La Sala delle Pale dell'Accademia della Crusca
Stavo
leggendo un articolo di giornale quando sono incappato nell'aggettivo
gerosolimitani. Il contesto
rendeva chiaro che i gerosolomitani sono gli abitanti di Gerusalemme.
Lo ignoravo.
Mi
è allora venuto in mente che in Francia gli abitanti della città di
Charleville-Mézières si chiamano carolomacériens.
Chissà se in italiano si chiamano carolomaceriani, mi sono chiesto.
Ho cercato e non ho trovato. La cosa non mi ha stupito, visto che gli
italiani che conoscono anche
solo l'esistenza di
Charleville-Mézières sono pochi. La conosciamo noi marionettisti,
visto che è lì che si svolge il più importante festival di teatro
di marionette del mondo, e forse la conosce qualche specialista
rimbaldiano, ovvero amante
di Rimbaud, che di Charleville-Mézières è stato il più famoso
rampollo, o magari qualche dotto studioso della vita e delle gesta di
Carlo I Gonzaga, che oltre ad avere fondato quella città è stato
anche Duca sia di Mantova che del Monferrato. Ma è
vero che anche messi tutti
insieme, quei marionettisti e
quegli specialisti non
riempirebbero nemmeno mezzo
stadio di football di una squadra di Serie B.
Certe
volte però se non trovi subito una cosa su Wikipedia in una lingua è
possibile trovarlo cercando in
un'altra. Sono andato sulla pagina Wikipedia di Charleville-Mézières
in francese e ho trovato conferma del nome dei
suoi abitanti. La cosa che però mi ha incuriosito è stato che quel
nome, carolomacériens,
è definito come gentilé.
Ancora una parola sconosciuta. Ho cliccato su gentilé e
poi, vedendo che esisteva anche una pagina in italiano sulla stessa
parola sono andato a guardarmela. In italiano però mi si è aperta
una pagina intitolata Etnico (onomastica).
Il mistero si infittiva.
Ho
visto che in italiano l'etnico, o demotico, o patrionimico, o
antrotoponimo, è il nome o aggettivo che descrive come
vengono chiamati gli abitanti di un Paese, di un'area geografica, di
un insediamento urbano come frazioni, comuni, o città.
[…]
Talvolta si usa,
allo stesso scopo,
gentilizio,
(nome
gentilizio,
specie in riferimento alla classicità) che però, a rigore, è di
una famiglia o di una stirpe. Lo ctetico
in greco e latino era l'aggettivo etnico, per esempio
Gallicus e Germanicus;
oggi questa distinzione non è usata, se non per indicare l'aggettivo
riferito a cose, come romanesco invece di romano.
A
me queste cose piacciono un sacco. Non so perché, ma quando le
scopro godo come un grillo.
Così
mi sono letto tutta la pagina, nella quale sono presenti vari etnici
irregolari, sia nazionali che geografici e di città. Alcuni li
conosciamo tutti: sappiamo che un abitante del Bangladesh è un
bengalese, che uno dell'Azerbaigian
è un azero (anche
se in quel Paese vivono dei non-azeri come i gekad),
così come uno che viene dalla valle del Po gode del limnonimo padano
e un abitante delle Fiandre del coronimo fiammingo.
Sì,
vabbè, neanche
io
avevo mai sentito parlare di limnonimi (dal
greco λίμνη, acqua stagnante, palude, lago, e onimo)
e
di coronimi (dal
greco χώρα, regione, e onimo),
ma non importa. Anzi, è bello avere scoperto anche quelle due
parole. Ma soprattutto è bello avere scoperto che gli abitanti di
Città di Castello sono i tifernati (dal latino Tifernum,
antico nome della città), che quelli di Poggibonsi sono i bonizesi
(da Poggiobonizio, antico nome della città, derivato lui stesso da
tale Bonizzo Segni, signore del luogo) e che quelli di Grottaferrata
si chiamano criptensi per via di un gustoso aneddoto che ti
copio
integralmente:
quando,
nel 1004, San Nilo da Rossano ed i suoi seguaci presero possesso del
terreno rurale occupato da ruderi di una villa romana, che Gregorio I
dei Conti di Tuscolo aveva loro donato come residenza, notarono
subito un locale a volta quasi perfettamente conservato dotato di una
finestra con ferrata. Probabilmente il primo accampamento dei monaci
fu nei paraggi, se non all'interno, della “cripta” ferrata, che
diventò elemento caratterizzante del territorio: lentamente l'area,
che non aveva una denominazione specifica, prese nome di
Cryptaferrata.
Ma
soprattutto (soprattutto!) la mia piccola, inutile e quindi
goduriosissima ricerca mi ha fatto scoprire l'esistenza di un'opera
di Teresa Cappello e Carlo Tagliavini intitolata Dizionario
degli etnici e dei toponimi italiani,
che mi è parsa così indispensabile da volermela procurare
immediatamente in versione digitale al modico prezzo di 9,90€.
Su
Google ho trovato un pezzo dell'introduzione all'edizione
digitale, scritta dal Professor Paolo D'Achille, docente di
Linguistica italiana presso l’Università degli Studi Roma Tre,
nonché socio ordinario dell’Accademia della Crusca, direttore de
La
Crusca per voi,
periodico dell'Accademia) e responsabile del servizio di consulenza
della stessa. Il Professor D'Achille mi ha fatto salivare
informandomi che il Dizionario contiene un
repertorio vastissimo (circa 13.000 voci), pressoché completo dei
toponimi italiani (o, per meglio dire, dei poleonimi, cioè delle
denominazioni dei centri abitati, non limitandosi ai comuni, ma
comprendendo anche molte piccole frazioni), corredati dalle
denominazioni dei rispettivi etnici. Gli uni e gli altri sono forniti
sia nella forma italiana (spesso, nel caso degli etnici, più di
una), sia in quella dialettale (con indicazioni sulla pronuncia), e
ciò dimostra che l'opera è frutto di una ricerca (ampia e
accuratissima) condotta non solo in archivi e biblioteche, ma anche
“sul campo” (grazie a inchieste e interviste.
Sì,
lo so, uno che scrive usando tutte quelle parentesi e permettendosi
anche di mettere una e
dopo una virgola può apparire indigesto a molti. Soprattutto
nai talebani della lingua. Certo
non a me. A
me capita di usare la e
dopo una virgola, cerco solo di farlo quando ha un senso. A
questo
proposito
non
posso peraltro che
consigliarti la lettura dell'interessante post Uso
della virgola prima della congiunzione e,
di Marina Bongi, che troverai qui,
sul
sito della Crusca.
A proposito delle parentesi, ecco qui,
sempre
sullo stesso sito,
il post La
punteggiatura,
di Mara Marzullo, altrettanto istruttivo.
Adesso
basta, devo proprio andare a fare la spesa alla
Coopo colligiana (o collegiana, ché entrambi gli etnici sono
corretti).