domenica 4 agosto 2013

La cosa più bella del mondo


Visto che non più tardi di ieri ho preso la brillante iniziativa di scrivere un post su un libro di cui avevo solo letto il primo capitolo, continuiamo su questa brillante scia; o almeno prendiamola a pretesto per scrivere su qualcos'altro.
Il libro che mi sono comprato oggi è Da zero a infinito - La grande storia del Nulla, di John D. Barrow. L'autore è un matematico e astrofisico inglese con doppia laurea, che si è poi specializzato a Berkely, prima di andare a insegnare a Cambridge. Oltre ad aver ricevuto il premio Templeton per "i suoi scritti sulla relazione tra la vita e l'universo, e sulla natura della consapevolezza umana [che] ha prodotto nuove prospettive sulle questioni centrali riguardo alla scienza e alla religione", è anche l'autore del testo teatrale Infinities, che ricevette il premio Ubu nel 2002 come spettacolo dell'anno (regia di Luca Ronconi).
Si deve anche a Barrow "l'effetto Groucho Marx", che è una bella cosa. Groucho disse che non avrebbe mai voluto far parte di un club che avesse accettato uno come lui come membro. Partendo da quell'idea del grande filosofo baffuto, Barrow la applica alla cosmologia e scrive: "Un universo così semplice da essere capito è troppo semplice per produrre menti capaci di capirlo." Il che è una bella cosa.
Ma veniamo al dunque.
In realtà un post sul tema che mi appresto a trattare (e di cui quanto precede non era che un disinvolto prologo) l'avevo già scritto qualche giorno fa. Poi però, trovando che non riuscivo a dire bene quel che volevo dire, l'avevo messo da parte. L'acquisto di questo libro mi ha dato voglia di spacciartelo per nuovo, con qualche piccola modifica. 
Eccoècquà ciò che scrivevo qualche giorno fa (il che fa un bel verso di tredici piedi con rima interna, come avrai notato).

Una decina di giorni fa con Elena siamo andati a fare un giro in barca al largo della costa sud-est della Sardegna, sopra Arbatax. Costa impervia, da far impallidire Tristan da Cunha e Pitcairn; mare da urlo, da rendere gelosa Ua Pou; sole spaccasassi, da far fremere di rabbia The Valley.
Detto questo, è vero che non sono e non saranno mai dei paesaggi naturali a farmi davvero fibrillare di piacere ululando alla luna piena anche se non c'è. Ne parlavamo l'altra sera a cena, mentre Elena si sbafava uno spaghetto alla bottarga e io cercavo invano di convincermi di non inghiottire contemporaneamente otto culurgiones ogliastrini fatti rigorosamente a mano, con salsa al pomodoro, e una bottiglia di Vermentino mosso come si deve.
Le cose che mi fanno veramente fibrillare di piacere sono e saranno sempre cose create dall'uomo. Non mii emozionano solo le piramidi di Tikal, la crocefissione di Grünewald, o la pagoda Shwedagon di Rangoon, ma anche il meccanismo di un orologio artigianale, un haiku di Bashō, una canzone di Woody Guthrie, o il gesto di una pastaiache prepara ravioli di ricotta e spinaci.
Avendo avuto la fortuna di viaggiare un bel po' in giro per il mondo, mi sono sentito chiedere più di una volta quale fossa la cosa più bella che avessi visto. Ho spesso risposto che quella cosa era il Taj Mahal, l'incredibile monumento funerario sulle rive della Yamuna, che Shah Jahan fece innalzare in memoria della sua amata Mumtaz (mandando così quasi in rovina il regno, ma questa è un'altra storia).
Ma, sarà perché proprio in questi giorni sto leggendo un bel libro su Fibonacci (I numeri magici di Fibonacci, di Keith Devlin), voglio dire una volta per tutte che la più bella cosa che abbia mai visto al mondo è un'altra: lo 0.
Più ci penso e più mi dico che lo 0 è in assoluto la più bella, miracolosa, intelligente, raffinata, perfetta... scoperta? invenzione? Vecchio problema, quello di sapere se la matemica esista di per sé, nel qual caso l'Uomo l'avrebbe scoperta, o se sia una creazione umana. Ma non importa.
Non c'è Pitagora che tenga, non c'è Fermat, non c'è Eulero, non c'è nemmeno Gödel che tenga, per me il più grande matematico di tutti i tempi è senza dubbio possibile Brahmagupta (597 - 668), l'indiano che per primo definì lo 0 come lo conosciamo ancora oggi.
Non c'è filosofia né religione al mondo che offra un terreno di meditazione superiore a quello dello 0. Non c'è opera d'arte in grado di avvicinare la bellezza e la profondità dell'intuizione di Brahmagupta.
Lo 0 è la cosa più meravigliosamente incomprensibile del mondo, la più affascinante, la più intrigante, la più misteriosa. Solo un induista poteva scoprirlo.
L'induismo, nella sua forma più nobile, quella vedica, è probabilmente l'unica religione mai inventata a non prevedere un Dio. Ciò che esiste per gli induisti vedici è brahman, che si può tradurre in maniera molto approssimativa come principio divino, o come la realtà del tutto, ciò di cui ogni cosa (e ogni non-cosa) fa parte. Verrebbe da pensare allo 0 come al contrario del brahman, ma quella sarebbe solo una scorciatoia della mente: in realtà la bellezza dello 0 risiede proprio nel suo assoluto non-essere, al punto di non essere nemmeno l'opposto del tutto (ché sennò sarebbe qualcosa...).
Pensare allo 0 è una cosa estremamente complessa e riposante. Capire lo 0 è impossibile. Usare lo 0 è ovviamente indispensabile, non solo in matematica, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Lo 0 è il capolavoro assoluto della mente umana, il punto limite nel quale la ragione tocca l'indicibile.

Ahimé, quando mi prende di scrivere questo tipo di cose mi sento subito un po' ridicolo, quindi la smetto. Spero solo che il libro di Barrow avrà parole più belle delle mie e che mi farà passare qualche ora deliziosa in compagnia dell'amato 0. Non fosse così, ci resterei molto male.