giovedì 4 luglio 2013

Approssimazioni pericolose

Piazza Tahrir - Reuters
Titolo: Piazza Tahrir: centinaia di stupri. Prima frase dell'articolo: “In pochi giorni, quasi cento abusi sessuali in piazza Tahrir contro le donne: Human Rights Watch denuncia la cifra e dà i dettagli.
Vado sul sito di Human Rights Watch e leggo un articolo pubblicato ieri, che incomincia così: “Gli ufficiali egiziani e gli uomini politici di ogni bordo dovrebbero condannare e fare passi immediati per fermare gli orrendi livelli di violenza contro le donne sulla piazza Tahrir. Alcuni gruppi egiziani contro la violenza fatta alle donne confermano che la folla ha assalito sessualmente e in alcuni casi stuprato almeno 91 donne sulla piazza Tahrir durante i quattro giorni di protesta iniziati il 30 giugno 2013 in un clima di impunità.
Non voglio ovviamente sminuire la nefandezza delle violenze alle donne, ma, al contrario, sottolineare come il ricorso sistematico al titolone da scoop trasformi queste violenze in faits divers indegni di serietà giornalistica, trattando il lettore da semianalfabeta e sperando in una sua superficialità di lettura.
Di cosa stiamo parlando? Di centinaia di stupri, o di aggressioni sessuali e in alcuni casi anche di stupro su almeno 91 donne?
Il titolone ad effetto, l'ingigantimento della realtà e il parallelo riferimento a dati precisi di un'organizzazione rispettata internazionalmente come Human Rights Watch altro non fanno che annegare l'informazione in una melma confusa dalla quale ciò che finisce con l'emergere è fondamentalmente un pericoloso sentimento di ostilità sia verso il mondo arabo che verso il mondo musulmano in generale. Il fatto riportato da H.R.W., almeno 91 aggressioni sessuali, è di per sé raccapricciante. Ingigantendolo come lo fa il titolo di Repubblica si rischia di banalizzare ognuno di quei 91 casi rendendoli singolarmente meno drammatici proprio per la loro relativa “normalità”.
Se avessi letto Dieci donne violentate dai manifestanti egiziani ne sarei naturalmente stato indignato. Ma quel dieci (prendo una cifra a caso) mi avrebbe permesso di “visualizzare” ognuna delle vittime. Davanti a centinaia di stupri invece cambia tutto: la sindrome dei grandi numeri mi impedisce quella visualizzazione e, rendendomi impossibile di vedere i fatti riportati come 1+1+1+1... li anestetizza e ne sminuisce la drammaticità.
Probabilmente la giornalista Eleonora Vio, autrice dell'articolo, è stata lei stessa turbata dall'anonimo titolatore in cerca di sensazionalismo. Al suo posto, mi sarebbero girati vorticosamente i didimi.
C'è un altro articolo interessante sul sito di Repubblica. Lo firma Carlo Ciavoni. Eccone uno stralcio: “Il volto e il corpo coperti dal niqab, l'abito tradizionale islamico che lascia solo gli occhi scoperti, portato solo per mantenere l'anonimato, garantito anche dalle luci soffuse e dalle telecamere spente. Poi il racconto con voce tremante di giorni di stupri, sevizie, scosse elettriche che le hanno fatto prima di perdere il bimbo che aspettava, poi l'hanno resa sterile. Il drammatico racconto è avvenuto alla Camera dei Deputati, nel corso del convegno La verità necessaria - I processi di riconciliazione delle primavere arabe, che ha affrontato il tema dello stupro come arma da guerra e ancora praticata nei paesi post-conflitto, anche in quelli della ormai incerta Primavera araba. La donna ha spiegato che l'arresto è avvenuto dopo che lei ed alcune amiche erano state riprese da Al Jazeera mentre invitavano le altre studentesse a scendere in piazza contro Gheddafi. Poche ore dopo, iniziava l'incubo. "Mi hanno arrestata, e tenuta nuda per tutto il tempo. Gli stupri erano continui, poi le scariche elettriche. Chiedevo che chiudessero la porta almeno quando dormivo. Le mie amiche, non le ho più viste. E la mia famiglia che mi dice, se non ti fossi messa a fare i proclami oggi non ti sarebbe successo nulla", ha raccontato.
Leggendo queste righe, il mio sdegno è molto più grande che leggendo quelle dell'altro articolo. Lo è perché queste righe mi permettono di visualizzare una donna, una persona; mi fanno immaginare la cella, il corpo nudo sdraiato alla ricerca del sonno che non viene, la seconda e tremenda violenza subita, quella delle inaccettabili parole della famiglia. Questo articolo mi permette quell'empatia e dunque quel sentimento di solidarietà umana che il titolo che parla di centinaia di stupri anestetizza. È individualizzando il problema e focalizzandolo su un caso personale preso ad esempio tra molti che lo si rende umano, non certo sparando numeri fantasiosi. È in questo che risiede la forza della foto di reportage, come quella del romanzo: se Guerra e pace è una denuncia così potente dell'invasione napoleonica della Russia lo è proprio perché Tolstoi ci fa vedere quei fatti attraverso lo sguardo del principe Andrej, di Marja Nikolaevna e degli altri personaggi che, pagina dopo pagina, finiamo col sentire vicini a noi, comprendendone le motivazioni individuali, gli slanci e le debolezze. Se la foto della “Vergine algerina” di Hocine o quella dell'anziana palestinese che cerca di difendere un ulivo dai soldati israeliani venuti a sradicarlo, di Abed Omar Qusini, smuovono le nostre coscienze è proprio perché ci fanno vedere una persona.

 Donna algerina - Hocine

Ulivo palestinese - Abed Omar Qusini
La nostra mente è fatta così: se diciamo “venti persone” riusciamo ancora facilmente a visualizzarle e a sentirne le individualità; se diciamo “seimila” il nostro giudizio si annebbia. Se poi diciamo “migliaia” o anche “centinaia”, allora entriamo nel vago più totale. Cosa sono “centinaia”? Trecento o novecento? O magari milleseicento?
Davanti a questi numeri imprecisi e approssimativi la nostra mente non ci permette più di vedere persone, ma masse indistinte. “Sei milioni di ebrei” sono molto meno reali e smuovono meno le nostre coscienze di quanto lo faccia il racconto individuale di Primo Levi in Se questo è un uomo.
Parlare di “centinaia di stupri” è un'ulteriore offesa fatta ad ognuna di quelle donne che hanno subito un'inaccettabile violenza.