domenica 18 gennaio 2015

Perché la religione mi offende

- Mica facile: fare un disegno per prendere in giro gli atei.
- Senza offenderli.
Dopo il momento di orrore, di sdegno e di solidarietà, ecco arrivare l'ondata dei ma. Lo ha capito bene Salman Rushdie, che in un discorso all'Università del Vermont, il 14 gennaio diceva:
Sono stufo di questo dannato gruppo del 'ma' e quando sento qualcuno dire “sì credo nella libertà di parola, ma…”, smetto di ascoltare.”Credo nella libertà di parola, ma la gente dovrebbe comportarsi bene”. “Credo nella libertà di parola, ma non dobbiamo offendere nessuno”. “Credo nella libertà di parola, ma cerchiamo di non andare troppo lontano”. Il punto è che se si limita la libertà di parola non è più libertà di parola.
Dopo il massacro dei disegnatori e altri collaboratori di Charlie Hebdo ora vediamo grandi manifestazioni in vari paesi, morti, incendi di chiese e altri orrori. E anche per i più moderati, quelli che partecipano al dibattito senza per questo dare un qualsiasi sostegno alla violenza, il punto centrale sembra essere la questione della possibilità o meno di “offendere” dei credenti. Ciò che mi stupisce è che nessuno sembra aver sollevato un altro problema, quello delle “offese” quotidiane ai non credenti da parte dei credenti.
Metto la parola “offese” tra virgolette perché non sono convinto che sia quella giusta. Il vocabolario Treccani dà di offesa la seguente definizione: danno morale recato alla dignità di una persona (o di un’istituzione) con atti o con parole, il che forse non ci fa avanzare molto. Cos'è il danno? Sempre secondo lo stesso vocabolario, danno è un termine che si oppone direttamente a vantaggio, giovamento, utilità, guadagno, per indicare l’effetto, soggettivamente considerato, di tutto ciò che in qualche modo nuoce a persone, enti, cose. E qui forse le cose diventano un po' più chiare.
È evidente che le vignette satiriche di Charlie Hebdo non andavano a vantaggio, giovamento, utilità, o guadagno di alcuna religione. Cabu, Wolinski e gli altri erano estremamente critici non solo verso l'integralismo musulmano, ma anche verso quello cristiano. La loro non era una posizione anti-islamica, caso mai anti-religiosa.
Ma lo era davvero? Non credo.
Gli strali del settimanale satirico non erano diretti contro i credenti, ma contro le aberrazioni, i fanatismi e le contraddizioni che ogni religione assolutista porta inevitabilmente dentro di sé. Capisco perfettamente che all'interno di quelle religioni ci siano dei credenti che possono sentirsi offesi da prese di posizione così critiche. Posso anche immaginare che alcuni di loro possano sentirsi danneggiati da sberleffi atei. Ma permettetemi un momento di semantica: il contrario di danno non è rispetto, è vantaggio. Il fatto di rispettare qualcuno non implica affatto che non lo si possa prendere per i fondelli. Non implica soprattutto la sottomissione a dei diktat pseudo etici e pseudo morali che certi credenti vorrebbero imporre al mondo intero.
Per me, che non credo nell'esistenza di Dio, quella credenza è una superstizione che va contro tutto ciò che penso. E non faccio differenze tra islam, cristianesimo, ebraismo, animismo, voodoo, induismo, shintoismo, o qualsiasi altra religione.
Vivendo in un paese a grande maggioranza cristiana e avendo io stesso ricevuto un'educazione intrisa di cristianesimo, è ovvio che almeno da una cinquantina d'anni, da quando cioè ho smesso di credere, ho avuto più occasioni di sentirmi “offeso” dal cristianesimo, in particolare dal cattolicesimo, che da altre religioni. Vorrei allora cercare di spiegare in cosa mi sento offeso.
Credo che la cosa che mi offende di più, come essere umano, è constatare i danni provocati dall'indottrinamento cattolico di tanti bambini innocenti. Inculcare in bambini di tre, quattro anni, idee come il peccato originale o l'esistenza dell'inferno mi pare un gesto di estrema violenza, destinato inevitabilmnte a provocare gravi traumi che molti poi non riusciranno mai a sormontare. Lasciarsi andare a credenze ai miei occhi ridicole come il dogma della verginità post partum di Maria, di quella della creazione della donna a partire dalla costola dell'uomo, di quella della bellezza e della nobiltà della sofferenza purché al servizio di Dio mi sembra altrettanto grave. Chiamare sacro un libro che dice che bisogna passare a fil di spada chi crede in un altro Dio (Deuteronomio 13:16), che bisogna lapidare chi fa “ciò che è male agli occhi del Signore” (Deuteronomio 17:5), mi sembra orribile. Inchinarsi davanti a un panno — la Sindone — affermando che porta le tracce del corpo del figlio di Dio quando è stato scientificamente provato che quel panno è stato tessuto più di mille anni dopo la morte di Gesù mi pare un insulto all'intelligenza.
A proposito di insulti all'intelligenza: sia quante braccia di Santo Stefano sono adorate come reliquie nelle chiese del mondo? 13. E quante mani di San Gregorio? 7. E vogliamo parlare della reliquia del Santo Prepuzio, che fu adorata a Calcata, in provincia di Viterbo, fino al 1983, quando qualcuno la rubò? O delle corna di Mosé, esposte secoli fa nella chiesa di san Marcello a Roma, delle lacrime Gesù nella chiesa di Vendôme, in Francia, della vagina di santa Gudula adorata ad Augusta, in Baviera, delle numerose ampolle piene di latte della Vergine contro le quali inveì Calvino, chiedendosi se la madre di Gesù fosse stata davvero una donna o una mucca?
Tutte queste cose mi offendono. Come mi offendono tutte le guerre, i massacri e le violenze fatte nel nome di questa o quest'altra religione.
Quante guerre sono state fatte nella storia del mondo in nome della non esistenza di Dio? E quante in nome della sua esistenza? Quanti eretici, quante streghe sono state bruciate in nome dell'ateismo? Quanti scienziati sono stati condannati? Quanto popoli sono stati cacciati dalle loro terre?
Mi piacerebbe che ogni tanto, almeno ogni tanto, chi crede in un Dio si fermasse un istante e si domandasse quanto quella sua fede, a partire dal momento in cui non è più solo un affare privato ma diventa parte integrante della struttura etica e giuridica di una società, possa essere insultante, deprimente e soprattutto pesante, quotidianamente pesante, per tutti quelli che in quel Dio non credono.
Le religioni da sempre si reputano depositarie esclusive della spiritualità e del “vero” amore, trattando chi religioso non è nel migliore dei casi con condiscendenza e nel peggiore con disprezzo. Ti faccio un esempio. Qualche mese fa ho assistito a un matrimonio cattolico. Durante la sua omelia il sacerdote ha sostenuto che l'unico vero amore possibile è l'amore di Gesù. Poi, forse accorgendosi di averla sparata un po' grossa, ha detto che ciò che intendeva era che l'unico vero amore coniugale era quello del matrimonio benedetto da Dio. Fossi stato meno educato e più impulsivo sarei salito sull'altare a dare una sberla a quello stupido prete che con le sue parole perfettamente offensive aveva appena sostenuto che, in quanto non credente, ero incapace di amare veramente. Quella stupidità e quell'arroganza, oltre tutto da parte di qualcuno che, almeno ufficialmente, ha rinunciato per sempre all'amore di coppia, mi ha davvero offeso.
E mi chiedo: è mai possibile che i credenti non capiscano, non riescano a capire quanto le loro credenze, appena vanno al di là della sfera del privato, possano sembrarmi insultanti, quanti rospi sia costantemente obbligato a ingoiare chi vede dei credenti comportarsi in maniera ai suoi occhi così ridicola, ma anche così dannosa per la società nella quale viviamo tutti insieme?
Prendere in giro qualcuno non significa non rispettarlo, significa cercare di addolcire la propria condizione umana con un po' di leggerezza. Con che diritto qualcun altro si sente autorizzato a imporre dei limiti alle mie prese in giro? Se qualcuno prende in giro me, magari in maniera feroce, me ne vado, smetto di parlargli. Ma mai mi verrebbe in mente di impedirgli di farlo. Perché i credenti non riescono a comportarsi nello stesso modo? Mistero della fede.
Io resto d'accordo con Salman Rushdie: quando sento qualcuno dire “sì credo nella libertà di parola, ma…”, smetto di ascoltare. Tutto qui.