venerdì 9 settembre 2011

9 settembre

Ahmad Shah Massud

Ho fatto un piccolo quanto involonario (o inconscio?) esperimento su Facebook. Oggi è il 9 settembre, cioè per molti l'antevigiglia dell'11, anche perché da giorni ormai radio, televisioni e giornali ci inondano di annunci di celebrazioni del decimo anniversario di quella tragica data.
Niente da dire sull'11 settembre naturalmente, o per lo meno niente da dire sulle 2606 vittime di New York, sulle 246 del “quarto aeroplano” e nemmeno sulle 125 del Pentagono.
Però oggi non è l'11 settembre, è il 9. Per questo ho pubblicato sulla mia pagina Facebook una foto di Ahmad Massud, “il leone del Panshir”, che fu ucciso da due estremisti islamici il 9 settembre 2001. Ho pubblicato anche un link (http://www.afghan-web.com/documents/let-masood.html) verso il testo, in inglese, di una sua Lettera al popolo americano del 1998.
Prima constatazione: uno pubblica su Facebook una foto di vacanze, un commento sulle tette di una velina, uno scontatissimo commento su un uomo politico e nei minuti che seguono riceve tutta una serie di mi piace e di altri commenti. Sette ore dopo la mia pubblicazione, niente.
Sia chiaro, non è che stia piagnucolando perché nessuno ha fatto click su mi piace, non è questo il punto. Il punto è che mi pare che la morte di Massud abbia costituito un avvenimento per lo meno degno di una commemorazione dieci anni dopo.
Ahmad Massud non era un angelo, era un combattente. Aveva combattuto contro i sovietici quando questi occupavano il suo paese e combatteva contro i talebani che dello stesso paese erano nel frattempo diventati gli ignobili dirigenti. Era un musulmano fervente, cosa che non attirava certo la mia simpatia (che peraltro è molto limitata anche nei confronti di cristiani, ebrei, induisti, buddisti, animisti, o altri ...isti ferventi. Ma è vero che nella misura in cui la religiosità di chicchessia non diventa invadente e intollerante ho l'abitudine di prenderla come l'espresione di un diritto che non capisco, ma che rispetto).
Ma neanche questo è un punto fondamentale.
Quel che conta è che Massud era un simbolo, uno di quei simboli di cui abbiamo sempre tutti bisogno per trovare in loro uno stimolo alla nostra piccola, individuale e privata ricerca di dignità. A suo tempo (io ero bambino), Patrice Lumumba fu uno di quei simboli. In passato, Giuseppe Garibaldi, Simon Bolivar, Abraham Lincoln, Winston Churchill furono simboli. Più tardi lo furono Ernesto Che Guevara, Thomas Sankara, Nelson Mandela. John Kennedy è stato un simbolo, e poi lo sono stati, almeno per un breve periodo, Michail Gorbacev e Barak Obama. Oggi,in maniera diversa, lo sono il Dalai Lama e Aung San Suu Kyi. Nessuno di questi personaggi, soprattutto se visto col senno di poi, è stato o è un angelo. Tutti hanno commesso errori e tutti sono almeno parzialmente discutibili. Ma nonostante ciò, il mondo sarebbe un po' peggiore di quello che è se anche uno solo di loro non fosse esistito. È su di loro che ci siamo costruiti, che ci siamo strutturati, che siamo diventati quello che siamo. Possiamo amarne uno più di un altro, possiamo preferire Giordano Bruno a San Francesco, Galileo a Copernico, Pasternak a Solzenicyn, Goya a Picasso, ma tutti, anzi ognuno di loro è una delle pietre del piedestallo sul quale cerchiamo di rimanere in piedi nonostante i venti di stupidità, intransigenza e violenza che cercano di buttarci giù.
Ricordare Massud oggi non vuol dire soltanto commemorare una vittima del fanatismo religioso. Significa soprattutto contribuire a tenere acceso uno di quei lumi di speranza di cui i nostri figli e nipoti non possono fare a meno e di cui noi stessi continuiamo ad avere bisogno.
Ricordo perfettamente quel giorno dell'ottobre 1967 in cui, passando per via Brera, a Milano, vidi per la prima volta un manifesto in bianco e nero con la foto del “Che” e la scritta “il Che vive”. Perché oggi non vedo manifesti con su scritto “Massud vive”?