Un mio continentale
lettore che non avesse mai osato avventurarsi sui flutti tirrenici a
bordo di un gigantesco ferry-boat grottescamente affrescato con i
volti ridenti di vari personaggi di cartoni animati, né avesse mai
commesso l'errore di lanciarsi in uno di quei viaggi aerei Ryanair
che, partendo da Pisa per Alghero alle sei del mattino, l'avrebbero
obbligato ad alzarsi come minimo alle tre, facendogli maledire non
solo tutti i Ryan ma anche tutti gli irlandesi della Terra per sette
generazioni, quel mio lettore, dicevo prima di lanciarmi in questa
mia frase così interminabile da far fremere di gelosia il cadavere
di Alexandre Dumas (che riposa dal 2002 sotto l'augusta volta di quel
parigino Panthéon che fu in realtà costruito come chiesa Di
Santa Genoveffa), potrebbe ignorare che la Sardegna non è solo
un'arida isola popolata da pecore e turisti, ma altresì una terra di
antica e vivace cultura.
Pur perfettamente
conscio del fatto che il mio riferimento a "pecore e turisti"
rischi di provocare nella mia sposa sassarese vive tentazioni di
uxoricidio (parola che uso dopo debita consultazione del vocabolario
Treccani, grazie al quale sono ora certo che la parola uxoricida
significhi anche "per estens., uccisore del coniuge (e quindi
anche, al femm., donna che uccide il proprio marito"),
non esiterò a portare avanti con coraggio questo post la cui idea mi
è venuta stamattina mentre, ancora a letto, cercavo una scusa
qualsiasi per distogliere la mia attenzione da un'indecente erezione
post-risveglio.
Cultura,
dunque. Parliamone.
Alcuni
giorni fa, camminando sul marciapiede di quella via cittadina che il
comune di Sassari ha deciso di dedicare alla memoria di Attilio
Deffenu, intellettuale, giornalista, sindacalista rivoluzionario,
nonché indipendentista nuorese (sì, la Sardegna, oltre a ottimi
pecorini e leccorniosissimi dolcetti produce anche indipendentisti
nuoresi), mi è capitato sotto gli occhi un gigantesco manifesto a
dominante nero-marrone sul quale erano stampate alcune parole
misteriose: Associazione culturale Abbì presenta:
Ciogghitta d'oro - gara di succiaddura di ciogga minudda.
Dopo
il primo attimo di sgomento davanti al nome che un'associazione
culturale aveva scelto di darsi, Abbì,
nell'evidente incapacità di arrivare fino alla lettera c,
non ho esitato a rivolgere uno sguardo interrogativo a quella moglie
originaria dell'isola che gli antichi greci chiamavano Hyknusa e che
mi camminava affianco (la moglie, non l'isola, of course),
la quale moglie si è affrettata a spiegarmi il significato di quelle
criptiche parole che mi guarderò bene dal definire dialettali onde
non correre il rischio di un'infausta emasculazione
mediante uso di un coltello di Santu Lussurgiu (Comune di 2500 anime in provincia di oristano) da parte della sopranominata
moglie.
Cominciamo
da ciogga, che altro
non è che una lumaca. E proseguiamo con minudda,
la cui forma maschile minuddu
è ovviamente vicina non solo allo spagnolo menudo,
al portoghese mendo,
al provenzale menut e
al francese menu, ma
anche all'italiano minuto,
nel senso di piccolo, come peraltro chiarito dall'etimo latino
minutus, derivato lui
stesso da minuere,
impicciolire (senza per questo tralasciare l'importanza del greco
minuntha, un
pochetto).
Chiarito
che ciogga minudda
significa lumachina, anche se in alcune regioni le si preferirebbe
chiocciolina, veniamo all'altra parola importante: succiaddura.
Poiché la sua etimologia va ricercata nel basso latino suctiare,
origine anche del francese sucer,
dello spagnolo chupar,
del portoghese chucar
e fors'anco dell'inglese suck,
pare ovvio che il suo corrispondente italiano sia succhiamento,
ancorché mi sia stato necessario riconsultare il peraltro
gradevolissimo e utilissimo vocabolario Treccani onde assicurarmi
dell'esistenza di questo lemma il cui uso, diciamolo pure, è
piuttosto limitato al di fuori di quella cerchia di individui di ambo
i sessi impegnati in attività fisiche sulle quali il mio naturale
pudore mi impedisce di attardarmi.
Ma
torniamo al manifesto, che aveva ancora in serbo un paio di perle. La
prima era l'annuncio di una mostra intitolata La ciogghitta
nella cultura sassarese dal Medioevo all'età Contemporanea,
titolo decisamente promettente e invitante. La seconda era
l'informazione che i due presentatori della serata che si sarebbe
svolta in piazza S. Caterina (non
si sa se si tratti di Caterina da Siena, di quella d'Alessandria, di
quella dello Ionio, di Caterina Valfurva, di Caterina Villarmosa, o
di caterina Albanese, ma non importa), i due presentatori, dicevo prima di
interrompermi da solo, facevano parte della compagnia teatrale Bobo
Scianèl, il che fa ovviamente brillare la vita culturale sassarese di una luce tutta sua.
Avrei
forse potuto resistere all'imperioso quanto prepotente desiderio che
mi ha invaso l'anima alla lettura del manifesto che mi offriva anche
la possibilità di andare sul sito www.ciogghittadoro.it, sul quale
troverai alcune immagini dell'edizione 2012 della prestigiosa gara?
Certo che no.
Ma
di quella serata non ti racconterò nulla. Ti suggerisco solo di
contattare già da oggi uno degli organizzatori, se non addirittura
(da scriversi sempre con due t, poiché derivante da a
dirittura) un
qualsiasi membro del R.I.S.S., Reparto Investigativo Succhiatori
Sassaresi (giuro che non sto inventando niente), onde annullare
immediatamente le vacanze 2014 a Bali rimpiazzandole con un
inestimabile viaggio culturale nell'isola che, oltre a tutto il
resto, ha anche il privilegio di servire da contorno a vari
possedimenti del pregiudicato Berlusconi Silvio, nonché ad ospitare
regolarmente sulla più smeraldina delle sue coste il sempre meno
comico e sempre più demente Grillo Giuseppe.
Detto
questo, vado a riprendermi un caffé al bar, accompagnandolo con ciò che viene qui chiamato
"frittella con la crema", ma è conosciuto nel resto del mondo come bombolone, bomba, o krapfen,
e che però i tedeschi del nord chiamano Berliner Pfannkuchen, gli ungheresi fánk, i portoghesi Bola
de Berlim,
i finlandiesi berliininmunkki,
i cechi kobliha,
glii slovacchi šiška,
i messicani
berlinesa,
i norvegesi berlinerbolle,
gli argentini bola
de fraile,
i canadesi e alcuni statunitensi bismarck, i polacchi pączek
e i bolzanini Faschingskrapfen, cioè krapfen del Carnevale, perché, in un collettivo quanto masochistico impulso, hanno da tempo deciso di privarsene il resto dell'anno (il che la dice lunga sui bolzanini, ma di questo parleremo un'altra volta) .