Chikamatsu Monzaemon
Al Teatro Argentina
di Roma va in scena, ieri e oggi, uno dei testi più
importanti del teatro classico giapponese, Doppio suicidio a
Sonezaki (曾根崎心中, Sonezaki Shinjū), di Chikamatsu
Monzaemon.
Definito
talvolta "lo Shakespeare giapponese", Chikamatsu
(1653-1725) diventò famoso a Kyôto come autore di testi per il
teatro kabuki. Kabuki
si scrive in giapponese con tre
ideogrammi: 歌
(canto),
舞
(danza),
伎
(abilità
tecnica).
Ai
primi del '700, stanco del trattamento che numerosi attori facevano
subire ai suoi testi, Chikamatsu si trasferì a Osaka per lavorare
per il ningyô-jôruri,
ovvero quella particolare forma teatrale che mescola marionette (人形,
ningyô
= forma umana) da una parte e recitazione cantata (浄瑠璃,
jôruri
= recitazione drammatica cantata, accompagnata dallo shamisen)
dall'altra. Oggi quella forma viene chiamata bunraku,
nome che deriva dal teatro Bunrakuza,
fondato a Osaka nel 1805 dal grande marionettista Uemura Bunrakuken.
Ancora oggi è a Osaka che è basato il Teatro Nazionale Bunraku, che
produce un minimo di cinque spettacoli all'anno.
Una
cosa strana per noi occidentali è che mentre il kabuki,
teatro tuttora molto vivace, è essenzialmente un teatro di attori,
basato sulla loro bravura, che spesso li porta a prendere grandi
libertà rispetto al testo originale, il bunraku
è un teatro d'autore, basato su un grande rispetto per l'opera del
drammaturgo.
Ho
visto tre volte in vita mia compagnie di bunraku,
tra le quali il Teatro Nazionale, e l'ho sempre trovato molto meno
ostico sia del kabuki
che del nô,
l'altra forma classica giapponese.
Il
Doppio
suicidio
l'ho visto a un festival, in Francia, per puro caso pochi giorni dopo
averne letto il testo, nella traduzione di René Sieffert. Con il
testo ancora fresco in mente, ho avuto modo di apprezzare le varie
scene non solo nel loro valore estetico, coreografico e musicale,
come di solito avviene davanti a uno spettacolo esotico e dalla lingua incomprensibile, ma nella
loro drammaturgia. Il che mi ha fatto vivere un'esperienza
completamente diversa, lasciandomi l'impressione di un grandissimo
testo.
La
prima del Doppio
suicidio
ebbe luogo il 20 giugno 1703, esattamente un mese dopo che due
innamorati, Tokubyôé, figlio di un ricco mercante, e O.Hatsu,
giovane impiegata di un'okiya
(置屋,
casa delle geishe), si erano suicidati a Sonezaki, nell'allora
periferia di Osaka.
Il fatto aveva suscitato grande scalpore non solo a Osaka, ma anche a
Kyôto, al punto che in entrambe le città gli improvvisatori del
kabuki
se ne erano già ispirati.
Perché i due giovani si erano dati la morte?
Semplicemente perché Tokubyôé era stato promesso a una ricca
ereditiera, mentre O.Hatsu era in procinto di essere venduta a un
cliente che l'avrebbe portata lontano da Osaka.
Senonché Chikamatsu,
aggiungendo il personaggio del perfido Kuheiji, che priva Tokubyôé
della somma di duemila scudi d'argento che gli avrebbe permesso di
liberarsi dal suo impegno matrimoniale, sposta il centro di gravità
del dramma su un problema finanziario in un momento in cui il
Giappone cittadino vive una situazione che Sieffert definisce da
"società dei consumi". Chikamatsu fa così ciò che più
volte ha fatto Shakespeare: parte da un marginale fatto di cronaca
per parlarci della società in cui vive. Oltre tutto, fino ad allora
i personaggi principali del bunraku
erano sempre stati nobili e cortigiani del passato e mai quel tipo di
teatro si era occupato di storie contemporanee.
Formalmente,
il Doppio
suicidio
è anche importante perché è stato il primo spettacolo di bunraku
nel
quale il marionettista principale (dei tre che muovono ogni
marionetta), quello che muove la testa e il braccio destro del
pupazzo, non era più nascosto dentro un costume nero che gli copriva
anche la faccia, ma appariva perfettamente visibile al pubblico.
Purtroppo
la sola traccia che ho trovato su internet di una versione italiana
del testo è vetusta: pare la si trovi in un libro di Marcello
Muccioli del 1962, Il
teatro giapponese,
edito da Feltrinelli. Per i curiosi nonché poliglotti, esistono
invece traduzioni francesi, spagnole e inglesi.
Lo
spettacolo presentato all'Argentina è stato diretto da un regista
noto soprattutto come fotografo, Hiroshi Sugimoto, il cui portfolio è
visibile qui.
Non
ho visto lo spettacolo dell'Argentina, ma dalle foto di scena e da ciò che ne ho
letto non si tratta di una regia classica, né di marionette
classiche, bensì di un'interpretazione contemporanea ispirata alla
tradizione ma accompagnata da proiezioni di foto e video, il che mi
rende sempre molto sospettoso. Anche per questo non rimpiango di
essermene stato a casa con lo stramaledetto mal di schiena che mi
avrebbe comunque impedito di andare a Roma.
Un'ultima
cosa: noto sul sito della Japan
Foundation,
che è un po' il corrispondente giapponese della Dante
Alighieri
italiana, del Goethe
Institut
tedesco e dell'Institut
Français
francese, che il primo nome che appare nel cast dello spettacolo è
quello di Tsurusawa Seiji, che non è né il marionettista
principale, né il recitante-cantante, bensì il suonatore di
shamisen
(三味線
=
tre corde), lo strumento (molto) vagamente imparentato alla nostra
chitarra. Questo non deriva solo dal fatto che Turusawa sia stato
dichiarato "tesoro nazionale del Giappone", ma anche dalla
per noi inconsueta gerarchia all'interno del bunraku.
Se lo spettatore occidentale può avere l'impressione che sia la voce
del tayu
(太夫 =
recitante-cantante)
che accompagna o è accompagnata dai movimenti delle marionette, in
realtà è il suonatore di shamisen
che impone la sua volontà al tayu,
avendo perfino la possibilità di fargli ripetere una battuta o una
parte narrativa quando trova che questa non sia stata offerta al
pubblico in maniera soddisfacente. Anche questa (per noi) stranezza
rende il bunraku
così affasciante ai nostri occhi.
Non
so se questo mio post interessarà a qualcuno. Ma non fa mai male
dare un'occhiata a forme d'arte lontane da noi, che possono sempre
aiutarci a trovare in culture diverse dalla nostra cose che ci
accomunano piuttosto che separarci.