Migranti Rohingya arrestati in Thailandia
Non
so nemmeno io bene perché scrivo questo post. Probabilmente per una
specie di irriducibile fede nella parola detta e scritta, nel fatto
che se anche solo 10 o 20 persone verranno a conoscenza, attraverso
questo testo, di qualcosa che ignoravano, potrò dirmi che almeno non
sono rimasto con le mani in mano.
Voglio
parlarti dei Rohingya, un piccolo popolo musulmano, forse di origine
bengalese, ma nessuno lo sa con precisione, che vive in uno Stato
occidentale della Birmania, lo Stato di Rakhine, o Arakan. Fino a
qualche mese fa erano più o meno 800.000 — nessuno ha
cifre precise — , su una
popolazione globale di poco più di 3 milioni (51,5 milioni per
l'insieme della Birmania, censimento 2014), ma ormai molti
sono fuggiti. Tra quelli che sono scappati via mare nessuno sa quanti
siano caduti vittime di pirati e quanti siano semplicemente annegati.
Già
nel 2010, quando in pochi mesi 6.000 rifugiati erano riusciti ad
arrivare nel Bengala indiano, Medici Senza Frontiere aveva lanciato
l'allarme, senza alcun risultato. Da allora la situazione è
peggiorata. Non dimentichiamo che, nonostante la vittoria del partito
di Aung San Suu Kyi alle elezioni del 2012, la Birmania è tuttora
una dittatura militare presieduta dal generale Thein Sein. Questo
anche perché le elezioni riguardarono solo una piccola parte dei
deputati: la grande maggioranza è designata direttamente dai
militari.
La
giunta al potere si è sempre rivendicata buddista. Ma i Rohingya
sono musulmani e la Costituzione in vigore vieta loro di beneficiare
della nazionalità birmana. Sono considerati immigranti illegali.
Quando sono considerati. Per U Than Tun, membro del Centro di
Coordinamento delle Emergenze di Sittwe, la capitale dello Stato di
Rakhine, “I Rohingya
non esistono. Non sono mai esistiti.”
E infatti lui e il suo governo li chiamano Bengalesi. U Than Tun
aggiunge che tutti i “Bengalesi” vanno espulsi.
Un
paio di settimane fa Maung Maung Ohn, Chief
Minister
dello Stato di Rakhine, dopo il salvataggio di più di 2.000 Rohingya
da parte delle Marine indonesiana e malese, ha detto che era
impossibile si trattasse di Rohingya, perché... il governo birmano
vieta loro di partire via mare senza autorizzazione.
I
Rohingya vivono in ghetti rurali dai quali non possono uscire. Dal
2012 i pochi giovani che studiavano all'università di Sittwe non si
sono più fatti vedere, semplicemente perché non hanno più diritto
di andarci.
Per
U Kaymasara, a capo di un monastero buddista di di Sittwe, “sarebbe
meglio se [i
Rohingya] non
fossero qui. In una famiglia musulmana ci sono 82 persone, in una
delle nostre ce ne sono al massimo tre, quattro o cinque.”
E questo nonostante una legge vieti ai Rohingya di avere più di due
figli.
Secondo
Pierre Peron, portavoce dell'Ufficio per gli Aiuti Umanitari dell'ONU
in Birmania, “la
mancanza di movimento [dovuta
alla ghettizzazione] significa
che la gente non ha accesso ai campi che coltiva, non ha accesso al
mare per pescare, non ha accesso ai mercati per vendere. L'impatto
sulla libertà di movimento è enorme per centinaia di migliaia di
persone.”
Nur
Bashir, che lavorarava come saldatore a Sittwe fino al 2012, ha
dichiarato alla CNN che se cercasse oggi di andare in città da solo
verrebbe ucciso. Il ghetto in cui vive è a meno di due chilometri
dalla città.
Per
Matthew Smith, dell'organizzazione umanitaria Fortify
Rights, presente nella
zona, “non ci
potrebbe essere un esempio più lampante di pulizia etnica. Le
autorità e la popolazione buddista locale stanno cercando di
modificare la demografia etnica dello Stato attraverso il terrore e
certe volte la violenza.”
Già
nel 2010 un articolo sul sito della BBC si concludeva così:
“[I
Rohingya] sono
uno dei popoli più malvoluti e perseguitati del mondo. La Birmania
rifiuta loro la cittadinanza e rifiuta di autorizzarli a possedere
della terra.
Non
li autorizza a viaggiare e nemmeno a sposarsi senza permesso.
E
non sono benvenuti nemmeno nel Bangladesh, dove sono almeno 200.000 a
vivere come immigrati illegali, senza diritti di lavoro, di salute e
di educazione.
La
regione nella quale vivono è una delle più povere del Bangladesh e
le comunità locali si lamentano che I Rohingya svuotano l'area delle
sue risorse, prendono il lavoro dei cittadini e sono delinquenti.
30.000
sono registrati come profughi dall'ONU, ma gli altri non hanno nessun
diritto e vivono in condizioni orribili al margine dei villaggi o in
accampamenti improvvisati.”
Nel
2014 il New York Times scriveva:
La
più recente fiammata è incominciata con un'ondata di disordini
settari nel 2012, durante i quali centinaia di Rohingya sono stati
uccisi e decine dei loro villaggi incendiati da buddisti radicali.
[Sì,
esistono anche i buddisti radicali].
Da allora quasi 100.000 sono fuggiti dal paese e più di 100.000 sono
stati rinchiusi in squallidi campi, col divieto di uscirne.”
Oggi
il Dalai Lama ha lanciato un appello a Aung San Suu Kyi perché
faccia qualcosa. “L'ho
incontrata due volte, prima a Londra, poi nella Repubblica Ceca. Le
ho parlato del problema e lei mi ha detto che aveva delle difficoltà,
che le cose non erano semplici, ma molto complicate.”
Intanto
più di 3.500 Rohingya sono arrivati in Malesia, Thailandia e
Indonesia nelle ultime settimane e si teme che siano centinaia di
migliaia quelli che cercano di fuggire, o che sono già morti
tentando di farlo.
Sui
Rohingya puoi guardare la pagina Wikipedia.
Articolo
della BBC qui.
Articolo
della CNN qui.
Articolo
del New York Times qui.
Cosa
si può fare? Non lo so. Almeno esserne al corrente.