipo tanto autoreferenziale quanto onanistico. I mangiatori di patate di van Gogh mi fa riflettere, come lo fanno la Madonna del parto di Piero della Francesca o la Pietà Rondanini di Michelangelo. Fanno riflettere me come hanno fatto riflettere generazioni prima di me e lo faranno con altre generazioni dopo di me. Ma la Pirl'Art è roba da pirla, anzi, peggio, da ignobili speculatori preoccupati dall'arte quanto un indio Tupinambà dell'Amazzonia lo è dell'IPhone 5S 64GB.
Quindi smetto di parlare, o scrivere, che è un po' lo stesso. Se ci sono degli idioti pronti a far funzionare la macchina dei soldi per simili vaccate, fatti loro. Io a quel gioco non voglio partecipare. È solo un peto che si perde nella brezza.