domenica 6 ottobre 2013

Un po' di teatro giapponese

Chikamatsu Monzaemon
 
Al Teatro Argentina di Roma va in scena, ieri e oggi, uno dei testi più importanti del teatro classico giapponese, Doppio suicidio a Sonezaki (曾根崎心中, Sonezaki Shinjū), di Chikamatsu Monzaemon.
Definito talvolta "lo Shakespeare giapponese", Chikamatsu (1653-1725) diventò famoso a Kyôto come autore di testi per il teatro kabuki. Kabuki si scrive in giapponese con tre ideogrammi: (canto), (danza), (abilità tecnica).
Ai primi del '700, stanco del trattamento che numerosi attori facevano subire ai suoi testi, Chikamatsu si trasferì a Osaka per lavorare per il ningyô-jôruri, ovvero quella particolare forma teatrale che mescola marionette (人形, ningyô = forma umana) da una parte e recitazione cantata (浄瑠璃, jôruri = recitazione drammatica cantata, accompagnata dallo shamisen) dall'altra. Oggi quella forma viene chiamata bunraku, nome che deriva dal teatro Bunrakuza, fondato a Osaka nel 1805 dal grande marionettista Uemura Bunrakuken. Ancora oggi è a Osaka che è basato il Teatro Nazionale Bunraku, che produce un minimo di cinque spettacoli all'anno.
Una cosa strana per noi occidentali è che mentre il kabuki, teatro tuttora molto vivace, è essenzialmente un teatro di attori, basato sulla loro bravura, che spesso li porta a prendere grandi libertà rispetto al testo originale, il bunraku è un teatro d'autore, basato su un grande rispetto per l'opera del drammaturgo.
Ho visto tre volte in vita mia compagnie di bunraku, tra le quali il Teatro Nazionale, e l'ho sempre trovato molto meno ostico sia del kabuki che del , l'altra forma classica giapponese.
Il Doppio suicidio l'ho visto a un festival, in Francia, per puro caso pochi giorni dopo averne letto il testo, nella traduzione di René Sieffert. Con il testo ancora fresco in mente, ho avuto modo di apprezzare le varie scene non solo nel loro valore estetico, coreografico e musicale, come di solito avviene davanti a uno spettacolo esotico e dalla lingua incomprensibile, ma nella loro drammaturgia. Il che mi ha fatto vivere un'esperienza completamente diversa, lasciandomi l'impressione di un grandissimo testo.
La prima del Doppio suicidio ebbe luogo il 20 giugno 1703, esattamente un mese dopo che due innamorati, Tokubyôé, figlio di un ricco mercante, e O.Hatsu, giovane impiegata di un'okiya (置屋, casa delle geishe), si erano suicidati a Sonezaki, nell'allora periferia di Osaka. Il fatto aveva suscitato grande scalpore non solo a Osaka, ma anche a Kyôto, al punto che in entrambe le città gli improvvisatori del kabuki se ne erano già ispirati. 
Perché i due giovani si erano dati la morte? Semplicemente perché Tokubyôé era stato promesso a una ricca ereditiera, mentre O.Hatsu era in procinto di essere venduta a un cliente che l'avrebbe portata lontano da Osaka. 
Senonché Chikamatsu, aggiungendo il personaggio del perfido Kuheiji, che priva Tokubyôé della somma di duemila scudi d'argento che gli avrebbe permesso di liberarsi dal suo impegno matrimoniale, sposta il centro di gravità del dramma su un problema finanziario in un momento in cui il Giappone cittadino vive una situazione che Sieffert definisce da "società dei consumi". Chikamatsu fa così ciò che più volte ha fatto Shakespeare: parte da un marginale fatto di cronaca per parlarci della società in cui vive. Oltre tutto, fino ad allora i personaggi principali del bunraku erano sempre stati nobili e cortigiani del passato e mai quel tipo di teatro si era occupato di storie contemporanee.
Formalmente, il Doppio suicidio è anche importante perché è stato il primo spettacolo di bunraku nel quale il marionettista principale (dei tre che muovono ogni marionetta), quello che muove la testa e il braccio destro del pupazzo, non era più nascosto dentro un costume nero che gli copriva anche la faccia, ma appariva perfettamente visibile al pubblico.
Purtroppo la sola traccia che ho trovato su internet di una versione italiana del testo è vetusta: pare la si trovi in un libro di Marcello Muccioli del 1962, Il teatro giapponese, edito da Feltrinelli. Per i curiosi nonché poliglotti, esistono invece traduzioni francesi, spagnole e inglesi.
Lo spettacolo presentato all'Argentina è stato diretto da un regista noto soprattutto come fotografo, Hiroshi Sugimoto, il cui portfolio è visibile qui.
Non ho visto lo spettacolo dell'Argentina, ma dalle foto di scena e da ciò che ne ho letto non si tratta di una regia classica, né di marionette classiche, bensì di un'interpretazione contemporanea ispirata alla tradizione ma accompagnata da proiezioni di foto e video, il che mi rende sempre molto sospettoso. Anche per questo non rimpiango di essermene stato a casa con lo stramaledetto mal di schiena che mi avrebbe comunque impedito di andare a Roma.
Un'ultima cosa: noto sul sito della Japan Foundation, che è un po' il corrispondente giapponese della Dante Alighieri italiana, del Goethe Institut tedesco e dell'Institut Français francese, che il primo nome che appare nel cast dello spettacolo è quello di Tsurusawa Seiji, che non è né il marionettista principale, né il recitante-cantante, bensì il suonatore di shamisen (三味線 = tre corde), lo strumento (molto) vagamente imparentato alla nostra chitarra. Questo non deriva solo dal fatto che Turusawa sia stato dichiarato "tesoro nazionale del Giappone", ma anche dalla per noi inconsueta gerarchia all'interno del bunraku. Se lo spettatore occidentale può avere l'impressione che sia la voce del tayu (太夫 = recitante-cantante) che accompagna o è accompagnata dai movimenti delle marionette, in realtà è il suonatore di shamisen che impone la sua volontà al tayu, avendo perfino la possibilità di fargli ripetere una battuta o una parte narrativa quando trova che questa non sia stata offerta al pubblico in maniera soddisfacente. Anche questa (per noi) stranezza rende il bunraku così affasciante ai nostri occhi.
Non so se questo mio post interessarà a qualcuno. Ma non fa mai male dare un'occhiata a forme d'arte lontane da noi, che possono sempre aiutarci a trovare in culture diverse dalla nostra cose che ci accomunano piuttosto che separarci.