- Mica facile: fare un disegno per prendere in giro gli atei.
- Senza offenderli.
Dopo il
momento di orrore, di sdegno e di solidarietà, ecco arrivare
l'ondata dei ma. Lo ha capito bene Salman Rushdie, che in un discorso
all'Università del Vermont, il 14 gennaio diceva:
“Sono stufo di questo dannato gruppo del 'ma' e
quando sento qualcuno dire “sì credo nella libertà di parola,
ma…”, smetto di ascoltare.”Credo nella libertà di parola, ma
la gente dovrebbe comportarsi bene”. “Credo nella libertà di
parola, ma non dobbiamo offendere nessuno”. “Credo nella libertà
di parola, ma cerchiamo di non andare troppo lontano”. Il punto è
che se si limita la libertà di parola non è più libertà di
parola.”
Dopo
il massacro dei disegnatori e altri collaboratori di Charlie
Hebdo ora vediamo grandi
manifestazioni in vari paesi, morti, incendi di chiese e altri
orrori. E anche per i più moderati, quelli che partecipano al
dibattito senza per questo dare un qualsiasi sostegno alla violenza,
il punto centrale sembra essere la questione della possibilità o
meno di “offendere” dei credenti. Ciò che mi stupisce è che
nessuno sembra aver sollevato un altro problema, quello delle
“offese” quotidiane ai non credenti da parte dei credenti.
Metto
la parola “offese” tra virgolette perché non sono convinto che
sia quella giusta. Il vocabolario Treccani dà di offesa la seguente
definizione: danno
morale recato alla dignità di una persona (o di un’istituzione)
con atti o con parole,
il che forse non ci fa avanzare molto. Cos'è il danno? Sempre
secondo lo stesso vocabolario, danno è un termine
che si oppone direttamente a vantaggio, giovamento, utilità,
guadagno, per indicare l’effetto, soggettivamente considerato, di
tutto ciò che in qualche modo nuoce a persone, enti, cose.
E qui forse le cose diventano un po' più chiare.
È
evidente che le vignette satiriche di Charlie
Hebdo non
andavano a
vantaggio, giovamento, utilità, o
guadagno di
alcuna religione. Cabu, Wolinski e gli altri erano estremamente
critici non solo verso l'integralismo musulmano, ma anche verso
quello cristiano. La loro non era una posizione anti-islamica, caso
mai anti-religiosa.
Ma
lo era davvero? Non credo.
Gli
strali del settimanale satirico non erano diretti contro i credenti,
ma contro le aberrazioni, i fanatismi e le contraddizioni che ogni
religione assolutista porta inevitabilmente dentro di sé. Capisco
perfettamente che all'interno di quelle religioni ci siano dei
credenti che possono sentirsi offesi da prese di posizione così
critiche. Posso anche immaginare che alcuni di loro possano sentirsi
danneggiati da sberleffi atei. Ma permettetemi un momento di
semantica: il contrario di danno non è rispetto, è vantaggio. Il
fatto di rispettare qualcuno non implica affatto che non lo si possa
prendere per i fondelli. Non implica soprattutto la sottomissione a
dei diktat pseudo etici e pseudo morali che certi credenti vorrebbero
imporre al mondo intero.
Per
me, che non credo nell'esistenza di Dio, quella credenza è una
superstizione che va contro tutto ciò che penso. E non faccio
differenze tra islam, cristianesimo, ebraismo, animismo, voodoo,
induismo, shintoismo, o qualsiasi altra religione.
Vivendo
in un paese a grande maggioranza cristiana e avendo io stesso
ricevuto un'educazione intrisa di cristianesimo, è ovvio che almeno
da una cinquantina d'anni, da quando cioè ho smesso di credere, ho
avuto più occasioni di sentirmi “offeso” dal cristianesimo, in
particolare dal cattolicesimo, che da altre religioni. Vorrei allora
cercare di spiegare in cosa mi sento offeso.
Credo
che la cosa che mi offende di più, come essere umano, è constatare
i danni provocati dall'indottrinamento cattolico di tanti bambini
innocenti. Inculcare in bambini di tre, quattro anni, idee come il
peccato originale o l'esistenza dell'inferno mi pare un gesto di
estrema violenza, destinato inevitabilmnte a provocare gravi traumi
che molti poi non riusciranno mai a sormontare. Lasciarsi andare a
credenze ai miei occhi ridicole come il dogma della verginità post
partum di
Maria, di quella della creazione della donna a partire dalla costola
dell'uomo, di quella della bellezza e della nobiltà della sofferenza
purché al servizio di Dio mi sembra altrettanto grave. Chiamare
sacro un libro che dice che bisogna passare a fil di spada chi crede
in un altro Dio (Deuteronomio 13:16), che bisogna lapidare chi fa
“ciò che è male agli occhi del
Signore”
(Deuteronomio 17:5), mi sembra orribile. Inchinarsi davanti a un
panno — la Sindone — affermando che porta le
tracce del corpo del figlio di Dio quando è stato scientificamente
provato che quel panno è stato tessuto più di mille anni dopo la
morte di Gesù mi pare un insulto all'intelligenza.
A
proposito di insulti all'intelligenza: sia quante braccia di Santo
Stefano sono adorate come reliquie nelle chiese del mondo? 13. E
quante mani di San Gregorio? 7. E vogliamo parlare della reliquia del
Santo Prepuzio, che fu adorata a Calcata, in provincia di Viterbo,
fino al 1983, quando qualcuno la rubò? O delle corna di Mosé,
esposte secoli fa nella chiesa di san Marcello a Roma, delle lacrime
Gesù nella chiesa di Vendôme, in Francia, della vagina di santa
Gudula adorata ad Augusta, in Baviera, delle numerose ampolle piene
di latte della Vergine contro le quali inveì Calvino, chiedendosi se
la madre di Gesù fosse stata davvero una donna o una mucca?
Tutte
queste cose mi offendono. Come mi offendono tutte le guerre, i
massacri e le violenze fatte nel nome di questa o quest'altra
religione.
Quante
guerre sono state fatte nella storia del mondo in nome della non
esistenza di Dio? E quante in nome della sua esistenza? Quanti
eretici, quante streghe sono state bruciate in nome dell'ateismo?
Quanti scienziati sono stati condannati? Quanto popoli sono stati
cacciati dalle loro terre?
Mi
piacerebbe che ogni tanto, almeno ogni tanto, chi crede in un Dio si
fermasse un istante e si domandasse quanto quella sua fede, a partire
dal momento in cui non è più solo un affare privato ma diventa
parte integrante della struttura etica e giuridica di una società,
possa essere insultante, deprimente e soprattutto pesante,
quotidianamente pesante, per tutti quelli che in quel Dio non
credono.
Le
religioni da sempre si reputano depositarie esclusive della
spiritualità e del “vero” amore, trattando chi religioso non è
nel migliore dei casi con condiscendenza e nel peggiore con
disprezzo. Ti faccio un esempio. Qualche mese fa ho assistito a un
matrimonio cattolico. Durante la sua omelia il sacerdote ha sostenuto
che l'unico vero amore possibile è l'amore di Gesù. Poi, forse
accorgendosi di averla sparata un po' grossa, ha detto che ciò che
intendeva era che l'unico vero amore coniugale era quello del
matrimonio benedetto da Dio. Fossi stato meno educato e più
impulsivo sarei salito sull'altare a dare una sberla a quello stupido
prete che con le sue parole perfettamente offensive aveva appena
sostenuto che, in quanto non credente, ero incapace di amare
veramente. Quella stupidità e quell'arroganza, oltre tutto da parte
di qualcuno che, almeno ufficialmente, ha rinunciato per sempre
all'amore di coppia, mi ha davvero offeso.
E
mi chiedo: è mai possibile che i credenti non capiscano, non
riescano a capire quanto le loro credenze, appena vanno al di là
della sfera del privato, possano sembrarmi insultanti, quanti rospi
sia costantemente obbligato a ingoiare chi vede dei credenti
comportarsi in maniera ai suoi occhi così ridicola, ma anche così
dannosa per la società nella quale viviamo tutti insieme?
Prendere
in giro qualcuno non significa non rispettarlo, significa cercare di
addolcire la propria condizione umana con un po' di leggerezza. Con
che diritto qualcun altro si sente autorizzato a imporre dei limiti
alle mie prese in giro? Se qualcuno prende in giro me, magari in
maniera feroce, me ne vado, smetto di parlargli. Ma mai mi verrebbe
in mente di impedirgli di farlo. Perché i credenti non riescono a
comportarsi nello stesso modo? Mistero della fede.
Io resto d'accordo con Salman Rushdie: quando sento qualcuno dire “sì credo nella libertà di parola,
ma…”, smetto di ascoltare. Tutto qui.