I disastri della guerra
Incisione n° 36: Neppure
Stammi
bene a sentire: se ne hai la possibilità, cioè se non abiti troppo
lontano (e in questo caso “troppo” vuole dire molto, molto
lontano), mettiti subito un appunto da qualche parte e poi non
dimenticarti di salire in macchina e di andare a Bagnacavallo entro
il 19 novembre. No, non è che il 20 buttino giù Bagnacavallo, è
che tu devi andarci prima.
Bagnacavallo
è un paesino a una ventina di chilometri a ovest di Ravenna. Poco
meno di 17.000 anime, frazioni comprese, che vivono nella pianuira
romagnola. Un paese come tanti, neanche particolarmente bello. Però
tu devi andarci entro il 19 novembre perché lì, a Bagnacavallo, in
via Vittorio Veneto, c'è il Museo Civico e appese al muro del Museo
Civico ci sono delle meraviglie: i quattro cicli di incisioni di
Goya: Le tauromachie, I
Capricci, I disastri
della guerra e Le
Follie. Se
Tauromachie, Capricci e Follie sono stupendi, i Disastri sono
sconvolgenti. 80 capolavori,
un misto di acqueforti e acquetinte, lavorate anche al bulino a alla
puntasecca. 80 capolavori, sì,
ma in realtà un solo
capolavoro, un'opera multipla che si guarda come un libro.
Io
le ho scoperte tardi, nel '79. Guardavo un po' a caso dei libri su
una bancarella parigina e ne ho trovato uno, edito negli Stati Uniti,
dove c'erano tutte. L'ho pagato 28 Franchi, che oggi sarebbero poco
più di 4€, ma che allora ne valevano facilmente una trentina. Lo
so perché sulla prima pagina interna c'è ancora il prezzo scritto a
matita, 28F.
Una
dozzina di anni dopo ero a Varsavia, con una fidanzata polacca che si
chiamava Agata. Era domenica ed
eravamano andati a fare
quattro passi in un parco. Appena fuori dal parco c'era una galleria
d'arte, o forse un piccolo museo, non ricordo. All'esterno era
appeso un manifesto con delle
cose scritte in polacco, ma
ciò che dominava era il
dettaglio ingrandito di una delle incisioni. Siamo entrati, abbiamo
guardato tutto e quando siamo usciti ho capito che non ero più lo
stesso. Ho capito che avevo vissuto uno di quei momenti che ti
cambiano la vita. Come la prima volta che ho visto il Taj Mahal. O
come quando ho sentito la Wanderer Fantasie
di Schubert suonata dal vivo da Vladimir Ashkenazy. O come la volta
che ho mangiato un'incredibile zuppa inglese in un ristorante di
Ferrara. Ci sono momenti così: satori
(che, se non lo sapessi, è quella parola giapponese che
deriva da satoru,
rendersi conto, e che nel
buddismo zen indica l'esperienza del risveglio inteso in
senso spirituale, nel quale non ci sarebbe più alcuna
differenza tra colui che si "rende conto" e l'oggetto
dell'osservazione, dixit
Wikipedia). Quella
parola l'avevo scoperta molti anni prima, leggendo Ginsberg e poi
Kerouac.
Comunque
sia, devi andare a Bagnacavallo. I disastri della guerra
sono la più bella denuncia della guerra, la più forte, la più
densa, la più straordinaria mai concepita da mente umana. È un
sorprendente cocktail di crudo realismo, di fantasia, di allegorie e
di metafore. Goya ci ha lavorato per dieci anni, quando era già
diventato sordo in seguito a
una malattia che forse era sifilide e forse avvelenamento dal piombo
contenuto nei pigmenti dei colori che usava. Così nacquero le
Pinturas negras
esposte al Prado, dove c 'è
anche quel Cane sepolto nella sabbia
da brividi.
Da un lato Goya
portava avanti il suo lavoro
di “pittore del re”, carica che gli era stata conferita nel 1786;
dall'altro produceva capolavori che teneva nascosti, scandagliando
gli aspetti più oscuri dell'animo umano. I
Disastri furono
pubblicati solo dopo la sua morte, avvenuta a Bordeaux, dove si era
rifugiato per sfuggire alle persecuzioni di Ferdinando VII.
I
Disastri della guerra ci parlano
delle atrocità commesse dall'esercito napoleonico, che penetrò nel
Paese nel 1808 e ne fu cacciato a calci nel sedere nel '14. Sì, lo
so, ho sempre detestato con tutto il cuore il macellaio di Aiaccio,
l'arrogante nanerottolo la cui smisurata ambizione ha messo a ferro e
a fuoco vaste porzioni d'Europa provocando la morte di almeno 5
milioni di persone. È quindi naturale che un'opera
così antinapoleonica mi interessi particolarmente. Ma ciò che c'è
di straordinario in Goya è che il suo orrore per la guerra non si
ferma lì: il Disastro n° 58, intitolato Populaglia,
ritrae due spagnoli che infieriscono su un cadavere; il 44, Yo
lo vi, mostra che, mentre una
madre cerca di calmare il figliolo disperato, un curato scappa
tenendosi stretta la sua borsa; nel 71, Contra el bien
general, un essere mostruoso,
con ali da pipistrello e unghie da rapace scrive nuove leggi mentre
il popolo alle sue spalle si dispera.
Il
ciclo termina con due immagini, Morì la verità
e Se resuscitasse? Nella
prima la Verità è sul suo letto di morte, come una Madonna,
attorniata da grottesche figure ecclesiastiche. Nella seconda c'è
l'unico tratto di speranza di tutta la serie: la Verità forse un
giorno potrà risorgere.
Te
lo ripeto: devi andare a Bagnacavallo.