Visto
che non più tardi di ieri ho preso la brillante iniziativa di
scrivere un post su un libro di cui avevo solo letto il primo
capitolo, continuiamo su questa brillante scia; o almeno prendiamola
a pretesto per scrivere su qualcos'altro.
Il
libro che mi sono comprato oggi è Da zero a infinito - La grande
storia del Nulla, di John D.
Barrow. L'autore è un matematico e astrofisico inglese con doppia
laurea, che si è poi specializzato a Berkely, prima di andare a
insegnare a Cambridge. Oltre ad aver ricevuto il premio Templeton per
"i suoi scritti sulla relazione tra la vita e
l'universo, e sulla natura della consapevolezza umana [che] ha
prodotto nuove prospettive sulle questioni centrali riguardo alla
scienza e alla religione",
è anche l'autore del testo teatrale Infinities,
che ricevette il premio Ubu nel 2002 come spettacolo dell'anno (regia
di Luca Ronconi).
Si
deve anche a Barrow "l'effetto Groucho Marx", che è una
bella cosa. Groucho disse che non avrebbe mai voluto far parte di un
club che avesse accettato uno come lui come membro. Partendo da
quell'idea del grande filosofo baffuto, Barrow la applica alla
cosmologia e scrive: "Un universo così semplice da
essere capito è troppo semplice per produrre menti capaci di
capirlo." Il che è una
bella cosa.
Ma
veniamo al dunque.
In
realtà un post sul tema che mi appresto a trattare (e di cui quanto
precede non era che un disinvolto prologo) l'avevo già scritto
qualche giorno fa. Poi però, trovando che non riuscivo a dire bene
quel che volevo dire, l'avevo messo da parte. L'acquisto di questo
libro mi ha dato voglia di spacciartelo per nuovo, con qualche
piccola modifica.
Eccoècquà
ciò che scrivevo qualche giorno fa (il che fa un bel verso di
tredici piedi con rima interna, come avrai notato).
Una decina di giorni fa con Elena siamo andati a fare un giro in barca al largo della costa sud-est della Sardegna, sopra Arbatax. Costa impervia, da far impallidire Tristan da Cunha e Pitcairn; mare da urlo, da rendere gelosa Ua Pou; sole spaccasassi, da far fremere di rabbia The Valley.
Detto
questo, è vero che non sono e non saranno mai dei paesaggi naturali
a farmi davvero fibrillare di piacere ululando alla luna piena anche
se non c'è. Ne parlavamo l'altra sera a cena, mentre Elena si
sbafava uno spaghetto alla bottarga e io cercavo invano di
convincermi di non inghiottire contemporaneamente otto culurgiones
ogliastrini fatti rigorosamente a mano, con salsa al pomodoro, e una
bottiglia di Vermentino mosso come si deve.
Le
cose che mi fanno veramente fibrillare di piacere sono e saranno
sempre cose create dall'uomo. Non mii emozionano solo le piramidi di
Tikal, la crocefissione di Grünewald, o la pagoda Shwedagon di
Rangoon, ma anche il meccanismo di un orologio artigianale, un haiku
di Bashō, una canzone di Woody Guthrie, o il gesto di una pastaiache
prepara ravioli di ricotta e spinaci.
Avendo
avuto la fortuna di viaggiare un bel po' in giro per il mondo, mi
sono sentito chiedere più di una volta quale fossa la cosa più
bella che avessi visto. Ho spesso risposto che quella cosa era il Taj
Mahal, l'incredibile monumento funerario sulle rive della Yamuna, che
Shah Jahan fece innalzare in memoria della sua amata Mumtaz (mandando
così quasi in rovina il regno, ma questa è un'altra storia).
Ma,
sarà perché proprio in questi giorni sto leggendo un bel libro su
Fibonacci (I numeri magici di Fibonacci, di Keith Devlin),
voglio dire una volta per tutte che la più bella cosa che abbia mai
visto al mondo è un'altra: lo 0.
Più
ci penso e più mi dico che lo 0 è in assoluto la più bella,
miracolosa, intelligente, raffinata, perfetta... scoperta?
invenzione? Vecchio problema, quello di sapere se la matemica esista
di per sé, nel qual caso l'Uomo l'avrebbe scoperta, o se sia una
creazione umana. Ma non importa.
Non
c'è Pitagora che tenga, non c'è Fermat, non c'è Eulero, non c'è
nemmeno Gödel che tenga, per me il più grande matematico di tutti i
tempi è senza dubbio possibile Brahmagupta (597 - 668), l'indiano
che per primo definì lo 0 come lo conosciamo ancora oggi.
Non
c'è filosofia né religione al mondo che offra un terreno di
meditazione superiore a quello dello 0. Non c'è opera d'arte in
grado di avvicinare la bellezza e la profondità dell'intuizione di
Brahmagupta.
Lo
0 è la cosa più meravigliosamente incomprensibile del mondo, la più
affascinante, la più intrigante, la più misteriosa. Solo un
induista poteva scoprirlo.
L'induismo,
nella sua forma più nobile, quella vedica, è probabilmente l'unica
religione mai inventata a non prevedere un Dio. Ciò che esiste per
gli induisti vedici è brahman,
che si può tradurre in maniera molto approssimativa come principio
divino,
o come la realtà del tutto, ciò di cui ogni cosa (e ogni non-cosa)
fa parte. Verrebbe da pensare allo 0 come al contrario del brahman,
ma quella sarebbe solo una scorciatoia della mente: in realtà la
bellezza dello 0 risiede proprio nel suo assoluto non-essere, al
punto di non essere nemmeno l'opposto del tutto (ché sennò sarebbe
qualcosa...).
Pensare
allo 0 è una cosa estremamente complessa e riposante. Capire lo 0 è
impossibile. Usare lo 0 è ovviamente indispensabile, non solo in
matematica, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Lo
0 è il capolavoro assoluto della mente umana, il punto limite nel
quale la ragione tocca l'indicibile.
Ahimé,
quando mi prende di scrivere questo tipo di cose mi sento subito un
po' ridicolo, quindi la smetto. Spero solo che il libro di Barrow
avrà parole più belle delle mie e che mi farà passare qualche ora
deliziosa in compagnia dell'amato 0. Non fosse così, ci resterei
molto male.