Damien Hirst - No love lost
Titolo sulla Repubblica di ieri, pag.
43: "L'opera di Daniel Hirst scambiata per un kit medico."
L'opera
in questione è intitolata No love lost
ed è... un kit medico. Insomma, non proprio un kit, ma un armadietto
contenente oggetti usati comunemente dagli infermieri.
"Si
sono viste persone passare davanti a quel lavoro — esposto per la
prima volta in Italia, prestato da un anonimo privato — e poi
chiedere notizie: "Ci hanno detto che c'è un'opera di Hirst, ma
non la troviamo." Pensa:
c'è gente che è passata davanti a un armadietto da infermiere e non
ha capito che era un'opera d'arte! Viviamo davvero in un mondo di
abissale ignoranza.
Come
dici? Quella non è un'opera d'arte, ma un semplice armadietto da
infermiere e sono i mercanti e i critici che ci prendono per i
fondelli? Mi sembra che tu stia esagerando.
Come?
Magritte almeno sotto una pipa ci aveva scritto Ceci n'est
pas une pipe e questo nel 1929,
mentre Duchamp aveva esposto un orinatoio nel 1917 intitolandolo
Fountain? Vabbé, ma
cosa vuol dire? Magari Hirst non lo sapeva e ha creduto di fare
qualcosa di nuovo. Dai, su, un po' di comprensione.
No,
eh?
No.
Effettivamente...
Sì,
effettivamente mi sa che ci stanno prendendo per i fondelli. È il
trionfo della Pirl'Art
e di "Su, sgancia un caccazilione di euro per comperarti un
armadietto da infermiere e diventerai immediatamente un raffinato
collezionista."
Ma
te lo vedi uno che appende al muro del salotto buono un armadietto da
infermiere? Arriva un amico, lo vede e chiede: "Stai poco bene?"
"Sto benissimo. Perché?" "Beh, vedo che ti tieni
sottomano il necessario per l'infermiere..." "Amico mio,
questo non è un necessario per infermiere, bensì un'opera d'arte,
eziandio costatami un caccazilione e mezzo di euro." (Ti avevo
segnalato in un precedente post che avrei spesso usato la parola
eziandio, che mi piace molto). "Un caccazilione e mezzo di euro? Ma
allora quest'opera d'arte è davvero bellissima!" "Certo
che lo è. Sennò non mi sarebbe costata un caccazilione e mezzo di euro."
Logica
impeccabile. Almeno se si parla di euro, dollari, yen, renminbi,
grana, palanche, pecunia, dindi, quattrini, conquibus, sghei, danneé,
moneda o dinaru.
Ma
se parliamo di opere d'arte?
O
forse no, forse è meglio non parlarne. Quando mi viene voglia di
parlarne mi torna sempre in mente un testo di Gertrude Stein, autrice
che ho amato tanto da dare a mia figlia, come secondo nome, proprio
Gertrude (cosa che non mi ha mai perdonato, ma lasciamo perdere).
Nel
1936 la Stein scrisse un piccolo saggio dal titolo What are
masterpieces and why there are so few of them? (Cosa
sono i capolavori e perché ce ne sono così pochi?). Te ne traduco
qualche riga mantenendo quel suo stile automatico e privo di
punteggiatura.
"Volevo
parlarti [dei
capolavori] ma
di fatto è impossibile parlare di capolavori e di che cosa sono
perché parlare non ha essenzialmente nulla a che fare con il fatto
di creare. Io parlo molto mi piace parlare e parlo perfino di più se
posso dirla così parlo quasi sempre e ascolto anche un bel po' e come
ho già detto l'essenza del fatto di essere un genio risiede nel
saper parlare e ascoltare ascoltando mentre si parla e parlando
mentre si ascolta ma e questo è molto importante davvero molto
importante parlare non ha essenzialmente nulla a che fare con il
fatto di creare. Cosa sono i capolavori e perché ce ne sono così
pochi. Potresti dirti che dopo tutto ce ne sono un certo numero ma
questo è assolutamente proporzionale a tutte le cose fatte da
chiunque faccia delle cose e ce ne sono davvero pochi."
Le
opere di Hirst, di Koons, di Botero o di Cattelan (messaggio
subliminale per Alessandro), non sono né saranno mai capolavori, anche se costano
caccazilioni di euro, proprio perché sono solo frutti del parlare e
non sono fruibili se non attraverso il filtro di un mare di parole di
più o meno buona fede. La truffa di tutta una parte dell'arte
contemporanea consiste nel cercare di farci credere che oggetti bi o
tridimensionali concepiti e realizzati esclusivamente in vista di un
loro valore di mercato siano opere d'arte a partire dal momento che
ci "obbligano" a riflettere. A parte il fatto che non vedo
bene cosa ci sia da riflettere davanti a un armadietto da infermiere,
l'unica eventuale riflessione che mi viene proposta è di tipo tanto
autoreferenziale quanto onanistico. I mangiatori di patate di
van Gogh mi fa riflettere, come lo fanno la Madonna del parto
di Piero della Francesca o la Pietà Rondanini di
Michelangelo. Fanno riflettere me come hanno fatto riflettere
generazioni prima di me e lo faranno con altre generazioni dopo di
me. Ma la Pirl'Art è roba da pirla, anzi, peggio, da ignobili
speculatori preoccupati dall'arte quanto un indio Tupinambà
dell'Amazzonia lo è dell'IPhone 5S 64GB.
Quindi
smetto di parlare, o scrivere, che è un po' lo stesso. Se ci sono
degli idioti pronti a far funzionare la macchina dei soldi per simili
vaccate, fatti loro. Io a quel gioco non voglio partecipare. È solo
un peto che si perde nella brezza.