giovedì 28 maggio 2015

Gente di cui non si parla

Migranti Rohingya arrestati in Thailandia

Non so nemmeno io bene perché scrivo questo post. Probabilmente per una specie di irriducibile fede nella parola detta e scritta, nel fatto che se anche solo 10 o 20 persone verranno a conoscenza, attraverso questo testo, di qualcosa che ignoravano, potrò dirmi che almeno non sono rimasto con le mani in mano.
Voglio parlarti dei Rohingya, un piccolo popolo musulmano, forse di origine bengalese, ma nessuno lo sa con precisione, che vive in uno Stato occidentale della Birmania, lo Stato di Rakhine, o Arakan. Fino a qualche mese fa erano più o meno 800.000  — nessuno ha cifre precise — , su una popolazione globale di poco più di 3 milioni (51,5 milioni per l'insieme della Birmania, censimento 2014), ma ormai molti sono fuggiti. Tra quelli che sono scappati via mare nessuno sa quanti siano caduti vittime di pirati e quanti siano semplicemente annegati.
Già nel 2010, quando in pochi mesi 6.000 rifugiati erano riusciti ad arrivare nel Bengala indiano, Medici Senza Frontiere aveva lanciato l'allarme, senza alcun risultato. Da allora la situazione è peggiorata. Non dimentichiamo che, nonostante la vittoria del partito di Aung San Suu Kyi alle elezioni del 2012, la Birmania è tuttora una dittatura militare presieduta dal generale Thein Sein. Questo anche perché le elezioni riguardarono solo una piccola parte dei deputati: la grande maggioranza è designata direttamente dai militari.
La giunta al potere si è sempre rivendicata buddista. Ma i Rohingya sono musulmani e la Costituzione in vigore vieta loro di beneficiare della nazionalità birmana. Sono considerati immigranti illegali. Quando sono considerati. Per U Than Tun, membro del Centro di Coordinamento delle Emergenze di Sittwe, la capitale dello Stato di Rakhine, “I Rohingya non esistono. Non sono mai esistiti.” E infatti lui e il suo governo li chiamano Bengalesi. U Than Tun aggiunge che tutti i “Bengalesi” vanno espulsi.
Un paio di settimane fa Maung Maung Ohn, Chief Minister dello Stato di Rakhine, dopo il salvataggio di più di 2.000 Rohingya da parte delle Marine indonesiana e malese, ha detto che era impossibile si trattasse di Rohingya, perché... il governo birmano vieta loro di partire via mare senza autorizzazione.
I Rohingya vivono in ghetti rurali dai quali non possono uscire. Dal 2012 i pochi giovani che studiavano all'università di Sittwe non si sono più fatti vedere, semplicemente perché non hanno più diritto di andarci.
Per U Kaymasara, a capo di un monastero buddista di di Sittwe, “sarebbe meglio se [i Rohingya] non fossero qui. In una famiglia musulmana ci sono 82 persone, in una delle nostre ce ne sono al massimo tre, quattro o cinque.” E questo nonostante una legge vieti ai Rohingya di avere più di due figli.
Secondo Pierre Peron, portavoce dell'Ufficio per gli Aiuti Umanitari dell'ONU in Birmania, “la mancanza di movimento [dovuta alla ghettizzazione] significa che la gente non ha accesso ai campi che coltiva, non ha accesso al mare per pescare, non ha accesso ai mercati per vendere. L'impatto sulla libertà di movimento è enorme per centinaia di migliaia di persone.
Nur Bashir, che lavorarava come saldatore a Sittwe fino al 2012, ha dichiarato alla CNN che se cercasse oggi di andare in città da solo verrebbe ucciso. Il ghetto in cui vive è a meno di due chilometri dalla città.
Per Matthew Smith, dell'organizzazione umanitaria Fortify Rights, presente nella zona, “non ci potrebbe essere un esempio più lampante di pulizia etnica. Le autorità e la popolazione buddista locale stanno cercando di modificare la demografia etnica dello Stato attraverso il terrore e certe volte la violenza.
Già nel 2010 un articolo sul sito della BBC si concludeva così:
[I Rohingya] sono uno dei popoli più malvoluti e perseguitati del mondo. La Birmania rifiuta loro la cittadinanza e rifiuta di autorizzarli a possedere della terra.
Non li autorizza a viaggiare e nemmeno a sposarsi senza permesso.
E non sono benvenuti nemmeno nel Bangladesh, dove sono almeno 200.000 a vivere come immigrati illegali, senza diritti di lavoro, di salute e di educazione.
La regione nella quale vivono è una delle più povere del Bangladesh e le comunità locali si lamentano che I Rohingya svuotano l'area delle sue risorse, prendono il lavoro dei cittadini e sono delinquenti.
30.000 sono registrati come profughi dall'ONU, ma gli altri non hanno nessun diritto e vivono in condizioni orribili al margine dei villaggi o in accampamenti improvvisati.
Nel 2014 il New York Times scriveva:
La più recente fiammata è incominciata con un'ondata di disordini settari nel 2012, durante i quali centinaia di Rohingya sono stati uccisi e decine dei loro villaggi incendiati da buddisti radicali. [Sì, esistono anche i buddisti radicali]. Da allora quasi 100.000 sono fuggiti dal paese e più di 100.000 sono stati rinchiusi in squallidi campi, col divieto di uscirne.
Oggi il Dalai Lama ha lanciato un appello a Aung San Suu Kyi perché faccia qualcosa. “L'ho incontrata due volte, prima a Londra, poi nella Repubblica Ceca. Le ho parlato del problema e lei mi ha detto che aveva delle difficoltà, che le cose non erano semplici, ma molto complicate.
Intanto più di 3.500 Rohingya sono arrivati in Malesia, Thailandia e Indonesia nelle ultime settimane e si teme che siano centinaia di migliaia quelli che cercano di fuggire, o che sono già morti tentando di farlo.
Sui Rohingya puoi guardare la pagina Wikipedia.
Articolo della BBC qui.
Articolo della CNN qui.
Articolo del New York Times qui.
Cosa si può fare? Non lo so. Almeno esserne al corrente.