Secondo
la formula classica, siamo ormai sotto
Natale
e infatti il Natale ci domina con le sue pubblicità di profumi e
gioielli, i suoi addobbi cittadini, la frenetica ricerca di regali
sempre più tecnologici e una generica celebrazione dell'inutile e
del superfluo, con la rassicurante scusa che tutto questo «fa bene
all'economia». È quindi normale che sulle pagine Facebook di molti
miei amici nord ed
est europei
ricominci ad apparire Babbo Natale, ovvero San Nicola, Sankt
Nikolaus, Saint Nicholas, Sveti Nikolaj, Sint Nicolaas, Άγιος
Νικόλαος,
o magari
Šventasis
Mikalojus, da noi meglio noto come omonimo di quel Nicola di Bari la
cui interpretazione di Piangerò
al Cantagiro del 1965 costituì uno dei momenti più alti della
creatività nostrana (se sei troppo giovane per ricordartene o anche
solo per sapere cos'era il Cantagiro fidati di me).
San
Nicola di Bari, dunque. Che con Bari non c'entrava assolutamente
niente fino a quel
giorno del
1087
in cui 62
marinai pugliesi
non ne rubarono le ossa da una chiesa ortodossa di Myra, città
che durante la vita del Nostro faceva parte della lega licia, nel
sud-ovest della Turchia. Più tardi, seguendo la grande tradizione
cattolica di furti feticisti, metà del suo scheletro fu peraltro
rubato ai baresi dai veneziani, ma non importa. Ciò che importa è
che con tutti i fanatici guerrafondai che si misero a passare da Bari
all'epoca delle crociate, San Nicola diventò sempre più popolare,
fino a diventare patrono della Lorena e di Amsterdam e a soppiantare
nientepopodimeno che Dio stesso presso le popolazioni nenezie della
Jamalia e della Nenezia, che lo chiamano Mikkulai. Per
i miei due o tre lettori che ignorassero cosa siano la Jamalia e la
Nenezia, ricordo che i due territori si trovano al nord degli Urali,
appena a ovest del Krasnojarsk o, se preferisci, a nord del
Chantia-Mansia.
Ma
dopo questo sfoggio di cultura geografico-wikipediana, torniamo
all'amico Nicola e in particolare alle sue abitudini natalizie.
Non
faccio per vantarmi, ma io San Nicola l'ho incontrato personalmente
di persona. Mo' ti racconto. Per uno di quegli strani impulsi che
spingono talvolta noi umani a compiere atti sconsiderati, una
quindicina di anni fai qualcuno
mi invitò
a partecipare a un festival teatrale nella ridente, ma mica tanto,
cittadina di Rovaniemi.
Il mio primo impulso alla ricezione della mail di invito fu
naturalmente di guardare su Wikipedia dove cacchio si trovasse quel
posto dal nome forse indonesiano, ma chissà
–
vai a sapere – forse
basco
o amazzone. È così che scoprii che Rovaniemi altro non è che la
capitale della Lapponia finlandese, anche se quelli che noi
chiamamo lapponi e che in realtà si chiamano sami la chiamano Sápmi.
Ora, sapendo noi tutti che il circolo polare artico si trova a
66°33'39''
di latitudine nord, grande fu la mia sorpresa vedendo che Rovaniemi
si trova a 66°30'08''!
—
Perbacco
– mi dissi –
ma quella differenza di 3' e 31'' indica chiaramente che quel posto è
a meno di 10 chilometri a sud del circolo polare!
E
infatti
così
è. Ciò che ignoravo era che proprio a cavallo (si fa per dire) del
circolo polare i rovaniemesi avessero messo su il Joulupukin
Pajakilä,
ovvero il villaggio di quel Santa Claus che altri non è che il
nostro amico San Nicola di Bari, Venezia e Myra. E gli organizzatori
del festival mi ci hanno portato.
Non
ti sorprenderà sapere che il luogo assomiglia molto più a un centro
commerciale che a un villaggio lappone. Forse ciò
che ti
sorprenderà è
invece
che circolo
polare
in finlandese si dica napapiiri
e soprattutto
che
la marca Napapijri,
sui prodotti della quale appare sempre una bandiera chissà perché
norvegese, sia stata
fondata alla fine degli anni '80 dall'italianissima ancorché
valdostana
Signora
Giuliana Rosset, che nel 2005 la vendette poi
all'americana
Vf Corporation. Ma smettiamo di divagare a torniamo a Santa Claus.
Dopo
avere vagato per un po' per la vasta zona commerciale dove era
possibile acquistare (pochi) oggetti dell'artigianato lappone e
(tantissimi) maglioni, pigiama, ciabatte, bicchieri, bottiglie, pile (nel senso di pail),
piatti, magliette e quant'altro con l'effigie di Babbo Natale, giunse
il momento di fare la sua conoscenza. Con un gruppetto di una dozzina
di colleghi entrammo nella sua casa. Prima di tutto attraversammo un
lungo corridoio lungo il quale si trovavano tutta una serie di enormi
ingranaggi
e ruote dentate in legno che giravano provocando rumori inquietanti.
Chiesi la ragione di quello strano armamentario e mi fu spiegato che
siccome
secondo
la tradizione locale durante la notte di Natale Santa Claus ha
l'obbligo di fare visita a tutte le case del mondo, rallenta il
movimento della Terra agendo
su quegli ingranaggi, in
modo che la notte duri più a lungo.
Attendemmo
alcuni minuti
davanti a una porta chiusa a lato della quale c'era una luce rossa,
poi
quando la
luce diventò verde potemmo entrare in un enorme stanzone nel quale,
attorniato da centinaia di pacchi e pacchetti infiocchettati, stava
seduto il Santo. A rischio di deluderti, devo dirti che non portava
il costume rosso inventato dal disegnatore statunitense Thomas Nast
nel 1862 per il settimanale Harper's
Weekly
e ripreso nel 1931 da Haddon Sundblom per una pubblicità della
Coca-Cola, bensì quello più dimesso di un cacciatore finlandese.
Per nostra fortuna parlava inglese, il che ci permise di scambiare
qualche banalità sulla pace nel mondo e sul mestiere del
marionettista che, come tutti sappiamo, offre abbondanti dosi di
felicità ai pargoli dei cinque continenti. È solo all'uscita che,
vedendo sui muri di un altro corridoio le foto nelle quali apparivamo
in compagnia del vecchio barbuto, foto in vendita a 25€ l'una, ci
rendemmo conto di quale fosse stata la vera finalità di quella
conversazione che si era protratta al di là del ragionevole.
In
questa stagione il vicino aeroporto funziona
al limite delle sue capacità a causa dei numerosi charter
provenienti da vari Paesi d'Europa, ma anche da Israele e dal
Giappone (!), che arrivano carichi di turisti desiderosi di vivere
un'esperienza come la mia, dormendo magari all'hotel Santa Claus
Holiday Village e gustando una bistecca di renna in uno dei
ristoranti di Rovaniemi. Tanto
per darti un'idea, l'anno scorso l'aeroporto ha accolto quasi 600.000
viaggiatori. Il che la dice lunga sullo stato delle connessioni
neuronali della razza umana, ma non importa.
Certo
di avere fatto cosa gradita mettendo a tua disposizioine tutte queste
preziose informazioni, mo' vado alla Coop a comprarmi un panettone.
P.S.
Come sempre, è solo dopo avere scritto questo post che ho cercato
un'immagine per illustrarlo. Mi sono così accorto con sconcerto che
ormai anche al mio amico di Rovaniemi è stato affibiato un ridicolo
copricapo rosso con un informe gilet dello stesso colore. O
tempora! O mores!