giovedì 1 marzo 2018

Oggi ceci



Ieri pomeriggio ho fatto cuocere dei ceci. Come sono solito fare in questi casi, ne ho messi in pentola più del necessario, dicendomi che il resto l'avrei usato nei prossimi giorni, magari per un bell'hummus, o una pasta e ceci, o altro.
Stamattina, aprendo il frigorifero in vista della prima colazione, mi sono reso conto che i ceci rimasti erano un po' tanti e ho deciso di dividerli in due, mettendone una metà nel freezer. Stavo travasando ceci da un contenitore medio a un contenitore piccolo quando mi è venuto da chiedermi da dove venisse la parola cecio. E poi: cecio o cece? E ancora: perché in inglese si chiama pisello di gallina (chickpea) Perché invece gli americani lo chiamano garbanzo bean (fagiolo garbanzo)? E i francesi, perché lo chiamano pois chiche?
Non preoccuparti: anch'io certe volte mi dico che la mia mente funziona in modo strano. Ma non ci posso far niente, sono curioso. Soprattutto quando si tratta di cose che probabilmente non serve a niente sapere.
Sbarazziamoci subito delle traduzioni, incominciando dall'inglese, lingua nella quale a quanto pare la parola chickpea non vuole affatto dire pisello di gallina: quel chick deriverebbe dal francese chiche (misero), derivato a sua volta dal latino cicer, che già significava cece. In latino però c'è anche ciccum, parola che in origine indicava la membrana che ricopre i chicchi della melagrana e che in italiano si chiama cica. La stesso ciccum col tempo venne poi ad indicare una piccola quantità di qualcosa, un generico nonnulla.
Speravo che questo mio post avrebbe potuto essere essere ordinato, proseguendo logicamente da un punto al seguente, ma quando si tratta di etimologie — ed è questo il bello — non si può mai procedere in linea retta. Ogni derivazione è un rimando a qualcos'altro, che suscita nuove curiosità. Quindi non esitiamo a procedere in maniera del tutto disordinata.
Nel latino cicer non è difficile individuare la radice del cognomen Cicero. C'è chi sostiene che Cicerone si chiamasse così perché uno dei suoi antenati si era arricchito con il commercio di ceci; c'è invece chi sostiene che un altro dei suoi antenati avesse sul naso un bitorzolo grosso come un cece. Nessuno parla di un antenato che commerciava in ceci e che contemporaneamente aveva un bitorzolo sul naso, ma non importa.
Tornando all'inglese, l'Oxford English Dictionary, autorità assoluta in questo campo, ha la gentilezza di informarmi che la parola chich è presente in Inghilterra in non so più quale testo scritto nel 1388 e rispunta poi fuori nel 1548 nella frase cicer may be named in English cich, or ciche pease, after the Frenche tongue (il cece in inglese può essere chiamato chich, o chiche pease, dalla lingua francese).
Visto che è venuto fuori il francese, la parola chiche, che si pronuncia ʃiʃ, (ovvero scish) è abbastanza comune, ma in un senso molto diverso. La si usa come risposta a qualcuno che dice “scommettiamo che non saresti capace di …?” ed è quindi traducibile con “scommettiamo!” La si può anche usare nell'espressione tu n'es pas chiche (non sei chiche), che vuol dire non hai il coraggio (di fare ciò di cui si sta parlando). È vero che significha anche misero, avaro, meschino, o scarso, come me lo indica il dizionario Larousse, ma in quel senso viene ormai usata molto poco.
Quanto alla versione americana, garbanzo bean viene direttamente dallo spagnolo medio garbanço, già presente nel 1565, che a sua volta deriva da algarroba, ovvero dall'antico arvanço, che deriverebbe dal gotico arwaits, che deriverebbe dal protogermanico arwīts, che avrebbe la stessa radice del latino ervum, che come tutti sappiamo si traduce in italiano con veccia, che è poi il nome regionale che viene dato qua e là a varie leguminose selvatiche dei generi Lathyrus e Lotus. E vista la fatica fatta per scrivere l'ultima frase, mo' mi riposo un momento.

Fatto.
A questo punto devo confessarti che mi ritrovo con una serie impressionante di pagine aperte sul mio navigatore e che non mi ricordo più come sono arrivato ad alcune di loro. Trovo per esempio il dizionario spagnolo-italiano aperto alla parola guisante, che pare voglia dire pisello e che è anche omonima di quell'algarroba che voleva dire carruba. Trovo la pagina che Wikipedia dedica al Capitulare de villis, un decreto emanato negli ultimi anni del regno di Carlo Magno, verso la fine dell'VIII secolo, per disciplinare le attività rurali, agricole e commerciali delle aziende agricole dell'impero o ville. Trovo un pagina di Google Maps nella quale appare il paesino di Dimina, nella Tessaglia greca. Trovo una pagina sulla quale posso iscrivermi a un corso di sami, lingua della Lapponia. Trovo la pagina che l'Enciclopedi Treccani dedica a Domenico di Giovanni, detto il Burchiello, poeta nato a Firenze da un legnaiuolo, Giovanni, e da una tessitrice, Antonia, nel 1404. Premettendo che di mestiere il Burchiello faceva il barbiere, la Treccani mi dice che il suo soprannome viene dai versi alla "burchia", genere di poesia comico-realistica che ebbe nel barbiere fiorentino, se non l'inventore, certo uno dei più brillanti creatori e divulgatori, tanto che dal genere stesso, secondo A. F. Grazzini detto il Lasca, curatore di una edizione dei sonetti di D. nel 1552, derivò il soprannome di Burchiello.
E vedendo queste pagine godo come un grillo. E godo ancora di più quando mi accorgo che cliccando arbitrariamente sul terzo link che ognuna delle pagine citate mi offre, arrivo sull'aggettivo spagnolo guisado, che vuol dire in umido, sulla lista degli avvenimenti e dei personaggi importanti dell'VIII secolo, sul sito del Museo delle Tegole e dei Mattoni della città di Volos, su un altro sito che mi parla di una lingua parlata solo da 300 finlandesi e sulla pagina che la Treccani dedica a Siena. E godo ancora di più dicendomi che a questo mondo tutto è legato a tutto e che se almeno internet servisse a farlo capire a un po' più di gente, magari il mondo si metterebbe ad andare un po' meglio. Ma poi mi dico anche che quando mi metto a pensare cose così mi sento un po' ridicolo e a questo punto ti lascio perché prima di partire alla ricerca di poesie del Burchiello sento il bisogno di farmi un buon caffè.

No, aspetta, dimenticavo una cosa. Visto che ho parlato di ceci, ci tenevo a regalarti una chicca poco conosciuta, un breve testo di Italo Calvino pubblicato a Parigi dalla Bibliothèque Oulipienne, credo nel '75. Si tratta, come lo spiega lo stesso autore, di
un brevissimo testo narrativo la cui chiave viene data in fondo: [...] [il testo] equivale semanticamente a un altro testo di poche sillabe che a sua volta equivale foneticamente alla successione d'una consonante e delle cinque vocali come nei sillabari: BA-BE-BI-BO-BU, CA-CE-CI-CO-CU, DA-DE-DI, DO-DU, e così via per tutte le consonanti dell'alfabeto.
Se la spiegazione ti pare complicata, non temere: il testo vero e proprio non lo è:

CIA-CE-CI-CIO-CIU
L'istituzione delle Comuni, nella Cina di Mao, si scontrò agli inizi contro gravi difficoltà. La distribuzione dei generi alimentari avveniva in modo irregolare e i magazzini di vendita al pubblico restavano talora completamente sprovvisti. Poteva succedere che una massaia che chiedeva allo spaccio la sua razione di legumi si sentisse rispondere che le scorte erano finite e che nel negozio vuoto non restava che il ritratto del primo ministro appeso al muro.
Ci ha ceci?
Ci ho Ciu.

Vabbè, se non sapevi che Ciù En-lai è stato a lungo primo ministro della Cina maoista, allora sallo!