domenica 15 febbraio 2015

14 febbraio

14 febbraio. Giorno del famoso massacro a Chicago, giorno del lancio della fatwa di Khomeini contro Salman Rushdie, compleanno di Gianni Bugno. E naturalmente giorno di San Valentino.
A parte gli abitanti di Terni, o quelli che sono stati a Terni e hanno visitato la basilica di San Valentino, nonché visto l'urna dentro la quale sono conservati i resti del martire, immagino che la maggior parte degli altri ignorino chi questo Valentino sia stato.
Questo e non un 'altro, visto che di Valentini la Santa Romana Chiesa ne celebra vari: il protovescovo di Genova del IV secolo; il vescovo di Treviri, sempre del IV secolo; il sacerdote ed eremita aquitano del V secolo; il vescovo della Rezia (in parte Baviera e in parte Svizzera attuali), pure lui nel V secolo; uno di cui non si sa niente ma di cui si conserva il corpo a Chieri, vicino a Torino; uno che fu Papa per 40 giorni nel IX secolo; uno che fu martirizzato a Viterbo insieme a S. Ilario non si sa bene quando; il frate mercedario spagnolo del '400; il vescovo di Panama del '700; il francescano belga dell'800.
Tutti questi sono Valentini da poco. Il nostro Valentino, quello vero, è Valentino martire, di cui, come già detto, si conservano i resti a Terni, nonché, come non ancora detto, il cranio e altre ossa a Sassocorvaro (PU), così come tutto lo scheletro nella chiesa di Santa Maria Santissima, a Rovereto (TN). 
Uno così non poteva che essere santo.
Avendo già dato fin qui un'abbondante dimostrazione della mia sconfinata cultura ecclesiastica, non ti annoierò con inutili dettagli biografici (anche perché del nostro Valentino si incominciò a parlare solo tre secoli dopo la morte, dicendo fondamentalmente che era stato uno caritatevole, umile, zelante e quindi santo). Cercherò invece di soddisfare la tua curiosità circa il perché e il percome il 14 febbraio sia diventato la festa degli innamorati.
Nell'antica Roma — quando si tratta di robe di santi bisogna sempre incominciare una frase con “nell'antica Roma” — il 15 febbraio era il giorno dei Lupercali. Secondo Tito Livio, questa festa sarebbe stata importata nell'Italia pre-romana da Evandro, figlio del dio Mercurio e della ninfa Carmenta, nonché alleato di Enea nella guerra contro i Rutuli, che come indica il loro nome (almeno per chi sa vedere questo tipo di indicazione in questo tipo di nome) erano dei biondazzi.
Ma non lasciamoci distrarre dai dettagli.
Luperco, almeno all'inizio, era un dio della natura; poi poco per volta diventò il dio degli istinti, fino a trasformarsi in un fauno, in un satiro e in una specie di doppione di Priapo, quello che ce l'aveva grosso come la torre di Pisa, ma meno pendente.
Ovvio che uno così non piacesse alla Chiesa, che infatti decise di inventarsi una bella festa per il giorno prima dei Lupercali, cioè il14 febbraio.
Ciò che si sa di Valentino è poco. Ai tempi suoi, ovvero non si sa bene quando, ma comunque ai tempi di Roma, Valentino convertì al cristianesimo il filosofo Cratone (uno così famoso che l'unica traccia di Cratone sull'Enciclopedia Treccani è quella che ci spiega che il cratone è l'unità strutturale di spessore crostale che interessa enormi distese continentali).
Una volta convertito questo misterioso Cratone, Valentino celebrò il matrimonio di un centurione non meglio identificato con tale Serapia, della quale si sa solo che era cristiana. Senonché l'editto di Claudio II, un imperatore del III secolo nato in Serbia, vietava ai legionari di sposare delle cristiane. Ecco perché Valentino fu arrestato e martirizzato.
Ora, la leggenda più conosciuta a proposito di Valentino racconta che, poco prima di essere giustiziato, fece avere alla figlia cieca del suo carceriere Asterio un bigliettino. E qui mi fermo un momento per sottolineare la profonda e santa umanità di uno che manda un bigliettino segreto a una cieca. Ma andiamo avanti.
Cosa c'era scritto su questo bigliettino? C'era scritto “dal tuo Valentino”! Già, perché il nostro convertitore di inesistenti filosofi si era innamorato della figlia del suo carceriere.
Ma non era vescovo?”, sbotterà il mio distratto lettore. Certo che era vescovo, gli risponderò io; ma ti stai scordando che il celibato dei preti, vescovi compresi, fu deciso dal Concilio di Evira del 305-306, mentre Claudio II era stato imperatore dal 268 al 270. Quindi Valentino poteva benissimo essere innamorato della figlia cieca del suo carceriere prima del 305.
Ma scusa, insisterà allora il puntiglioso lettore, mi spieghi come ha fatto Valentino a mandare un bigliettino alla figlia cieca del suo carceriere se la carta in Europa ci è arrivata solo nel XII secolo?” Cosa vuoi che ti dica? Si vede che i bigliettini ai tempi di Valentino erano dei piccoli papiri, facilissimi da trovare nelle prigioni di Terni.
Comunque sia, il bigliettino, o papirino che fosse, arrivò alla figlia cieca del carceriere. Ed è lì che successe il miracolo, perché appena lei se lo ritrovò in mano pensò: “Madonnuzza mia, quanto mi piacerebbe poter leggere questo bigliettino, o papirino!” Ed ecco che d'un botto, VLAM!: la cieca vide! E così potè leggere “dal tuo Valentino”. Sottinteso: uno messo bene, visto che è vescovo, ma che però sta per morire.
'he 'ulo!” direbbero a Firenze.
Miracolo! Miracolo!”, dissero a Roma.
E Valentino diventò Santo. 
E una dozzina di secoli dopo, Carlo d'Orléans scrisse alla sua seconda moglie, Bonne d'Armagnac, il primo bigliettino di San Valentino di cui abbiamo traccia:
Je suis desja d'amour tanné
Ma tres doulce Valentinée...
Il che vuol dire qualcosa come sono afflitto dall'amore, mia dolcissima Valentina.
E gli americani inventarono Valentine's day e incominciarono a mandarsi bigliettini d'amore il 14 febbraio.
E alla Chiesa la cosa finì col non piacere per nulla, tanto che nel 1969 soppresse la festa degli innamorati.
E nel 1982 la Ferrero inventò il Ferrero Rocher.
E Michele Ferrero è morto proprio oggi, 14 febbraio.
Sono sicuro che questo è un segno del destino, anche se come segno non mi pare molto chiaro.


giovedì 12 febbraio 2015

Sanremo, non ce la faccio proprio

Betty Curtis
L'ultimo festival di Sanremo che ho visto è quello del '67, quello del suicidio di Luigi Tenco; quello nel quale i Giganti arrivarono solo terzi (con Proposta); quello in cui Little Tony cantò Cuore matto.
Nel '68 e '69, mentre ero allievo della scuola del Piccolo Teatro, ero troppo occupato ad andare a teatro tulle le sere.
Nel '70 ero in tournée in Spagna e in Francia con Ferruccio Soleri.
Nel '71 non mi ricordo dov'ero.
Nel '72, di ritorno per pochi mesi dal Nord-America, ero troppo occupato a fare sedute spiritiche con Gabriele Salvatores (che è nato il mio stesso giorno, mese e anno) e ad andare a letto con la migliore amica di sua sorella (che si chiamava come la mia).
Nel '73 ero con il Bread and Puppet nel Vermont.
Nel '74 e nel '75 ero in tournée con il Bread and Puppet in Europa.
Poi, dall'autunno di quell'anno fino ad aprile del 2008 ho vissuto in Francia.
Per me Sanremo vuole dire Tony Dallara e Wilma Goich, Betty Curtis e Ricky Maiocchi, Peppino Gagliardi e Nico Fidenco. Ti assicuro che sono nomi veri. Li trovi su Wikipedia.
Pensare che Sanremo continui a esistere oggi, già per se mi da tristezza. 
Nei primi anni '60 avevo un registratore Geloso, ovviamente a nastri, visto che le cassette sarebbero arrivate solo qualche anno dopo. Durante il festival mettevo il microfono davanti alla televisione, che era una specie di monumento di legno con dei pulsanti metallici, visto che il telecomando a quei tempi ce l'avevano solo in America, esigevo il silenzio più assoluto da parte del resto della famiglia e una per una registravo tutte le canzoni. Poi, l'indomani della serata finale, andavo all'edicola con 100 lire e mi compravo il libretto dei testi. Quello del festival del '63 lo trovi su Ebay per 14,99€ (+ 4,50€ di spedizione). Sic transit gloria mundi.


La mia sorpresa è stata grande, sei anni fa, tornando a vivere in Italia, il giorno in cui Elena mi ha detto che l'indomani sera avrebbe guardato Sanremo in TV. Ho provato a guardarlo con lei. Credo di avere resistito 20 minuti.
Non ce la faccio proprio. Non ce l'ho proprio quel gusto per il trash, per le vallette sculettanti e per il vuoto cosmico.
Elena naturalmente non è d'accordo. Lei il festival continua a guardarlo, anche se ormai lo fa alla terzo millennio, chattando contemporaneamente con vari amici che giocano a chi le spara più grosse. O almeno credo, a giudicare dalle risate che sento dal letto, mentre leggo un giallo.
Stamattina, leggendo i giornali su internet, come ogni anno mi sono sentito un alieno. Ma come fa Il corriere della sera a titolare Arisa e il giallo del reggiseno: scompare e poi riappare, o Emma e l'inchino generoso, con tanto di foto di (presumo) Emma (ma chi è?) che si inchina facendo vedere un po' più di tette di quando sta in piedi, manco fosse possibile il contrario? Come fa la Repubblica a titolare Romina e Al Bano (almeno quelli so chi sono): la reunion e quei baci non dati sul palco (la reunion???), o Rocio Munoz (e questa chi è?): signora in rosso? Come fanno il Fatto Quotidiano a pubblicare le pagelle della prima serata, La Stampa a titolare Al Bano, flessioni sul palco, poi nega il bacio a Romina, Il Messaggero a fare lo stesso con Emma sposa, Arisa “cardinalizia”, Il Sole 24 Ore a informarci sulla Moda a Sanremo: tutti i look griffati sul palco dell'Ariston?
Il festival di Sanremo è la cosa che più di tutte mi fa capire quanto tanti anni all'estero abbiano finito col fare di me uno che non è più italiano. Altre, molte altre cose, mi fanno capire che non sono mai nemmeno diventato francese. Ma quello è un altro discorso.
Ormai me ne sto qui, in bilico tra due culture, senza più capire completamente la prima e senza riuscire veramente a identificarmi con la seconda. È così e non ci posso fare niente.
Beh, sì, una cosa posso farla: non guardare il festival di Sanremo.

martedì 10 febbraio 2015

Se ne imparano sempre di nuove


due tipi di cranberries
Che gli specialisti di botanica mi perdonino, ma questa proprio non la sapevo.
Tutto è incominciato qualche settimana fa, quando a casa di amici mi sono ritrovato davanti una scodellina colma di cose verdastre e oblunghe, tipo olive di piccole dimensioni, ma col gambo. Erano frutti di capperi, che non avevo mai visto. Buoni.
Così un paio di giorni fa me ne sono comprati un po'. Oggi eravamo a tavola con Elena e ci siamo chiesti, visto che quelli erano i frutti del cappero, cosa fossero i capperi. “Saranno i boccioli?”, mi sono chiesto. E ho aperto il computer. Sì, i capperi sono i boccioli, mentre i frutti del cappero si chiamano cucunci. Ero sulla pagina di Wikipedia e mi è venuta la curiosità di andare a vedere la stessa pagina in inglese. I cucunci, oltre Manica, si chiamano caper berries.
Ora, la parola berry gli inglesi e gli americani la usano molto: le fragole sono strawberries, le more blackberries o mulberries, i lamponi raspberries, i mirtilli blueberries, l'uva spina gooseberry, il mirtillo rosso americano cranberry, la bacca di sambuco eldeberry, mentre il ribes si chiama, chissà perché, redcurrant o blackcurrant a seconda del colore. Tutto ciò fa che non ho mai saputo come rivolgermi a un fruttivendolo americano se volevo comprarmi dei lamponi pittosto che dei mirtilli.
Ma cos'è una bacca?”, mi sono chiesto. Sempre Wikipedia mi dice che nell'uso comune sono impropriamente indicati come “bacche” anche frutti d'altro genere e coni come il glabulo del ginepro, il frutto aggregato della fragola o la drupa dell'alloro, perché sono piccoli, carnosi e commestibili o usati come aromatizzanti; viceversa alcune vere bacche, come il frutto del peperone, della melanzana, del pomodoro e l'acino d'uva non sono comunemente indicate come tali.
Fermi tutti! Vuoi dire che peperone, melanzana, pomodoro e uva sono bacche? Sissignore, e non solo: andando sulla pagina in inglese, trovo che anche la banana è una bacca!
Poffarbacca e porca bacca!, mi sono detto.
E poi, cos'è questa storia della fragola, che non è una bacca? Altra sorpresa: i frutti della fragaria, che poi è una rosacea, si chiamano acheni e sono quei semini gialli che si vedono su quello che noi chiamiamo impropriamente frutto.
Sì, va bene, tutto questo ha un'importanza relativa, sono d'accordo. Ma mi ci vorrà un po' di tempo per abituarmi all'idea che un peperone o una banana siano più simili a una mora che a una mela.

lunedì 9 febbraio 2015

Dylan, come al solito

Bob Dylan due giorni fa

L'ha rifatto. Ci ha sorpreso di nuovo. Come tante volte prima di oggi.
Come al solito ci sono i delusi, quelli che dicono che è arrivato alla frutta, che non è più lui, che è un traditore. I dylanisti. Quelli che credono di possedere la verità. Quelli fermi a Blowin' in the wind e A Hard Day's A-Gonna Fall.
Io trovo l'ultimo CD di Bob Dylan bellissimo. Stavo per scrivere entusiasmante, ma non sarebbe stata la parola giusta. L'entusiasmo è rumoroso, scoppiettante, mentre qui tutto è sussurrato, accennato, appena suggerito. Un CD da vecchio, sì, da uomo di 73 anni che continua ad infischiarsene della sua immagine, delle mode e dei cliché.
Sempre come al solito, ci sono quelli che parlano di una svolta. Quelli non sono i dylanisti, forse i dylanologi, quelli che cercano sempre una logica, una sorta di consecutio temporum musicale in grado di spiegare e razionalizzare tutte le sorprese che Dylan ci ha offerto nella sua lunga carriera. Senonché anche questa, come tutte le precedenti, sarà probabilmente seguita da un altro CD che, lungi dal confermare, ci spiazzerà di nuovo.
Ed è proprio in questo che Bob Dylan è stato sempre importante per me, fin da quando, nel 1965, uscì il suo quinto album, Bringing It All Back Home. I quattro precedenti (Bob Dylan, The Freewheelin' Bob Dylan, The Times They Are A-Changin' e Another Side of Bob Dylan) erano stati tutti rigorosamente acustici. Una voce accompagnata da una chitarra, un po' di armonica a bocca. Tutto qui. Un folk singer. Il “poeta della sua generazione”, scrivevano i giornali.
Bringing It All Back Home era un album “elettrico”: chitarra elettrica, basso elettrico, organo elettrico. Per molti quello fu un tradimento, un vendersi al mercato, alla moda.
Ma quella fu solo la prima volta. La sorpresa fu altrettanto grande ai primi del '68, quando arrivò John Wesley Harding, poi di nuovo con quel fulmine a ciel sereno che fu Nashville Skyline, nel '69, con quel Self Portrait del '70 che sembrava tutto, meno che un autoritratto, con New Morning, dello stesso anno (“Dylan è tornato!”, si entusiasmava la rivista Rolling Stone, manco gli album precedenti fossero stati opera di un fratello minore e psicolabile del profeta), con Saved (nobbuono) nell'80, col ritorno al suono 100% acustico di Good As I Been To You e World Gone Wrong, del '92, con la voce completamente trasformata di Time Out Of Mind, del '97, per non parlare dell'ineffabile Christmas In The Heart del 2009, fatto tutto di canti natalizi (tra i quali Adeste Fideles!).
Adesso è arrivato Shadows In The Night, che contiene dieci pezzi classici, dalle Foglie morte di Prévert e Kosma a varie cosa cantate in precedenza da Frank Sinatra. Il tutto con una sobrietà e un'eleganza assolutamente sorprendenti.
Ho detto che Dylan è sempre stato importante per me. Lo è stato proprio per questi suoi cambiamenti continui e per questa impossibilità a classificarlo e chiuderlo in un genere o in uno stile. Il contrario di una pop star. Quello che tutti questi album mi hanno sempre detto, Dylan l'aveva detto, con umorismo surreale, nel testo di Subterranean Homesick Blues, del '65: don't follow leaders, watch the parking meters (non seguire i capi, osserva i parchimetri). E nello stesso album c'era un'altra cosa importante: he who is not busy being born is busy dying (chi non è occupato a nascere è occupato a morire).
Fosse anche solo per queste due frasi, senza la voce, senza la musica, senza tutto il resto, resterei un ammiratore di Dylan fino al mio ultimo giorno di vita.
Due giorni fa, in occasione dell'ennesimo premio ricevuto (questa volta dalle mani di Jimmy Carter), Dylan si è lasciato andare a parlare per ben 35 minuti, durata per lui astronomica. Tra l'altro ha detto:
I critici hanno scritto che io ho fatto carriera scombinando le aspettative. Davvero? È solo quello che faccio? È quello che penso?
Scombinare le aspettative. Come dire che sto su fino a tada notte a pensare come scombinare le aspettative.
Cosa fai nella vita?” “Io? Scombino aspettative”.
Uno va a cercare lavoro e gli dicono “Tu cosa fai?” “Io scombino aspettative”. E allora gli dicono “Beh, quel posto è già occupato. Richiamaci. Oppure no, ti richiamiamo noi”.
Scombinare le aspettative, non so nemmeno cosa voglia dire e chi abbia tempo per occuparsene.
Perché proprio io, Signore?” È ovvio che il mio lavoro scombina qualcuno, ma non so proprio come. [...]
Adesso me ne vado. Spero ci rivedremo. Un giorno o l'altro. E ci rivedremo, come diceva Hank Williams, se Dio vuole e se il fiume non straripa”.
Non c'è niente da fare: davanti a Dylan ridivento sempre il quattordicenne che ascoltò per la prima volta The Freewheelin' Bob Dylan. Sempre la stessa ammirazione, la stessa sorpresa, la stessa impressione di avere ancora molto da imparare. Passano gli anni, passano i decenni (ormai cinque) e lui è sempre lì, sempre uguale e sempre diverso allo stesso tempo. Come a dirmi che il tempo non passa e la morte non esiste. Tanta roba.

lunedì 2 febbraio 2015

Dell'odio

Il vecchio Kurt
Va bene: anche a me avrebbe fatto piacere che Berlusconi passasse la totalità del suo periodo di affidamento ai servizi sociali dando da mangiare a persone più anziane di lui. Anzi, mi avrebbe fatto molto più piacere vederlo in galera piuttosto che in un ospizio. Ma dobbiamo proprio vedere un complotto politico nel fatto che un magistrato di sorveglianza abbia condonato, pur contro il parere, peraltro non vincolante, della Procura, 45 giorni all'ex-Cavaliere?
Mi pare che scaldarsi su un argomento del genere significhi innanzitutto mettere in dubbio l'integrità del magistrato, in questo caso il giudice Beatrice Crosti, della quale io non so nulla, così come immagino non ne sappiano nulla quelli che la criticano. L'unica cosa che so, dopo qualche verifica, è che quella decisione appare perfettamente coerente non solo con i testi legislativi, ma anche con la prassi corrente in questi casi.
Qualche notizia sul giudice Crosti ho finito col trovarla sul il CarteBollate, periodico di informazione della casa circondariale di Bollate, una delle tre strutture carcerarie dell'area milanese, con San Vittore e Opera. Ecco cosa scriveva nell'ottobre 2006 il detenuto Libero Vanutelli:
Vengo condotto in tribunale con scorta in borghese su disposizione dello stesso magistrato. All’arrivo mi trovo di fronte una donna di bell’aspetto, circa 40 anni, dai modi garbati, che emana una serenità che ti mette a tuo agio. Le racconto la mia storia, come ero prima, come sono adesso, le spiego il mio cambiamento, rispondo alle domande di rito.
Sapeva già tutto di me perché si era portata il mio fascicolo a casa per studiarselo! Finito il colloquio con un sorriso mi accompagna alla porta, mi fa gli auguri, mi stringe la mano e mi congeda rassicurandomi. Dopo appena una settimana mi arriva il permesso! […]
Ecco un magistrato che sa il fatto suo, che ti guarda negli occhi, un magistrato che anche di fronte a un diniego non ti fa pensare che hai subito un’ingiustizia.
Sia chiaro: nemmeno questo Libero Vanutelli so chi sia.
Ma, appunto: quando non so, cerco di evitare di parlare. E di scrivere. E se scrivo dico che non so. Il che non richiede un grande sforzo. Solo un minimo di elementare onestà.
Forse non mi sarei preso la briga di scrivere questo post se non avessi letto questa mattina sulla Repubblica un vecchio testo di uno dei miei scrittori preferiti, Kurt Vonnegut. Eccone un pezzettino:
Per tutta la vita ho avuto gente da odiare, da Hitler a Nixon — non che siano minimamente paragonabili nella loro malvagità. È tragico, forse, che gli esseri umani riescano a trarre così tanta energia ed entusiasmo dall'odio. Se vi volete sentire alti tre metri e capaci di correre per cento chilometri senza fermarvi, l'odio batte di gran lunga la cocaina pura.
Ho l'impressione che per molti italiani la politica sia una forma di cocaina che è lì, sempre disponibile e gratis, e di cui è facile farsi un'annusatina per arrivare più in forma fino a sera. Come se la cosa importante fosse sempre tenere alto il livello di adrenalina, senza badare a sciocchezze come il buon senso e la ragionevolezza. Per questo noi italiani adoriamo i complotti e adoriamo soprattutto inventarceli anche quando non ci sono; per questo amiamo odiare quelli che tengono a un'altra squadra di calcio, quelli del paese vicino, quelli dell'altro quartiere, quelli che votano diversamente da noi e sprechiamo energie pazzesche a mettere in dubbio la buona fede altrui e a vivere in un clima di eterno sospetto.
Io, Berlusconi lo disprezzo e lo detesto, naturalmente. Credo che il male che ha fatto al nostro paese sia immenso e che ci vorranno anni e anni per ripararlo. Ma quel male è nato proprio dal disprezzo e dall'odio. Se cedessi anch'io all'odio, parlo di odio verso Berlusconi, ma anche delle inevitabili conseguenze dell'odio, cioè la diffidenza generalizzata e il sospetto verso tutto e verso tutti, avrei l'impressione di fargli un piacere. Esattamente come glielo fanno oggi Grillo e Salvini.
Ecco perché preferisco non trovare scandalosa la decisione del giudice Crosti. E poi sono sicuro che in questo modo gli spaghetti che Elena sta facendo freschi freschi in cucina li troverò più saporiti.