giovedì 15 luglio 2010

L'amico Jimmy

Jimmy Singh

Mia figlia abita in Inghilterra con suo marito, che è indiano, e i due figli. In questo momento è a casa di sua madre, in Provenza, con i bambini, e ci passerà l'estate. Un suo amico indiano, Jimmy Singh, verrà in Europa in agosto con moglie e bambino e i tre andranno a trovarla in Provenza. Da qui la necessità di ottenere un visto.
È bene specificare subito che Jimmy, cittadino indiano e quindi extra-comunitario, è davvero poco sospettabile di volersi introdurre illegalmente nel paradiso dell'Unione Europea per poi iniziare una nuova carriera come muratore, come stradino, o come lavapiatti in qualche pizzeria. Anche perché lui di ristoranti ne ha più di uno, oltre ad essere coproprietario, con due amici, del Ministry of Sound, il nightclub più alla moda di Delhi, una piramide di vetro che accoglie ogni sera tra mille e millecinquecento giovani e meno giovani che consumano fiumi di vodka e whisky. Come dire che gli introiti mensili di Jimmy sono ai miei quello che un SUV Mercedes è a una Suzuki Splash. Qualora una qualsiasi ambasciata avesse dei dubbi sulle sue intenzioni migratorie, sarebbe facile per il mio giovane e inturbantato amico dimostrare che la sua voglia di clandestinità in Europa è grande almeno quanto quella di un banchiere svizzero nel deserto del Niger.
Ciò nonostante ottenere un visto turistico per quella Francia che i suoi felici cittadini amano definire terre d'accueil, cioè terra d'accoglienza, implica una serie particolarmente complessa di operazioni.
  1. Il futuro turista deve mandare al francese che vorrebbe invitarlo a casa sua una fotocopia del suo passaporto e di quelli dei suoi familiari;
  2. il francese di cui sopra deve recarsi al municipio del suo luogo di residenza con le fotocopie ricevute, la sua carta d'identità e una prova di domicilio (bolletta della luce, del gas, o altro);
  3. deve poi riempire un modulo sul quale indicherà i nomi e cognomi degli invitati, la superficie della sua residenza, il numero delle stanze, i nomi e cognomi delle persone che abitano con lui, il numero di posti letto disponibili per gli ospiti e le date esatte di arrivo e partenza degli invitati;
  4. sullo stesso modulo deve specificare che autorizza la polizia ad andare a verificare sul posto la veridicità delle sue affermazioni;
  5. deve poi pagare una tassa di 45€ per persona invitata, tassa che però non può pagare sul posto, ma solo andando a comperare un bollo al più vicino ufficio delle imposte (il che, in zone rurali, può voler dire anche una cinquantina di chilometri);
  6. una volta comprato il bollo deve tornare in Comune per farlo incollare e timbrare;
  7. a questo punto deve spedire l'originale del modulo firmato, bollato e timbrato, all'amico indiano, sperando che le poste non lo perdano, sennò dovrà ricominciare tutto da capo;
  8. l'amico indiano, una volta ricevuto il modulo, può finalmente andare all'ambasciata di Delhi, o ai consolati di Mumbai o Pondichery (ovvero tre posti per un miliardo di abitanti);
  9. all'ambasciata gli verrà chiesto il dettaglio del suo viaggio, con le prove delle eventuali prenotazioni alberghiere, una per una;
  10. gli verranno anche chiesti 70€ per persona (reddito medio annuale dell'India: 425€);
  11. ovviamente, nel caso avesse già acquistato i biglietti aerei e i visti gli fossero poi rifiutati, sarebbero mazzi suoi...
Un aspetto particolarmente ridicolo di questa procedura ubuesca è che pare sia solo la Francia ad applicarla. Basta quindi chiedere un visto per l'Italia, il Portogallo o la Polonia e il gioco è fatto: uno entra nell'Unione Europea senza tante storie.

Tutto questo per dimostrare che la stupidità della burocrazia non è una specialità unicamente italiana.