Ieri
sera ho visto un bel documentario. Intitolato semplicemente Jane,
è essenzialmente un montaggio a partire da un centinaio di ore di
immagini girate negli anni '60 da Hugo van Lawick per il National
Geographic.
Non
sono un fan del National Geographic,
che ha sempre prodotto immagini troppo patinate e che troppo
spesso — come lo ammette onestamente la direttrice
attuale della rivista, Susan Goldberg, nel numero datato aprile 2018
e interamente dedicato ai problemi razziali — hanno
offerto ai lettori visioni paternaliste e perfino razziste delle
civiltà non occidentali. Per gli stessi motivi non sono un fan del
canale televisivo della NG.
Ma questo documentario volevo proprio vederlo, perché la
Jane del titolo era
Jane Goodall.
Di
lei mi aveva parlato per la prima volta nel 1969 la mia amica Chiara,
allora studentessa in veterinaria ed entusiasta raccontatrice di
storie di scimpanzé e gorilla. Il
suo entusiasmo mi aveva contagiato e tre anni dopo, a New York,
vedendo in libreria un'edizione tascabile di In the Shadow
of Man, il terzo ma di gran
lunga più famoso libro della Goodall, lo comprai e lo lessi
avidamente. Quel libro ce l'ho ancora, anche se le pagine, più che
ingiallite, sono ormai brunite dal tempo. Una decina di anni fa,
quando mi sono separato dalla maggior dei libri che avevo in casa
regalandoli a una biblioteca, questo è uno dei pochi che ho tenuto,
uno dei pochi dai quali non ho potuto separarmi. Quindi è ovvio che
ieri sera abbia guardato quel documentario. Bello.
Jane
Goodall è un personaggio affascinante. Nata nel '34 a Londra, fece conoscenza col suo primo scimpanzé a 4 anni. Lui si chiamava Jubilee ed
era un peluche. Lei era troppo giovane per dirgli "Tu Jubilee, io Jane", ma non importa.
Un po' più tardi, Jane lesse la serie di libri del
Dottor Dolittle, che raccontavano di un medico che, lasciando da
parte gli umani, si metteva a curare animali, dei quali capiva e
parlava la lingua, per poi diventare naturalista.
A
23 anni, dopo avere lavorato
un po' come dattilografa e poi come cameriera non parlo più di Dolittle, riparlo di Jane), spese tutti i suoi
risparmi nell'acquisto di un biglietto per il Kenya, dove una sua
amica d'infanzia l'aveva invitata. Il Kenya a quei tempi era
ancora una colonia britannica, da vari anni
teatro di quella rivolta dei Mau-Mau che l'avrebbe
portato all'indipendenza dal Regno Unito nel dicembre del '63.
A
Nairobi Jane ottenne
un appuntamento dal famoso paleoantropologo Louis Leakey, i
cui ritrovamenti avevano dimostrato che l'homo sapiens veniva
dall'Africa e non dall'Asia, come si credeva allora.
Lei voleva solo incontrare
uno dei suoi idoli, sperava
di poter parlare un po' con
lui del suo tema preferito,
gli animali selvaggi dell'Africa, ma lui l'assunse
come segretaria. Sarebbe
logico pensare che all'inizio
Leakey fu solo colpito dall'entusiasmo di quella magrissima biondina
dalla coda di cavallo da
Alice nel paese delle meraviglie
e dagli incisivi da
Bianconiglio, ma da quanto racconterà poi la stessa Goodall le
avances del cinquantaquattrenne scienziato con moglie e tre figli lasciano supporre altri motivi. Ma non importa. Lei riuscì, con quella
calma, quella pazienza e quella determinazione che caratterizzeranno
poi tutto il suo lavoro, a calmare i bollori del suo datore di
lavoro, che finì per capire che non c'era niente da fare.
Leakey,
che quando non si lasciava sopraffare da quelle tempeste ormonali che a una certa età sono un chiaro sintomo dell'avvicinarsi della senilità e che io stesso, vabbè, lasciamo perdere. Leakey, dicevo, da grande ammiratore di Darwin,
era convinto che gli uomini e i grandi primati avessero degli
antenati comuni, il che, per
strano che possa sembrare oggi, una sessantina di anni fa non era
ancora accettato da tutti. Pensava
anche che
solo uno studio in loco
di scimpanzé, gorilla e
oranghi avrebbe permesso di
trovare conferme a questa sua idea. Quando
conobbe Jane, si
disse che il fatto stesso che non aveva mai messo i piedi in un'aula universitaria sarebbe
stato un vantaggio, perché
l'avrebbe lasciata libera dai
preconcetti dell'insieme del
mondo scientifico. Le propose
quindi di andare a studiare il comportamente degli scimpanzé in culo al mondo, che in quel caso era la Tanzania occidentale. Lei accettò con entusiasmo.
Prima però, forse per non esagerare con l'ottimismo, Leakey la
rimandò per un anno a Londra, per
una rapida formazione di base
sia con il primatologo Osman Hill che con lo specialista dell'homo
abilis John Napier.
Di
ritorno in Africa, il 14 luglio 1960 Jane arrivò nel Parco Nazionale
del Gombe Stream, sulle rive
di quel lago Tanganica che funge da confine tra Tanzania e Congo. Da
notare però che le autorità britanniche avevano escluso nella
maniera più assoluta di permettere a una ventiseienne biondina
londinese con
coda di cavallo e denti da coniglio di
andarsene da sola nella foresta equatoriale, il
che pareva tanto più ragionevole che
la città più vicina al suo luogo di destinazione previsto,
Kigoma, era inondata da migliaia e migliaia di congolesi che,
attraversando in un modo o nell'altro i 40 chilometri di lago, erano
sfuggiti alle crudeltà della guerra civile per venirsi a rifugiare
in quello che allora era ancora il Tanganica e che sarebbe poi
diventato la Tanzania. Jane contornò quel divieto nella maniera più
semplice, chiedendo alla madre di accompagnarla. Reazione
molto british.
Soprattutto da parte della madre, che accettò senza indugi.
È così che Jane diventò la prima delle Trimates,
come dicono gli anglofoni unendo il
prefisso tri
al sostantivo
primati in riferimento
alla stessa Goodal, a Dian Fossey, che studierà i gorilla in Ruanda
e a Biruté Galdidas che farà lo stesso con gli oranghi nell'isola
del Borneo. Tutt'e tre partiranno grazie a Leakey.
Sai
cosa? Mi fermo qui. Sì, lo so, potrei racconrati anche altre cosqe belle, ma per oggi
ho scritto abbastanza. E poi non ho voglia di parlarti del documentario. Ti dirò solo che a
me è piaciuto e quando mi sono alzato dalla poltrona sono andato a
prendere il libro della Goodall dallo scaffale e me lo sono portato
in camera da letto in vista di una prossima rilettura. So che
su Sky il documentario
ripasserà. Se fossi in te, io me lo guarderei.Però fai tu.
Ah,
un ultimo dettaglio: il fotografo Hugo
van Lawick a cui ho accennato
all'inizio si chiamava in realtà Hugo Arndt Rodolf, Barone di
Lawick. Siccome ha poi sposato Jane Goodall, lei
è baronessa. O lo è stata. Divorziando da un barone la ex-moglie
resta baronessa? Boh. Per fortuna la Regina Elisabetta l'ha fatta
Dame Commander of the Order of the British Empire,
il che magari non fa di lei una Baroness,
ma una Dame sì. E questo è sempre meglio di niente.
Mo' vado a farmi un caffè.