martedì 17 gennaio 2012

In guardia!

Rafael Sabatini

Romanzo storico, romanzo d'avventure, la frontiera tra i due generi è spesso sottile come la leggendaria cartina da sigaretta. Amando entrambi, io me ne faccio un baffo.
Ecco quindi un post non dico vietato, ma almeno sconsigliato agli amanti di Proust, Joyce, Flaubert, Svevo e altri soporifici burloni della loro triste specie, la cui lista, ahimé, sembra continuare ad allungarsi col tempo. Ma lasciamo perdere e parliamo piuttosto di cose serie.

Tutti conoscono Alexandre Dumas, anche se molti non ne hanno purtroppo mai letto una riga, considerandolo a torto (!!!) uno “scrittore per ragazzi”.
Molti conoscono Walter Scott, il padre del romanzo storico, anche se pochi hanno letto Ivanhoe e pochissimi Waverley, considerato appunto il capostipite dei romanzi storici.
In Italia tutti sanno chi era Emilio Salgari (anche se il compatriota di Giulietta e di Romeo non ha certo lasciato una traccia indelebile nella storia della letteratura mondiale).
Ci sono poi altri nomi più o meno conosciuti, come Victor Hugo, H. Rider Haggard, Edgar Rice Burroughs, Jules Verne, Sax Rohmer, ecc.
Ma chi ha sentito parlare di Rafael Sabatini? Praticamente nessuno. 
Grazie al cielo la fortuna è con te, impavido lettore, visto che il tuo scriba blogghista ha scoperto l'esistenza di questo italo-inglese dal nome stranamente ispanico non più di dieci giorni fa e da allora gode come un grillo leggendone uno dei capolavori. Ma andiamo con calma.
Sabatini è nato nelle Marche, a Jesi, nel 1875, da madre inglese e padre italiano, entrambi cantanti d'opera, il che fa di lui un essere d'eccezione, visto che il numero estremamente limitato di scrittori inglesi nati nelle Marche da due cantanti d'opera. La sua gioventù ha dovuto essere abbastanza complicata, soprattutto per quei tempi, visto che dopo aver vissuto per un po' con i nonni materni vicino a Liverpool partì per il Portogallo con i genitori, diventati nel frattempo insegnanti di canto. Qualche anno dopo i tre se ne vennero a Milano, ma da lì il giovane Rafael fu mandato in collegio a Zug, nota capitale dell'eponimo cantone svizzero.
Passata l'adolescenza a Zug (425 m. sul livello del mare, con vista, guarda caso, sul lago di Zug), dove imparò ovviamente il tedesco e il francese, che vennero ad aggiungersi all'italiano, all'inglese e al portoghese che già conosceva, il diciassettenne Rafael partì per Liverpool in cerca di lavoro. Ne trovò come traduttore, ma incominciò subito a scrivere. Scriveva in inglese, non per una qualsiasi dimestichezza o preferenza particolare per quella lingua, ma perché, come disse più tardi “le storie migliori sono scritte in inglese” (il che sembra dimostrare che i francesi non siano i soli a pensare di fare tutto meglio di tutti gli altri).
Come spesso succedeva ai giovani autori della fine '800, Sabatini cominciò a vendere qualche novella a delle riviste, ma è solo nel 1901 che firmò il primo contratto come romanziere. Ne risultò The lovers of Yvonne, opera che secondo lo stesso autore, è assolutamente, se non urgentemente, dimenticabile.
Le cose andarono avanti con molti bassi e pochi alti, anzi pochissimi altucci, fino al 1921, quando uscì Scaramouche.
Chi dice Scaramouche, almeno tra quelli della mia età, o parla del personaggio della commedia dell'arte creato da Tiberio Fiorelli (nel qual caso o è un insopportabile snob, oppure è uno che ha appena fatto una ricerca su Wikipedia), oppure, e molto più probabilmente, parla del film del '52 con il brizzolato Stewart Granger, l'appetitosa Eleanor Parker e il mai troppo invidiato (visto che sposò Audrey Hepburn) Mel Ferrer.
Ma non è tutto: ecco un altro titolo di quelli che suscitano grandi ricordi: Capitan Blood, altro film indimenticabile, con l'australe Errol Flynn, l'eternamente un po' troppo per bene Olivia de Havilland, nonché il sempre splendidamente odioso Basil Rathbone.
Ebbene sì: sia Scaramouche che Capitan Blood, ai quali non esito ad aggiungere Lo sparviero dei mari, sono usciti dalla fervida immaginazione del grande Sabatini.
Signori miei, c'è poco da fare: se volete leggere un libro che vi dà l'impressione di essere al cinema (ed è inutile che facciate gli spocchiosi: chi non ama un grande film d'avventure?); se volete godervi un film che dura più di 250 pagine; se volete ritrovare quel piacere sereno e palpitante che vi ha provocato in passato la lettura di Dumas, allora non esitate, fate come me: leggete Capitan Blood. E se qualcuno osa venire a parlarvi di letteratura minore, sguainate la spada, perbacco!, e infilzatelo come uno spiedino!