venerdì 30 dicembre 2011

Vecchi amici

Helen e Jules Rabin

Il mio vecchio amico Avram mi ha mandato stamattina una bella notizia via Facebook. Avram faceva parte della compagnia del Bread and Puppet Theater quando c'ero anch'io, nei primi anni '70. Abitavamo a Plainfield, nel nord del Vermont, in una fattoria prestata dal Goddard College, una scuola nota per la sua politica alternativa e “liberal, come si dice laggiù.
La notizia di stamattina riguardava non Avram, ma un altro vecchio amico, anzi una coppia di vecchi amici, Jules e Helen Rabin. Helen insegnava storia dell'arte, Jules antropologia. Un giorno, verso il 1972, si sono comprati un pezzo di terra non lontano dal college e si sono costruiti una casa. Quando dico che se la sono costruita intendo dire che se la sono proprio costruita con le loro mani, all'americana, con il solo aiuto di un amico falegname. Poi, una volta finita la casa, hanno deciso di cambiare mestiere e, da professori, sono diventati panettieri. Il che è una gran bella cosa. Si sono fabbricati un forno a legna e sono andati avanti per una quarantina d'anni vendendo pane cotto al lievito naturale. Poi qualche anno fa sono andati in pensione. Ne avevano diritto, visto che Jules ha ormai 87 anni e Helen pochi meno.
Ma da una cosa non sono andati e non andranno mai in pensione: l'impegno politico, fondamentalmente pacifista, che già dagli anni '60, a New York, li aveva messi in contatto con artisti come Peter Schumann, Merce Cunningham, Pete Seeger, Bob Dylan, John Cage e altri.
Avram mi ha mandato un link verso il sito della Vermont Public Radio,sul quale si parla di Helen e Jules (http://www.vpr.net/news_detail/92856/war-over-staging-final-vigil/).
Cos'hanno fatto i due vecchi pacifisti? Prendendo atto del ritiro degli ultimi soldati americani dall'Irak, hanno interrotto, dopo nove anni, le loro piccole manifestazioni personali, settimanali e antimilitariste. Come sarebbe a dire, manifestazioni personali, mi chiederà l'impegnato lettore, abituale frequentatore di oceanici raduni di fronte a San Giovanni in Laterano, la cui utilità è peraltro non dissimile da quella di un'aspirina nella cura del morbo di Parkinson? Un po' di calma, adesso vi spiego.
La casa dei Rabin è a una ventina di chilometri dalla città di Montpelier, capitale dello Stato del Vermont. Montpelier è una città di 7855 abitanti (censimento 2010). Sì, avete letto bene: settemilaottocentocinquantacinque abitanti. È vero che in tutto il Vermont di abitanti ce n'è meno che a Palermo e che la città più popolosa dello Stato, Burlington, ne ha appena mille più di Alghero...
Montpelier insomma non è proprio New York. È un posto che conosco abbastanza bene, organizzato attorno al crocevia tra Main street e State Street. Su Main street ci sono il teatro, la farmacia, il Coffee corner e il ristorante cinese; su State street ci sono il parlamento, il museo e l'ufficio postale. Ed è proprio davanti all'ufficio postale che, da nove anni a questa parte, tutti i venerdì verso mezzogiorno, arrivavano in macchina Helen e Jules Rabin. Parcheggiavano, tiravano fuori i cartelli che avevano preparato e si mettevano lì, immobili, sul marciapiedi, per un'oretta, mentre, ci dice il sito della radio, “the lunchtime crowd streamed by”, cioè la folla dell'ora di pranzo passava (anche se non è chiaro quale folla possa esserci in un paese di settemilaottocentocinquantacinque anime). Poi, come ogni venerdì, qualche simpatizzante veniva a mettersi di fianco, in piedi, senza parlare, semplicemente per testimoniare solidarietà. Questo succedeva tutte le settimane, anche quando, come in questo momento, le temperature medie erano di -3° per le massime (!) e -10° per le minime (con punte, sempre per questa settimana, di -14° per le massime (!!) e -19° per le minime).
La notizia mi ha colpito perché di quelle manifestazioni, a suo tempo, ne avevo fatte anch'io, proprio a Montpelier. Era il dicembre del 1972. Nixon aveva ordinato poco prima di Natale una serie di nuovi bombardamenti sul Nord-Vietnam. A Montpelier, come ogni anno, in Main street era stato messo un presepe con delle statue di taglia umana. C'era la capanna con dentro Giuseppe, Maria, il bambinello, l'asino e il bue e c'erano, credo, due o tre pastori e un angelo. Io per un paio di settimane me ne andavo a Montpelier in autostop. Arrivato al presepe mi infilavo una palandrana nera sopra i numerosi maglioni e giacche necessari per resistere al freddo, mi coprivo la faccia con una maschera grigia di donna vietnamita, mi infilavo dei guantoni pelosi di dimensioni gigantesche, entravo fisicamente nello spazio del presepe e me ne stavo lì per un'ora, immobile come una statua, con il solo scopo di mettere il Vietnam all'interno delle celebrazioni natalizie. Poi, quando sentivo suonare l'una, mi toglievo maschera e costume e me ne andavo a farmi un grog al bar di fronte, prima di tornarmene in autostop alla fattoria. Credo di essere andato avanti quotidianamente per almeno tre settimane, cioè per la durata della campagna di bombardamenti, che finirono col fare più di 1500 vittime civili.
Spesso, mentre me ne stavo lì immobile a guardare i rari passanti attraverso i buchi degli occhi della maschera, sentivo che qualcuno mi salutava e certe volte mi accorgevo che qualcuno si fermava e veniva a mettersi anche lui, o lei, dentro il presepe con me. Altre volte invece un passante mi insultava, o sputava per terra. Ricordo che una volta Helen e Jules, che erano venuti a Montpelier a far compere, si misero anche loro di fianco a me.
Insomma, non voglio farla lunga, ma la notizia mandatami da Avram mi ha colpito. Naturalmente ci sarà chi dirà che questo tipo di manifestazione individuale non serve a niente. Può darsi.
Può darsi però che a qualcosa serva, se non altro a far abbassare il livello di testosterone del dibattito politico, sempre così smisuratamente elevato. Può darsi che serva come serve il silenzio, a dire cose che la voce non può dire. Può darsi che sembri non servire a niente a chi l'osserva da lontano, ma quarant'anni dopo io continuo a pensare che almeno a me sia servita a qualcosa. Anche per questo mi ha fatto un immenso piacere sapere che il vecchio Jules e la vecchia Helen erano ancora lì, venerdì scorso, come tanti anni fa.
È così che mi è venuta voglia di raccontarvi questa storia da niente come regalo di buon anno.