Questa
è la trascrizione della breve intervista di un manifestante, ieri, a
Milano, da parte di un giornalista di Repubblica TV.
G.
Cos'è successo?
M.
No, niente; noi siamo arrivati e c'era un bordello e, tipo,
eravamo in mezzo al corteo, casino... Ho spaccato un po' di robe,
così...
G.
Perché?
M.
Perché? Perchè è una protesta, nel senso...
G.
Una protesta, secondo te... Non è violenza fine a se stessa
questa?
M.
In che senso non è violenza fine a se stessa? No, è una protesta
e io faccio bordello.
G.
Lanciare le molotov alla polizia...
M.
E vabbè, ma è una protesta, ripeto, cioè è...
G.
È giusto così?
M.
Certo, perché, cioè, noi dobbiamo fare sentire la nostra voce,
secondo me, e se non lo capiscono con le buone, prima o poi lo
capiranno in qualche altro modo, nel senso, cioè i politici e le
persone normali, c'è un divario enorme e poi loro rubano.
G.
Non hai avuto paura?
M.
Vabbè, paura un pochino. Più che altro esaltato perché volevo
anche avere qualcosa in mano per spaccare qualcosa, quello sì. Però
è stato una bella esperienza, cioè ci stava.
G.
Tu da dove vieni?
M.
Provincia. Provincia di Milano.
G.
Quindi è giusto quello che è successo? La polizia come si è
comportata? La polizia, i carabinieri...
M.
Ma, cioè, sinceramente io non ho visto scontri perché ero
proprio in mezzo al casino. Poi siamo usciti un po' più in qua,
siamo usciti da una parte con un po' di meno gente, un po' di meno
bordello. Però io prima ero proprio in mezzo al corteo e ci stava di
brutto, cioè...
G.
Rifaresti quello che avete fatto oggi?
M.
Ma io sinceramente non ho fatto niente, io ho visto tanta gente
che spaccava le cose e ho pensato “cazzo, se avessi anch'io
qualcosa in mano, spaccherei pure io”, cioè io ho guardato, non è
che sono stato lì... Però è stato una bellissima esperienza, ci
stava. Non era, cioè, il primo corteo in cui stavo, sono stato anche
a altri cortei...
G.
Per che motivo a questo punto dar fuoco a una banca? Che senso ha?
M.
Minchia! Ma la banca è l'emblema della ricchezza, cioè se non do
fuoco alla banca sono un coglione, minchia, secondo me...
G.
Senza parolacce, scusa.
M.
No, scusa, mi esprimo male probabilmente.
G.
No, no, per carità, la tua testimonianza è importantissima.
M.
[incomprensibile] comunque se dico le parolacce vuol dire che ti
sto raccontando cose che ci sono veramente dentro. Se invece non le
dicessi te le racconterei come una persona che è venuta qua, cioè,
boh, fuori dalla cosa, tipo una persona che c'ha i soldi, che c'ha
ricchezza. Io cerco di essere sempre dentro le cose, le esperienze,
le emozioni.
G.
Questi ragazzi hanno fatto bene sostanzialmente? Tu sei contento
di come è andata questa giornata?
M.
Boh, io quando sono in mezzo ai disastri sono contento comunque,
cioè. È una protesta e ci sta.
G.
Tu aderisci a qualche gruppo di contestazione?
M.
Boh, non lo so, quando c'è casino mi ritrovo in mezzo e faccio
casino anch'io, nel senso... Cioè... Mi diverto. Grazie. Ciao.
Prenditi
pure qualche momento per piangere.
Fatto?
Ok, allora vado avanti.
Temo
che la disarmante stupidità di questo ragazzo sia rappresentativa di
molti di quelli che ieri hanno bruciato macchine, rotto vetrine,
imbrattato muri, e altro, a Milano. Lo temo, o forse lo spero: spero
davvero che non ci sia nessuno pronto a mettere dietro questo vuoto
cosmico una giustificazione socio-politico-psicologica, perché
quella sarebbe l'ultima beffa.
Erano
tutti così imanifestanti di ieri? Non lo so. Questo ragazzo ne
rappresenta almeno una congrua parte? Non so nemmeno questo. Non so
se il bicchiere sia mezzo vuoto o mezzo pieno.
Ma
mi pare che quella volontà rivendicata di fare casino
indichi innanzitutto quanto l'intervistato sia succube di quella
sacralizzazione dell'immagine — meglio se virtuale — che fa
sì che fare casino possa magari portare a farsi
intervistare in televisione, cosa che decisamente ci sta. Non
importa se l'intervista ti fa fare la figura del cretino, di quello
che non sa articolare nemmeno un'ombra di pensiero logico e coerente;
quello che conta è essere visto in televisione, solo quello.
Questo
ignaro schiavo dello schermo piatto è solo un servo fedele, nonché
prevedibile, di quel sistema che forse lui, se riuscisse ad articolare
anche solo un'ombra di pensiero, vorrebbe abbattere. Ne è
schiavo perché la sua unica preoccupazione è come arrivare a far
parte di quel sistema, come trarne il massimo profitto, come vivere
momenti che ci stanno, senza preoccupazioni, senza
impegni, senza doveri. Senza futuro. Senza pensiero. Perché
l'importante non è pensare, ma cercare di essere sempre dentro le
cose, le esperienze, le emozioni.
L'importante
non è ciò che si fa, l'importante è ciò che si prova facendolo, e
se ti diverti ci sta. Quello è l'unico ideale, perché in
mezzo ai disastri uno è contento comunque, cioè.
Questo
è un ragazzo che si scusa di dire le parolacce, che spiega
che dirle vuol dire che ti sto raccontando cose che ci sono
veramente dentro, perché è ovviamente impossibile parlare di ciò che uno ha dentro senza parolacce. Questo è uno che usa anche qualche congiuntivo e che,
per sua stessa ammissione, non ha fatto niente (anche se prima
aveva detto che anche lui aveva spaccato un po' di robe). Ma
l'idea di dire al giornalista che siccome non ha fatto niente non ha
niente da dire non lo sfiora nemmeno. Se avesse avuto
qualcosa in mano avrebbe spaccato anche lui, [...] però è
stato comunque una bellissima esperienza, ci stava.
E che dire del giornalista, che afferma spudoratamente che
quella (non) testimonianza è importantissima, che dire se non che
anche lui appare come un piccolo schiavo fedele di quell'assurda
logica secondo la quale parlare è più importante di dire?
Immensa
tristezza. Vuoto intersiderale.
Presto, un buon caffè!