venerdì 11 novembre 2011

Addio sogni di gloria


Nei momenti difficili è sempre bene fermarsi un momento per andare a cercare sollievo, conforto e stimolo nei grandi testi classici. C'è chi preferisce i filosofi, chi i romanzieri, chi i poeti. Non so chi Lui preferisca (sì, Lui, il nostro ex-Amato Leader) né so se troverà conforto in questo testo di altissimissimo tenore poetico e morale. Ma io lo inviterei comunque a leggerlo e magari pure a pensarci su un momentino.
Ah, dimenticavo: l'autore, che non so bene se definire aedo, filosofo, o poeta; l'autore che tanto ha saputo elevarsi al di sopra dell'animo umano da darci parole di tanta saggezza; l'autore il cui nome è ancora presente nei nostri cuori, ma il cui volto meriterebbe di essere scolpito sul Gran Sasso d'Italia come quelli di Washington, Jefferson, Roosevelt e Lincoln lo sono sul Monte Rushmore; l'autore, che con inumana preveggenza ha saputo descrivere tanti anni fa la nostra condizione attuale; insomma, l'autore è Claudio Villa.

Quando ragazzi felici andavamo alla scuola
con la cartella a tracolla ed in tasca la mela
(meraviglioso questo incipit tutto teso a ricordarci l'umile nascita dell'ex-Amato Leader, accomunandolo oltre tutto, grazie alla mela, ad altri portatori di sogni come i quattro ragazzi di Liverpool e, perché no?, l'esteta di Cupertino)

per il futuro avevamo un vestito di gala
quante speranze di gloria di celebrità

(splendido rammento del fatto che fin da bambino Egli nutriva nobili ambizioni)

ma inesorabile il tempo tracciava il cammino
e a testa china anneghiamo nel nostro destino.
(straziante, inatteso e impetuoso cambiamento di ritmo che subito ci fa pensare a trapianti capillari, macchie di cerone sul fazzoletto bianco e casse di Viagra)
Addio sogni di gloria
addio castelli in aria.
(con lucida eleganza, l'autore contrappone qui, senza nominarle, le ville in Sardegna, ad Antigua e chissà dove altro, ai castelli, destinati a rimanere “in aria”)
Guardo con sordo rancore la mia scrivania
cerco a scacciare ma invano la monotonia
(“sordo rancore”. Meraviglioso. Quanto a “cerco a scacciare”, come non vedere un tenero omaggio a quel parlare semplice, senza fronzoli e prettamente popolano nella sua superficiale scorrettezza grammaticale che Egli sapeva usare con tanta maestria?)
Addio anni di gioventù
perché perché non ritornate più
(non è qui chiaro se l'addio sia da Egli dato agli anni della sua gioventù, oppure, in maniera ancora più disperata, a quella delle giovinette che, con generosa premura, faceva accomodare nel lettone di Putin e che ora si guarderanno bene dal ritornarci)
Sono una foglia d'autunno che nella tormenta
teme il grigiore dei giorni l'inverno paventa
(quella “foglia d'autunno” di ungarettiana memoria è uno dei momenti più alti della poetica claudiovillana. Ma ancora più importante è quel “sono”, che sta ad indicare come Egli abbia ormai coscienza, mentre se ne sta lì a temere “il grigiore dei giorni” senza veline e a paventare quell'inverno di cui un altro poeta parlò come dell'inverno “del nostro malcontento”, abbia ormai coscienza, dicevo, di non valere più di una foglia secca, cosa che peraltro molti di noi sapevano da tempo)

La donna sincera aspettai
compagna dei giorni miei
(ecco, ammettiamo pure una piccola debolezza in questo peraltro indimenticabile poema: non mi pare che Egli sia rimasto lì ad aspettare “la donna sincera”. Ad aspettarla, tutt'al più, c'era Tarantini, che poi però gliela portava sempre e comunque all'ora prevista)

ma invano cercai cercai
amore anche tu dove sei
(attenzione, perché qui c'è una trappola. Qual'è la parola importante? Invano? Cercai? Amore? No! La parola importante è “anche”. Rileggiamo il testo: ma invano cercai cercai / amore anche tu dove sei. È proprio la costruzione approssimativa della frase che ci fa capire come “anche” sia la parola fondamentale. È in quello smarrimento linguistico e lessicale che troviamo lo sgomento del vecchio con parrucchino, cerone e Viagra, che, già infilato sotto le lenzuola con un paio di meretrici pugliesi, cede a un attimo di legittimo dubbio. Attenzione: “anche” qui non è congiunzione: è sostantivo femminile plurale! Ciò che il poeta ci lascia indovinare con sottile eleganza è “dove sei ormai tu, amore (delle) anche”? Il sottinteso è naturalmente che ormai, vecchio decrepito com'è, umiliato davanti al mondo, perfino l'amore delle anche  non sa più dove sia. Avrebbe potuto, il poeta, parlarci di tette siliconate, di labbroni al botox, di culi imbottiti, e invece no: anche. Luminosa eleganza!)
Addio sogni di gloria
addio castelli in aria
(vedi sopra)
Prendo la penna e continuo la doppia partita
faccio una macchia d'inchiostro mi treman le dita
(e certo. Per un caduco istante è stata proprio questa la sua speranza: prendere la penna per firmare la lettera di dimissioni e poi continuare invece quella “doppia partita” che gli avrebbe permesso, nelle Sue ormai perdute speranze, di tirare avanti come se niente fosse. Ma, ahimé, il tempo è scaduto: dalla penna tenuta da dita tremanti ecco fuoruscire ormai solo una beffarda macchia d'inchiostro)

. . . . . .
Meglio tacer le memorie o vecchio cuor mio
sogni di gloria addio
(e ti credo: dovesse davvero raccontare quel che si ricorda, chi glielo eviterebbe il carcere?)