Sto leggendo un bel libro: Nove vite, di William Dalrymple. L'autore è uno scozzese che da anni vive in India. Wikipedia le definisce come uno “scrittore pluripremiato, animatore televisivo, critico, storico dell'arte, corrispondente estero, e fondatore e codirettore del più importante festival letterario dell'Asia”. Più semplicemente, Dalrymple è generalmente considerato uno scrittore-viaggiatore, categoria un po' vaga nella quale si mettono un po' a casaccio autori come Paul Theroux, Tiziano Terzani, Henry de Monfreid e Bruce Chatwin, ma magari anche Dumas, Goethe, o Mark Twain.
È in una di quelle piccole librerie di Janpath, a Delhi, tra l'Hotel Imperial e Connaught Place, che avevo trovato un suo primo libro, City of djins, tradotto in italiano come Delhi: un anno tra i misteri dell'India. Più che dal titolo ero stato attirato dal nome dell'autore, omonimo di quello di un mio vecchio amico americano morto in un incidente d'auto negli anni 70. Il libro si rivelò essere gradevole e interessante, anche se non si trattava certo di grande letteratura. Raccontava però tutta una serie di aneddoti sulla capitale indiana e mi permise di scoprire posti poco frequentati dai turisti, come il grande forte di Tuglaqabad, a sud della città, con la tomba di Muhammad Bin-Tuglaq, il sovrano di cui parla Ibn Battuta, “il Marco Polo musulmano” che, nella prima metà del '300 viaggiò molto di più del mercante veneziano. Grazie a quel libro ero anche andato, una domenica mattina, ad assistere a un torneo di lotta in un prato vicino al Forte Rosso e avevo finito col trovarmi, unico occidentale, invitato in tribuna d'onore a sorseggiare té in compagnia di ricchi aficionados incuriositi dalla mia presenza.
Sedici anni dopo, questo nuovo libro, appena uscito da Adelphi, è decisamente meglio scritto, più denso e più pregnante, e dovrebbe anche interessare chi non ha, come me, una vera passione per l'India. Come indicato dal titolo, si tratta semplicemente di nove vite, nove persone incontrate dall'autore in varie parti dell'India, ognuna delle quali racconta la sua storia. C'è il monaco tibetano che ha dovuto lasciare il suo paese al momento dell'invasione cinese e che si è fatto prima resistente, poi soldato; c'è la guardia carceraria del Kerala che per due mesi all'anno si trasforma in danzatore di theyyam ed è venerato come un dio; c'è la monaca jaina che si prepara alla morte; c'è la prostituta sacra. Personaggi esotici, che appartengono contemporaneamente al presente e a un passato remoto e che proprio in questo costituiscono degli esempi di quell'India che continua ad essere una specie di millefeuilles nel quale coesistono, stratificati, un presente in evoluzione frenetica e un passato che sembra eterno.
È raro trovare libri sull'India che non cedano a una visione turistica e superficiale, oppure che non siano, come L'odore dell'India di Pasolini, dei resoconti di viaggio di qualcuno che sembra non avere capito niente di quel che ha visto. Il più bello di tutti è forse Shantaram, di Gregory David Roberts, un Neo-Zelandese che offre di Mumbai una visione un po' terrificante, ma che affascina per la concretezza dei fatti e della lingua. Un romanzone che si legge come un libro di avventure.
E giacché sto parlando di libri sull'India, non posso non citare A fine balance (Un perfetto equilibrio) di Rohinton Mistry, autore di Mumbai, uno dei libri più terribili e belli che abbia mai letto sugli anni di Indira Ghandi (mai citata per nome, ma chiaramente riconoscibile).
E poi, visto che siamo d'estate e che d'estate pare che la gente legga un po' più del solito, c' è il mio preferito tra tutti gli autori indiani, Amitav Ghosh, di cui mi piacerebbe avere il potere di ordinarvi di leggere The glass palace (Il palazzo degli specchi), The hungry tide (Il paese delle maree) e Sea of poppies (Il mare di papaveri), primo volume di una trilogia di cui è appena uscito in inglese il secondo volume, River of smoke.
Se poi preferite i classici, non scordate A passage to India (Passaggio in India) di E. M. Forster e Heat and dust (Calore e polvere) di Ruth Prawer Jhabvala, che sono una buona introduzione al sottocontinente indiano per chi lo conosce poco e lo vuole scoprire attraverso occhi occidentali.
Buona lettura!