lunedì 31 dicembre 2012

Mi sono letto l'Agenda Monti

Mi sono letto l'Agenda Monti. Per curiosità. Perché i giornali ne parlano, o ne hanno parlato molto, ma senza entrare nei dettagli.
Prima sorpresa: ho avuto l'impressione di capire quel che c'era scritto. Non sarà granché, ma è già qualcosa.
Tra le cose che ho capito, o, se vogliamo restare più modesti, che mi è sembrato di capire, c'è il fatto che “il Professore”, sforzandosi di rendere le sue parole comprensibili, abbia voluto dare prova di un certo rispetto verso i cittadini, fatto di per sé degno di nota nel panorama politico italiano.
Ho capito anche che una buona parte del testo si applica a non affrontare solo problemi economico-finanziari, ma anche culturali. Non parlo di cultura nel senso di patrimonio culturale, né di creazione artistica (assente dall'agenda), ma di cultura politica, ovvero di quella cosa che forse fa più danni a livello nazionale.
Ho trovato un linguaggio pacato e concreto, privo di anatemi e isterie, che non sempre diceva cose alle quali mi sento di aderire, ma che almeno le diceva su un tono che lasciava spazio alla discussione e alla contraddizione. Un linguaggio soprattutto privo di arroganza e libero dal vizio, tipico dei politici italiani, di proclamare pseudo-verità con la delicatezza di un fucile d'assalto in vendita in un'armeria del Kentucky.
Sono “montiano”? No, non lo sono. Ma proprio questo è il punto: il testo di Monti è interessante (che l'abbia scritto lui o Ichino, o qualcun altro, poco importa) perché non sembra essere alla ricerca di un'adesione ideologica, ma di un'eventuale adesione a un programma.
Io vivo in un comune di 13.000 anime in totale dissesto economico. Dieci anni di gestione PD hanno creato debiti per una decina di milioni di euro. Alle ultime elezioni è ancora il PD che ha vinto, dopo aver “scomunicato” un certo numero di membri che avevano dato vita a una lista alternativa (per la quale ho votato). Poco prima delle elezioni, al bar, ho sentito dei pensionati che dicevano: “Io voto per il Partito perché ho sempre votato per il Partito”. E infatti il Partito, quello stesso che ha creato il dissesto che ora pagheremo per anni, ha ancora la maggioranza.Perché molti di quelli che avevano sempre votato per il Partito lo hanno votato un'altra volta.
In questi giorni Bersani, candidato di quello stesso Partito, che continuo a scrivere con la P maiuscola come lo faccio con la Madonna (non solo quella che canta, anche l'altra), insiste perché Monti “faccia chiarezza” e “si posizioni”. Ovvero, di fronte a un programma scritto, quel che manca a Bersani è sapere se Monti “si posiziona” a destra o a sinistra. Ma non può leggersi l'Agenda? Il fatto che Monti si schieri con l'una o l'altra parte è davvero una pregiudiziale indispensabile? E indispensabile a che cosa? Alla possibilità di un'eventuale alleanza post-elettorale con una o l'altra delle due parti che, avendoci governato negli ultimi 70 anni, ci hanno portato al disastro attuale? Questa concezione della politica mi pare a dir poco arcaica, controproducente, assolutamente arrogante e distante dalle preoccupazioni dei cittadini almeno quanto Trento lo è da Palermo, o Monteserrat Caballé da Kate Moss.
L'Italia è un paese in crisi, su questo siamo tutti d'accordo, ma di che crisi si stratta? Crisi economica o crisi culturale? Qual è il maggior danno da riparare dopo il lungo periodo berlusconiano, ma anche, se vogliamo guardare un po' più in là, dopo il quarantennio democristiano e il particolarmente infausto quadriennio craxiano? A mio modesto avviso, quel danno è innanzitutto culturale: cultura del potere lontano dal popolo, cultura della casta, cultura di nani e ballerine, cultura della diffidenza verso lo Stato, cultura del qualunquismo, cultura dell'assenza di vere ambizioni collettive, cultura della burocrazia.
Monti, dal quale, insisto, un oceano di convinzioni mi separa, è comunque qualcuno che ha parlato degli evasori fiscali come di gente che ruba nelle tasche degli altri, qualcuno che dimostra di essere al di fuori della casta e di rifiutarne i comportamenti, qualcuno che sembra voler affrontare quei problemi culturali che sono la spina dorsale della distanza della gente dallo Stato. Vogliamo continuare a ripeterci, come una nenia auto-consolatrice, che saranno politici come Bersani e Rosy Bindi ad essere in grado di farci cambiare rotta? Oppure pensiamo davvero che una risposta ai problemi attuali possa portarcela su un vassoio d'argento Beppe Grillo, o che davvero la soluzione sia un Nichi Vendola che non potrà mai essere altro che un partner minoritario?
Ciò che finisce per farmi provare una certa simpatia per Monti è un po' la stessa cosa che aveva finito un paio di mesi fa per farmi provare nonostante tutto una certa simpatia per Renzi: la boria e l'aggessività di quella classe politica imperante e fallimentare che si sente improvvisamente messa in pericolo da un modo di fare diverso.
Ora, io credo che ciò di cui abbiamo più profondamente e urgentemente bisogno sia proprio un modo di fare diverso. Magari poi scopriremo che anche quel modo di fare non riuscirà a riportarci a galla. Ma di fronte alla certezza che il vecchio modo di fare non farà che riprodurre all'infinito moduli comportamentali disastrosi non vale forse la pena di correre qualche rischio?
Vorrei aggiungere un piccolo appunto. Quando, quattro anni e mezzo fa, sono tornato a vivere in Italia dopo 35 anni di Francia, due sono le cose che più mi hanno colpito alla lettura quotidiana dei giornali: l'impressione che per i politici nazionali sia normale sostenere sempre che se uno dice una cosa lo fa perché in realtà ne pensa un'altra e la necessità viscerale di fare di qualsiasi piccola dichiarazione politica, meglio se faziosa, un avvenimento importante e “estremamente grave”. La politica e la stampa italiane sembrano vivere in continua agitazione, nuotando in mari di adrenalina e testosterone, senza nemmeno prendere in considerazione la possibilità di un modo più pacato, ragionevole, rispettoso e magari elegante di vivere insieme. I politici italiani mi sembrano afflitti da un disarmante infantilismo. Sembrano bambini che litigano per le caramelle, straccivendoli che cercano ogni motivo per prendersi a botte, ultras da stadio, con in più un tale livello di autocompiacimento da far ingelosire un imperatore cinese del XIV secolo. Non so se guardandosi allo specchio al mattino mentre si lavano i denti si ripetano venti volte “Ho ragione io! Ho ragione io! Ho ragione io!”, ma quella è senz'altro l'impressione che danno. E il danno è immenso.