domenica 11 settembre 2011

Un'immagine dell'11 settembre


Non conoscevo questa foto prima di trovarne traccia questa mattina in un articolo apparso sul Guardian del 2 settembre scorso. Non chiedetemi come ci sono arrivato, non me lo ricordo. So che stavo guardando le pagine di Libération, ho cliccato su qualcosa e sono arrivato lì.
Ovviamente la foto mi ha immediatamente colpito perché è un'immagine dell'11 settembre 2001 diversa da tutte le altre. Come lo spiega l'autore della foto, Thomas Hoepker, in un articolo apparso su Slate nel 2006 (http://www.slate.com/id/2149675/), è molto diversa anche da quest'altra, di Alex Webb, di cui lo stesso Hoepker dice che “ha un aspetto simile di vita che continua, ma anche una tenerezza che manca nella mia”. 


Hoepker ha aspettato quattro anni e mezzo prima di far vedere la sua foto. Ecco come ci spiega questo ritardo:
(In un primo momento) misi da parte quella scena idilliaca, sentendo che non rifletteva per nulla la realtà di quel giorno. Sentivo che la foto era ambigua e prestava a confusione: pubblicarla avrebbe potuto distorcere la verità di ciò che sentimmo quel giorno. (…) La foto non mi sembrava “giusta” in quel momento. (…) (Quattro anni e mezzo dopo), lontana dall'avvenimento, mi apparì strana e surreale. Faceva domande, ma non dava risposte. Come può un disastro capitarci addosso in una così bella giornata? Come può quel gruppetto di ragazzi cool starsene lì seduto in maniera così rilassata e apparentemente indifferente di fronte alla madre di tutte le catastrofi che si svolge sullo sfondo? Questa era l'insensibilità di una generazione che ha visto troppa CNN e troppi film dell'orrore? Oppure era la menzogna ambigua di uno scatto che ignorava i secondi precedenti e seguenti il momento in cui avevo schiacciato il bottone? Forse questo gruppo aveva appena vissuto un momento di agonia e di catarsi, o magari aveva discusso a lungo in maniera preoccupata? Era obbligatorio correre a destra e a sinistra con la faccia preoccupata quel giorno, o nelle settimane seguenti l'11 settembre? Come sarei apparso a un osservatore distante in quel giorno? Probabilmente, come un fotografo dal cuore di ghiaccio preoccupato dall'idea di fare lo scatto della sua vita. Io mi ricordo solo che ero sotto shock, confuso, impaurito, disorientato e emotivo, ma che mi sforzavo di rimanere concentrato sulle mie foto. (…) Credo che questa foto abbia toccato molte persone proprio perché resta confusa e ambigua in tutta la sua chiarezza inondata dal sole.
E poi mi è venuta in mente un'altra foto, quella che valse a Kevin Carter il Pulitzer 1994.


Anche qui c'è qualcosa di profondamente equivoco e disorientante, qualcosa che ci provoca un'immediata reazione di sconcerto e di orrore, visto che l'immagine suggerisce che l'avvoltoio stia aspettando la morte del bambino per mangiarselo. L'impressione è ulteriormente rafforzata dalla posizione dell'avvoltoio (a sinistra della foto, quindi "entrante"), nonché dalla testa chinata del bambino, che sembra stia morendo. Anche qui le cose stavano diversamente, come lo ha spiegato un collega di Carter, João Silva, presente sul posto. 
Secondo Silva, i due erano andati in Sudan con le Nazioni Unite l'11 marzo 1993. Atterrarono da qualche parte nel sud del paese e i responsabili UN dissero loro che non avevano che 30 minuti prima di ripartire, poi incominciarono a distribuire cibo ai rifugiati. Gli adulti si accalcarono intorno all'aereo, lasciando per qualche istante soli i bambini. Carter vide la scena e, per ottenere una maggiore profondità di campo, si avvicinò al soggetto molto lentamente (per non spaventare l'avvoltoio, che avrebbe potuto volare via) e fece poi il suo scatto. Pochi istanti dopo l'avvoltoio se ne volò effettivamente via.
Guardando le due foto, quella di Hoepker e quella di Carter, una accanto all'altra, mi chiedo cosa ci sia di simile e cosa di diverso. Prima di tutto, direi, la distanza del fotografo, che è lontano nella prima e molto vicino nella seconda. Poi il fatto che mentre quella di Hoepker mostra una tragedia in corso (pur se in secondo piano e solo suggerita dalla nuvola di fumo), quella di Carter sovrappone alla tragedia in corso (la fame del bambino) una tragedia a venire (la morte del bambino e il pasto dell'avvoltoio). Sovrapponendo le tragedie, e facendolo così da vicino, è come se Carter finisse con l'annullarle l'un l'altra proponendoci, anzi obbligandoci quasi a un'altra lettura dell'immagine, quella dell'indifferenza di chi preferisce scattare piuttosto che intervenire. Il che, ovviamente, è un dibattito vecchio come il fotogiornalismo.
Ma quel che fa la vera differenza tra le due foto è che mentre quella di Carter ci opprime immediatamente con la sua brutalità e il suo apparente voyeurismo, quella di Hoepker ci porta a farci delle domande. Anche se la nostra prima reazione è di stupore davanti all'apparente indifferenza di quei ragazzi, immediatamente ci chiediamo il perché di quell'indifferenza, e se sia vera indifferenza. È come se l'immagine di Hoepker fosse stata scattata da un passante sorpreso (il che, in un certo senso è vero, come spiega Hoepkner stesso), mentre quella di Carter avesse dietro una precisa volontà di denuncia attraverso uno shock emotivo.
Carter finì col suicidarsi pochi mesi dopo aver ricevuto il Pulitzer. Lasciò un biglietto nel quale diceva che si sentiva “tormentato dai vividi ricordi di omicidi e cadaveri e rabbia e dolore... di bambini affamati o feriti, di uomini impazziti dalla felicità provocata dal grilletto, spesso poliziotti, di assassini professionisti...”.
Forse è questa la vera differenza che traspare dalle due immagini: nella prima c'è lo sguardo di qualcuno che di fronte all'orrore non se ne fa divorare e si sforza di rimanere concentrato sulle sue foto; qualcuno, cioè, che in un momento di estrema tensione si sforza di continuare a fare il suo mestiere di fotografo. Nella seconda c'è invece tutto lo smarrimento di un fotografo che dall'orrore si lascia soverchiare fino a scordarsi di essere fotografo. Carter non documenta quell'orrore, ne diventa a sua volta vittima, fino a non sopportarlo più, a non sopportare più il mondo che lo ha generato e a decidere di suicidarsi.
Forse allora è proprio questo il problema della foto di Carter: che ci obbliga quasi a spostare il nostro sentimento di orrore dalla scena fotografata verso l'atto stesso del fotografarla. Anche per questo la foto di Hoepkner mi sembra infinitamente più interessante, oltre ad essere infinitamente più "utile".